A Enna non si capita mai per caso, non è vicino a quasi nulla, per non essendo neppure lontano da tutto: poco meno di 100 chilometri dista Catania, una cinquantina in più Palermo. Sarà anche per questo dato geografico che ricade sul versante orientale anche linguisticamente, nell'infinita disputa tra arancina palermitana e arancino catanese. L'arancina è fimmina!, sostengono nel capoluogo regionale; macché, è masculo, replicano all'ombra dell'Etna. Enna sta con questi ultimi.
L’
Accademia della Crusca si era pronunciata tempo fa sulla questione: “Il gustoso timballo di riso siculo deve il suo nome all’analogia con il frutto rotondo e dorato dell’arancio, cioè l’arancia, quindi si potrebbe concludere che il genere corretto è quello femminile:
arancina. Ma non è così semplice”, perché la comparsa nei ricettari risale al 1857 (
Dizionario siciliano-italiano di
Giuseppe Biundi) in cui si usava l'espressione “
arancinu”, che disdetta. Come dunque tradurlo in italiano? La
Crusca: “Nel dialetto siciliano, come registrano tutti i dizionari dialettali, il frutto dell’arancio è
aranciu e nell’italiano regionale diventa
arancio”. Quindi “
arancinu” diventerebbe
arancino. Rischiamo di non capirci più nulla, ma l'analisi prosegue: “Del resto, alla distinzione di genere nell’italiano standard, femminile per i nomi dei frutti e maschile per quelli degli alberi, si giunge solo nella seconda metà del Novecento”. Ma oggi è lo spartiacque di riferimento. Così la pietanza avrebbe in qualche modo cambiato sesso col tempo, nell'ultimo secolo, adeguandosi alla nuova codifica italiana che vuole il maschile per l’albero e il femminile per il frutto, in definitiva
arancina. Ma entrambe le forme sono corrette, conclude la
Crusca salomonicamente, chiamatela/o quindi un po' come vi pare.
Rimaneva e rimane però insoluta una successiva disputa: migliore l'
arancina tonda d'Occidente o l'
arancino a punta - che riproduce la forma d'
a muntagna, si dice - d'Oriente? E dove mangiarne la versione top? Tante le voci. È diffuso da tempo un mito gastronomico sull'eccellenza dell'arancino che si può consumare al bar del traghetto
Caronte, durante la breve navigazione tra Reggio e Messina o viceversa. Questa teoria, supportata di recente anche da voci qualificate, fa inorridire tanti, con argomentazioni ragionevoli.
Chi scrive tempo fa venne chiamato a far parte di una giuria in una gara che contrapponeva arancina palermitana e arancino catanese. Vinse Palermo, se non erro. Enna non vi era proprio contemplata: lì in mezzo tra i due poli principali, era stato facile bypassarla. Eppure proprio qui vi si mangia l'arancino, con la "o" come si dice da queste parti, migliore in assoluto, almeno nella lunga esperienza nell'isola del sottoscritto, che pure siciliano non è.
Lo prepara
Rosario Umbriaco, ennese classe 1974, una straordinaria passione per il suo lavoro, che è essenzialmente quello di
arancinaro («Brutta parola, io non la scriverei» ci ammonisce
Davide Visiello, referente di
Identità dalla Sicilia. Ha ragione, però...). Il mestiere di rosticciere - forse meglio così - ce l'ha nel dna, «un mio bisnonno e mio nonno vendevano hot dog nella New York degli anni Venti e Trenta». Suo padre
Francesco Paolo aprì invece la
Tavola Calda Europa nel 1974, a Enna: anno particolarmente fruttifero in famiglia, oltre al negozio nacque anche
Rosario.
Segno del destino, forse: fatto sta che lui ha portato il locale, ribattezzato
Umbriaco Tavola Calda e Bottega, a picchi di eccellenza imprevedibili. È un gran lavoratore,
Rosario; poi, un attento depositario di una straordinaria sapienza antica; un meticoloso professionista; ma anche una persona senza paraocchi, che sa innestare nella tradizione il germoglio vivido dell'innovazione. Si è inventato l'
arancino a due strati di riso, nome e tecnica brevettati, che è un esempio perfetto di come prendere la quotidianità e saperla nobilitare, trasportandola nel futuro.

