02-06-2023

Storia della Torino golosa: 15 piatti iconici della cucina sabauda contemporanea

È uscito il libro Dalla bagna càuda al sushi. Storia della Torino gastronomica di Sarah Scarpone, Federica Giuliani e Giorgio Pugnetti. Eccone un passo particolarmente interessante per scoprire le creazioni-simbolo di una nuova identità cittadina

Vi presentiamo il libro Dalla bagna càuda al sush

Vi presentiamo il libro Dalla bagna càuda al sushi. Storia della Torino gastronomica di  edito da Graphot e pubblicato lo scorso 18 maggio.

Prezzo suggerito: €20.00, pagine: 184

Cosa contraddistingue la Torino del cibo? Tradizione? Spirito di conservazione? In parte. Perchè considerata la ricchezza delle contaminazioni "accolte" dal tessuto urbano, ci si accorge, in realtà, di quanto Torino, dal punto di vista culinario, sia molto più avanti rispetto a tante altre città italiane.

Inoltre, la sua cultura gastronomica riflette l'immagine della buona tavola piemontese, ovvero, una miscela complessa che accorpa la cucina contadina e quella del popolo, la cucina reale e quella nobile e borghese: la cucina delle migrazioni italiane (toscane, venete, del sud Italia) e di quelle straniere (dalla cinese alla palestinese). Insomma, la cucina torinese è a tutti gli effetti un melting pot culinario decisamente radicato, fedele alle sue origini, ma capace di adattarsi a “nuovi” prodotti che negli anni hanno iniziato a scrivere una differente identità locale, in grado di andare oltre la diffidenza che da sempre caratterizza la sua gente.

Tutto questo ce lo raccontano in maniera approfondita le due giornaliste Sarah Scarpone e Federica Giuliani, e il blogger Giorgio Pugnetti nel libro Dalla bagna càuda al sushi. Storia della Torino gastronomica edito da Graphot Editrice e pubblicato lo scorso 18 maggio. Tra le sue pagine viene descritta la Torino gastronomica in un viaggio nel tempo tra tradizione e integrazione, alla scoperta di un’identità colma di sfaccettature.

Largo spazio alle gastronomie torinesi, lì dove alcuni illustri cittadini consumano i loro piatti preferiti, proseguendo, poi, con un’incursione nei nuovi sapori e colori apportati dai flussi migratori. Sono stati tracciati, inoltre, i ristoranti che hanno fatto la storia della ristorazione cittadina, ma anche i piatti icona di Torino e dell'intera regione, molti dei quali sono veri e propri simboli delle tavole moderne.

A tal proposito vi riportiamo qui di seguito un interessante estratto dal testo, ovvero la raccolta di 15 piatti iconici della cucina piemontese contemporanea che oggi diventano un riferimento della cucina locale e popolano le fantasie culinarie dei gourmet più appassionati.

 


Ci sono piatti che hanno scritto la storia della cucina piemontese e torinese, ce ne sono altri che raccontano di una Torino fortemente contemporanea, che guarda al futuro senza dimenticare il passato. È quella di portate (della tradizione o meno) che hanno scritto la storia della Torino di oggi e che rappresentano un nuovo riferimento della cucina locale. Piatti iconici, magari non da tutti i giorni, ma che parlano di una differente identità cittadina e ne diventano il simbolo per appassionati, turisti e veri gourmet.

 

Agnolotti di Lidia, Giù da Guido


La famiglia Alciati è una di quelle che ha scritto la storia della cucina piemontese. Tutto cominciò a Costigliole d’Asti con Guido Alciati e Lidia Vanzino (oggi erede della cucina di quel tempo è Ugo Alciati che, con il fratello Piero, gestisce il Guido Ristorante nella Tenuta di Fontanafredda). Ma i celebri agnolotti di Lidia (serviti anche al tovagliolo, cioè senza condimento) si possono gustare anche da Eataly Lingotto all’interno del locale che ha preso il nome di Giù da Guido. Un piatto icona trasportato in città, che nasce da una ricetta della tradizione, ma è in costante evoluzione. Le varianti di questo piatto sono infinite perché, essendo di recupero, ognuno, soprattutto in passato, li realizzava con quanto non doveva sprecare. La nonna di Ugo Alciati tolse il cavolo dal ripieno e lo sostituì con la scarola, gli spinaci e poi con variazioni di carne. Oggi vengono preparati con tre arrosti, ma di due animali: è stata eliminata la carne di coniglio e sono utilizzati solo vitello e maiale.

