Questo articolo parte con un appello accorato, che come tale rimarrà probabilmente inascoltato: chiunque detenga – da un decennio preciso, e di sicuro per una svista, diciamo così – l’album storico delle fotografie de Agli Amici, di Udine, farebbe cosa gradita a restituirlo agli Scarello. Conteneva tutta la storia per immagini di questo grande indirizzo del mangiarbene (e della migliore ospitalità) italiana: quindi oggetto caro alla famiglia, ma anche utile a raccontare visivamente una splendida vicenda che sa di Friuli e d’intelligenza, e insieme di territorio e apertura mentale al mondo.
Quest’anno sono 130 candeline, servirebbe una torta grande così. E occorrerebbe un intero libro per narrare l’evoluzione di un’insegna che è cresciuta perché è da sempre innervata della passione, della competenza, del lavoro e dell’acume di un clan nel migliore senso del termine: unito, cordiale, capace.

Il team de Agli Amici di Udine. Della brigata fanno parte anche l'esperto sous chef Raffaello Mazzolini, udinese classe 1973, già al Dolada di Alpago, da Giancarlo Perbellini a Isola Rizza e da Pietro Leemann al Joia; poi il bellunese Francesco Massenz, i giovanissimi Martina Peluso e Francesco Federici... Dei pasticceri vi diciamo nella fotogallery
Le date da tenere a mente per seguire questa vicenda sono almeno tre. La prima è il 1887 e indica l’anno in cui gli
Scarello presero a gestire il locale a Godia alle porte di Udine, siamo di fronte dunque a una storia che attraversa tre secoli e cinque generazioni. La seconda è il 1970, data di nascita, nella stessa città friulana, dello chef
Emanuele. La terza, 1999, indica quando è arrivata la prima stella Michelin, gratificazione importante per chi vuole fare qualità (nel 2013 sarebbe giunta la seconda).
Una dinastia di ristoratori, dunque: ma papà Tino e mamma Ivonne avevano spinto i loro figli in tutt’altra direzione, «ci invitarono a proseguire con la scuola». Ad esempio Michela, classe 1973, oggi dolcissima domina di sala e cantina, ha studiato lingue. «Però poi è stato naturale per noi fare questa carriera. Non è stato perché i genitori ci hanno detto: “Venite qua!”. Anzi, ci avvertivano: “No, è un lavoro che richiede molti sacrifici. Pensateci”». Nessun tentennamento.

Nonna Ivia Scarello con un giovanissimo Tino
E’ stato un giro di boa per un ristorante che, lo indica anche il nome (un’idea simpatica del 1962. Prima non serviva avesse l’insegna, era conosciuto come “
Paluzzan”, come era chiamato il nonno), si era sviluppato già da decenni come osteria di paese e prima ancora, dal 1887 appunto, come semplice bottega, «i nostri trisavoli vendevano un po’ di tutto, dalle caramelle sfuse in su, era una specie di emporio, “
Generi Coloniali Alimentari”», nell’edificio antistante l’attuale sede, il trasferimento è degli anni Cinquanta.
Ha raccontato Emanuele in un’intervista a La Madia del 2010: «Il primo proprietario si chiamava Umberto, ed era il bisnonno di papà. Lui era una guardia del Re d’Italia; prese questa licenza quando andò in pensione. Poi è diventato – oggi sembra incredibile – il locale dove c’era la prima televisione di tutta la zona e dove si radunavano tutti gli uomini a guardare il pugilato, Primo Carnera era friulano...». La crescita è avvenuta un passo per volta.

Emanuele quando era ancora in sala, con i genitori
Il primo decisivo c’è stato con i genitori
Ivonne e
Tino, lei ha preso ad andare in giro a lavorare nelle grandi cucine in Francia, come
Lenôtre, e nelle altre regioni d’Italia, lui a frequentare corsi da sommelier.
Agli Amici intanto proponeva buona qualità e grandi numeri, «mamma e papà organizzavano banchetti per 500 persone, il sabato e la domenica». C’era la resa economica, magari meno soddisfazione professionale.
Il cambio di ritmo non fu facile, «quando abbiamo puntato sull’alta cucina abbiamo perso tanti clienti locali che volevano i piatti di sempre», ad esempio quelli che è possibile leggere sul menu del 1976 che riproduciamo qui sotto. «Eppure i miei genitori hanno deciso di insistere su questa strada, sebbene certi giorni facessimo soltanto due o tre coperti o anche zero». Veri e propri pionieri decisi a proseguire su un percorso sconosciuto, almeno in questa zona.
C’è un altro episodio da citare, me lo racconta
Paolo Marchi. Risale alla fine degli anni Novanta,
Ivonne era sempre ai fornelli e mostrava i primi segni di una qualche stanchezza addosso. Si trattava di affiancarla: con chi?
Emanuele stava in sala con
Michela, ma aveva già dimostrato di essere ottimo cuoco. Ricorda
Marchi: «Mi trovavo in città come cronista sportivo de
Il Giornale, seguivo la partita dell’Udinese. Mi consigliarono di andare a mangiare in questo
Agli Amici di Godia, e in effetti ricordo un pasto magnifico. Alla fine chiacchieravo con
Michela, mi chiese: “Chi avrebbe voglia secondo te di venire a lavorare da noi?”. Mi venne spontaneo suggerire di puntare direttamente sul fratello». Mai idea fu più brillante: già l’anno dopo sarebbe arrivata, come detto, la prima stella.
Lo chef peraltro ha viaggiato e respirato stimoli ovunque, anche se per lui l'unica e concreta maestra è stata la madre, colei che più che tecniche gli ha insegnato la sensibilità e il cuore nel cucinare. Anni di sperimentazione gli hanno fatto capire che la vera meta dovrebbero sempre essere l'essenza e la pulizia dei piatti, ottenute grazie ad una continua ricerca. Gioisce quando può fruire dei prodotti migliori che il territorio offre in quel momento esatto della stagione; ama investigare nel sottobosco friulano alla ricerca di erbe spontanee, ne cerca l'essenza, la migliore espressione da inserire nell'equilibrio generale della preparazione. Ed esalta il meglio dei dintorni: «Che mi frega di astici e aragoste se dall’Adriatico mi arrivano i rombi chiodati?».

La famiglia oggi, alla presentazione per i 130 anni del locale
Sarà anche per questo – e per una mutata sensibilità delle istituzioni, che pare recentemente acquisita – se la Regione Friuli Venezia Giulia ha ben pensato di affiancare gli
Scarello nelle celebrazioni per questi 130 anni di fulgida storia, con un cartellone di eventi (per saperne di più
clicca qui). Loro sono un vanto per i friulani, ma anche il miglior tramite possibile per la conoscenza dei grandi prodotti locali e uno stimolo a quel turismo enogastronomico che, complici altri illustri indirizzi vecchi e nuovi nei dintorni, e innumerevoli case vinicole di altissima qualità, fanno di questa una imperdibile area di richiamo per i buongustai di tutto il mondo.
Quanto a noi, abbiamo recentemente replicato (per fortuna nostra non è stata la prima...) quell’esperienza che Marchi fece circa vent’anni fa e poi ha ripetuto innumerevoli volte. Ne siamo rimasti ugualmente entusiasti: lo raccontiamo nella nostra fotogallery firmata Tanio Liotta.