L'arancino a doppio strato di riso
In pratica se si va da lui a Enna, ci si può concedere un piccolo percorso degustazione di tre arancini. Il primo è quello più classico, con ripieno di stracotto di bovino adulto allevato nei dintorni, taglio al coltello: molto buono. Il terzo è stato, nel nostro caso, l'arancino di riso aromatizzato ai porcini dell'Etna e ripieno di vastedda del Belice e mortadella di asino di Chiaramonte Gulfi. Delizioso, una bomba di bontà, che sarebbe diventato il nostro arancino migliore di sempre, se non fosse stato preceduto dal capolavoro di
Umbriaco, l'arancino a doppio strato di riso appunto.
Sono due arancini praticamente fusi insieme: quello più piccolo, interno, è di riso bianco cui viene incorporata ricotta fresca, con prezzemolo e pepe nero; dentro, un nucleo di fonduta di piacentinu ennese. Questo arancino più piccolo viene inglobato come una matrioska dallo strato esterno, che è di riso giallo, poiché cotto con zafferano ennese e menta selvatica. Il tutto viene quindi impanato con una mistura di tre grattugiati diversi, di pane di farine antiche siciliane, Russello, Perciasacchi e Maiorcone («Non Maiorca, Maiorcone. È più grezzo, mi serve per conferire croccantezza, io non uso la pastella». In pratica è la versione isolana omologa al
panko giapponese,
ndr).
Il risultato è divinamente buono, risponde a una logica prettamente d'alta cucina, di sviluppo dei sapori al palato: «Al primo morso s'addenta lo strato esterno, che con la sua freschezza e aromaticità predispone le papille a gustare poi la parte più interna, dolce, piccante, sapida e fondente». Strepitoso. Costa, udite udite, 1,70 euro.
Al di là della tecnica, realizzare un arancino siffatto richiede tanto lavoro, «almeno un giorno e mezzo di passaggi»: si mette la ricotta a sgocciolare 24 ore prima, di pulisce a mano il piacentinu eliminando i grani di pepe nero, quindi vi si ricava la fonduta («Senza alcuna aggiunta») che viene fatta riposare in frigo per 12 ore. L'indomani si preparano due risi in padellini distinti: quello bianco con prezzemolo e pepe nero per lo strato interno, quello giallo con zafferano e menta selvatica per l'esterno.

Il riso messo a raffreddare sul pianale di marmo di Carrara
Si fanno raffreddare entrambi stendendoli su un ripiano, meglio se di marmo bianco di Carrara, come fa
Umbriaco («È più traspirante, il riso asciuga meglio»), per un tempo che dipende dalla temperatura esterna e dallo spessore della stessa lastra di marmo. Quando il riso bianco è freddo, s'incorpora la ricotta fresca sgocciolata, si plasma una pallina con la fonduta, la si chiude nel primo strato di riso, si prepara il secondo strato come fosse una pallina concava in cui inserire quella appena realizzata, si chiude, poi impanatura e via in frittura.
Umbriaco proprio quest'anno ha raggiunto un ulteriore obiettivo: realizzare i suoi arancini con soli ingredienti siciliani al 100%. Un produttore di Leonforte gli fornisce il riso (anche se a volte è costretto a rinunciarvi, la produzione è minima) e persino la sua cottura avviene nell'acqua di mare sicula - già salata - dell'Aquamaris di Catania.
Per noi, come detto, il miglior arancino mai mangiato. All'Umbriaco Tavola Calda e Bottega si possono peraltro gustare anche altre bontà tipiche della rosticceria siciliana e pizze a lievitazione naturale. È anche bottega di cose buonissime. Umbriaco da agosto è entrato nell'associazione Ambasciatori del Gusto.
Umbriaco Tavola Calda e Bottega
viale IV Novembre 11, Enna
tel. +39 0935 37467
aperto 10–14, 17,30-23
chiuso il lunedì
un arancino speciale costa 1,70 euro