 

 

Bagna càuda da bere, Casa Vicina


Ha appena compiuto vent’anni l’iconico antipasto proposto da Claudio Vicina nel ristorante di famiglia che si trova all’interno di Green Pea. Era l’estate del 2002 quando lo chef stellato, in occasione del trasferimento del ristorante da Borgofranco d’Ivrea all’Hotel Boston di Torino, decise di creare un piatto evocativo e di impatto in grado di raccontare la realtà di Casa Vicina al nuovo pubblico del capoluogo piemontese. La bagna càuda da bere è prima di tutto una dedica a uno dei piatti iconici del Piemonte e di Torino, con un rimando alle Olimpiadi Invernali del 2006: da qui la scelta di utilizzare cinque verdure (peperone rosso, zucchina, carota, cavolfiore e barbabietola) precedentemente frullate e disposte in strati per simboleggiare i cinque anelli olimpici. Servita in un bicchiere da Martini (altra connessione alla città), la cagna càoda da bere è molto più digeribile e leggera della versione originale. In questo caso l’acciuga non viene soffritta, ma solo sciolta, a temperature non elevate con olio EVO, ottenendo così un ragù freddo. Inoltre, l’aglio viene bollito tre volte e successivamente trasformato in purea. Il tutto mantenendo la temperatura sui 60° C per stemperarne il gusto deciso e mantenere fede alle quantità previste dalla tradizione.

 

 

Carbonara au koque, Piano 35


La prepara Marco Sacco nel suo Piccolo Lago di Verbania (due stelle Michelin), ed è un altro piatto mutuato da un’altra zona del Piemonte, come il Costardi’s Condensed o i plin di Lidia Alciati, trapiantato anche a Torino. Si tratta di una carbonara che qui abbandona lo spaghetto secco e il guanciale romano per trasformarsi in un piatto di pasta fresca piemontese (tagliolino) preparata con un’emulsione di burro di montagna della Val Formazza e acqua di cottura, a cui si aggiunge il prosciutto della Val Vigezzo tagliato al coltello e lasciato in mantecatura. Al tavolo il piatto si completa spezzando il prosciutto disidratato, una cialda al latte, aggiungendo pepe nero e versando sopra ai tagliolini l’uovo amalgamato a grana padano, tuorlo, gin e crema di latte. È il benvenuto di Piano 35, il ristorante più alto di Torino e d’Italia.

 

 

Costardi’s Condensed, Scat_To


Sono arrivati a Torino da poco portando (inevitabilmente) da Scatto la loro identità. Parlo dei fratelli vercellesi Christian e Manuel Costardi, da sempre riconosciuti come gli indiscussi re del risotto italiano. Ed ecco perché tra i vari menu in carta nel nuovo locale all’interno delle Gallerie d’Italia non poteva mancare la loro creazione pop: il barattolo del celebre Costardi’s Condensed (iconica la versione Tomato Rice, nata nel 2012) con protagonista sempre il riso Carnaroli proposto, nel primo menu del ristorante, nella variante Archivio Gustativo.

 

 

Cyber Egg, Carignano


È indiscutibilmente il piatto più conosciuto di Davide Scabin, in Italia e nel mondo. Lo preparava nel suo Combal, ma chissà che non torni in carta anche all’interno del Ristorante Carignano dove da qualche mese lo chef torinese ha cominciato a lavorare. Nel primo menu proposto all’interno del Grand Hotel Sitea, Ral 6001 classic, sono comparsi due grandi classici della sua cucina: la lingua brasata al Barolo introdotto in carta nel 2000, e il carciofo baccarà con tonno in marinatura leggera, pensato con l’amico Bob Noto. Il Cyber Egg è nato nel 1997, quando Scabin ha deciso di provare a migliorare la perfezione di un guscio d’uovo. Racconta Paolo Marchi sul sito Identità Golose: «Si tratta in sostanza di un raviolo di plastica e non di pasta, qualcosa di mai visto e mai mangiato con quel ripieno di caviale e tuorlo. E il bisturi per fare una minuscola incisione e poi succhiare tutto in un colpo solo. Fu come andare in orbita in un attimo e senza immaginarselo proprio».

