Ormai da un po’ di tempo, Paolo Griffa – per quanto ancora giovanissimo, è un piemontese di Carmagnola classe 1991 - porta con sé le stimmate del predestinato. Accessorio, questo, che può essere anche parecchio scomodo: lui è talentuoso, consapevole della propria abilità, tecnicamente preparatissimo, ambizioso e assai competitivo, anche nei confronti di sé stesso e dei limiti che incontra nel suo tumultuoso ma evidente processo di crescita.
In questi ultimi anni lo abbiamo visto finalista in tutti i concorsi più importanti – Bocuse d’Or, S.Pellegrino Young Chef, Premio Birra Moretti Grand Cru e così via: sempre ha ben figurato, senza però riuscire appieno nell’impresa. Si trascina(va) anche per questo un pre-giudizio antipatico: che volesse strafare, come quelli che preparano una gara alla perfezione, studiano i minimi dettagli, analizzano ogni possibile imprevisto, ma poi vengono beffati proprio sulla linea del traguardo.

Il Grand Hotel Royal e Golf
Per tutto quanto stiamo dicendo, quando abbiamo appreso che gli sarebbero stati affidati i fornelli del
Grand Hotel Royal e Golf di Courmayeur, già stellato con
Maura Gosio, abbiamo esultato due volte. La prima, perché quella struttura – importante, illustre, leggi qui la sua storia raccontata da
Paolo Marchi:
Royal, il lusso a Courmayeur – aveva scelto di affidarsi a un giovane e scalpitante cavallo di razza, scollandosi di dosso quella patina un po’ classicheggiante, retrò, che sembrava essersi depositata sulle sue cucine.
Poi, perché l’incarico da primo chef - un esordio, perdipiù in un cinque stelle, luogo dove è indispensabile ben calibrare creatività e struttura dei piatti, tocco innovativo e solidità di gusto – avrebbe costretto Griffa a fare i conti con il proprio stile in fieri, inducendolo così a smussare la propria voglia di stupire, ad acquietare insomma l’ardire a volte eccessivo, per centrare un miglior bilanciamento. Dunque, doppia scommessa fertile. La persona giusta, al posto giusto, al momento giusto.

La sala del Petit Royal, ristorante gastronomico dell'hotel
Son passati due mesi dall’esordio a Courmayeur. E, per quanto il lasso di tempo sia troppo esiguo per formulare pensieri consolidati, la strada è evidentemente quella giusta. Di più: già stupisce (o forse no: lui è pur sempre una gemma) quanto in così poche settimane lo chef abbia saputo far svoltare il
Petit Royal – ossia il ristorante gastronomico del
Grand Hotel – imperniandolo della propria personalità in cucina. E’ già stato bravissimo a formulare,
Griffa, una percorso di proposta gastronomica completo, originale, autoriale, convincente, persino divertente. Con caratteristiche già assolutamente distintive.

Paolo Griffa nel 2015, alla S.Pellegrino Young Chef, della quale è stato finalista italiano
- Il menu, al di là di un’agile proposta alla carta, prevede piccoli percorsi di degustazione, quattro piatti basati su un ingrediente protagonista. Uno sceglie cosa mangiare (il che cambia a seconda di stagioni, mercato ed estro: nel nostro caso bue grasso di Carrù, patate di montagna valdostane, cappone di Morozzo, cervo, astice) e lo chef proporrà diverse declinazioni dello stesso, a tutto pasto. Poi, ovviamente, c’è anche una sesta possibilità, ossia giocare il “jolly”, che è il mano libera a Griffa per deliziarsi con una selezione del meglio.
- Come si vede, già lo chef ha ben focalizzato sul territorio, che per lui è quella grande area enogastronomica estesa dalla Val d’Aosta fino alle Langhe. Bello, ad esempio, che proponga una serie di assaggi a base di patata di montagna. I cervi vengono dalla Kiuva d’Arnad, poco distante, la loro carne è rigorosamente fresca; «quando non ne avremo più, passeremo ad altro. Al cinghiale, per esempio, o al coniglio grigio di Carmagnola». Poi lui ci mette le sue esperienze nel mondo: che sono assai francesi ma anche tributarie dell’Asia, «adoro le cucine cinesi, coreane, del Laos, del Vietnam…».
- Lo chef opta per una complessità di sapori che si riflette anche nelle modalità di servizio: prendendo spunto da una peculiarità tipica di Pierre Gagnaire, quasi ogni singola portata è frazionata in vari piatti, che compariranno al tavolo tutti assieme o a ondate successive, a seconda della natura della stessa e delle scelte in cucina. La cosa presenta vantaggi e svantaggi: ma presuppone comunque una scelta stilistica ben precisa e meditata.

Griffa è molto esigente, si diceva all’inizio, e lamenta qualche difficoltà nel fare alta cucina a Courmayeur: «Non riesco a trovare qualcuno che mi rifornisca con continuità di verdure. Viviamo un paradosso: dobbiamo comprarle in Sud Tirolo. Io dico sempre: “Portatemi tutto quello che avete! Avete 10 chili di verze? Va bene! Di rape? Ok! Basta farmi arrivare materia pima di qualità e fresca, poi penso io a usarla al meglio». Inoltre c’è il problema della stagionalità dei flussi di clientela, in paese e quindi anche al
Grand Hotel: «Nei weekend riempirei 80 tavoli, se li avessi. In altri giorni invece è calma piatta».
Però si vede che l’impresa lo gasa, e poi gli fa bene, come abbiamo scritto. «All’inizio non ero molto convinto. I proprietari mi hanno telefonato una, due, tre volte, io sempre declinavo. Alla fine mi sono convinto a venire a vedere la struttura. Sono entrato in cucina e ho notato una parete inutile, che impediva il dialogo tra le varie linee. L’ho detto e ho proseguito tranquillo con la visita. Sono ripassato dopo 20 minuti, la parete era già stata abbattuta. “A noi interessa che qui lavori bene”, mi ha spiegato patron Sergio Barathier». E allora ogni dubbio è svanito. (La nostra cena, nella fotogallery di Tanio Liotta)