 

 

Fritto Misto, Pescheria Gallina


E anche se Torino non ha il mare, il fritto di pesce è diventato un must in città e lo si deve solo a lui: al pescivendolo numero 1 che di nome fa Beppe Gallina. In quel di Porta Palazzo e, da qualche mese anche in San Salvario, il fritto di Gallina è da sempre la portata più ordinata e fotografata di questa pescheria con cucina che in città ha fatto storia. Leggero, salato al punto giusto, preparato in porzioni numerate per essere fritto in un olio sempre perfetto. Di solito è realizzato con calamari, gamberetti e acciughe adagiati su un letto di crauti la cui acidità si contrappone in modo perfetto alla sontuosità del fritto.

 

 

Gelato al Parmigiano Bob Noto, Condividere


È sempre rimasto in carta questo piatto proposto da Federico Zanasi all’interno di Condividere, il ristorante voluto da Lavazza e realizzato con la collaborazione di Ferran Adrià. Si tratta di un omaggio (come lo è allo storico bar il tramezzino Mulassano con granchio e maionese piccante) al fotografo e gastronomo torinese scomparso nel 2017: un piatto che abbina il gelato al parmigiano, una delle ricette più famose di Ferran Adrià, con il sapore agrodolce dell’idromiele. Ma potremmo citare anche il gofri di farinata (qui la farinata di ceci assume la forma tipica dei gofri, cibo di strada piemontese nato nell’Ottocento e ispirato ai waffles francesi) o la brioche modenese, originale reinterpretazione della tigella, tipica focaccina e street food della tradizione modenese. La tigella di Condividere è leggera e gustosa: viene cotta a vapore, svuotata e farcita con uno speciale lardo pestato, per essere poi piastrata nella tigelliera e servita alla giusta temperatura.

 

 

Insalata piemontese, Del Cambio


Se escludiamo i piatti rappresentativi della storia del Ristorante Del Cambio, possiamo dire che l’insalata piemontese sia uno dei piatti signature di Matteo Baronetto. Nasce come un dipinto e ben si colloca in un luogo vocato all’arte come è questa insegna che si trova nel cuore della Torino più aulica. È un tripudio di verdure che si consumano prevalentemente crude: foglie di rapa rossa, cipolline sott’olio, ravanelli, piselli e taccole scottate, fiori eduli, fave, asparagi verdi e bianchi, cuori di lattuga, fiori di gelsomino, capperi, peperoni all’agro, germogli di pisello… accompagnati da tuorli marinati sei ore, maionese, colatura di alici, amaretti sbriciolati e nocciole in granella.

 

 

Panna cotta, Antiche sere
Unico dessert in questo elenco, merita il posto d’onore. È la panna cotta delle Antiche Sere, il locale guidato da Antonella e Daniele Rota che, a dir di molti (quasi tutti direi), è la migliore servita in città. Il suo segreto? La consistenza e, ovviamente, il gusto. Dolce di una semplicità disarmante, fa parte della tradizione piemontese, ma non è facile trovarne una versione comme il faut. Questo è il posto giusto, soprattutto in estate quando si può gustare (anche) sotto il pergolato dell’osteria, da poco entrata tra i Bib Gourmand della Michelin.


 

Parmigiana di melanzane, Unforgettable

Christian Mandura ama lavorare per concentrazione nella sua cucina stellata con il vegetale al centro. Le ricette della tradizione italiana qui vengono rivisitate ed esaltate nei profumi e nei sapori. Il piatto simbolo di questo lavoro può essere proprio la parmigiana di melanzane dove dieci chili di melanzane vengono cotte e concentrate per poi essere servite nella loro purezza ai dieci commensali (quindi la porzione è di un chilo a testa) e guarnite con mandorle grattugiate.

 

 

Ricchi e poveri, Gatto Nero

In realtà sono numerosi i piatti che segnano la storia di questo locale torinese guidato dalla famiglia Vannelli. Tutte portate che stupiscono per la semplicità di gusti e consistenze, ma che restano nell’immaginario collettivo dei clienti da generazioni. Sto parlando di quel ricchi e poveri che altro non è se non un delicato piatto di code di gamberi e fagioli cannellini, ma potrei aggiungere l’insalata tiepida di mare nata nel 1960 (seppie, calamaretti, gamberetti, pane pesto, olio e limone), gli spaghettini alla Peppino Fiorelli conditi con carciofini, capperi e poco pomodoro (classe 1957) o ancora la mitica châteaubriand alle bacche di ginepro e gin servita sempre per due persone.

 

 

Spaghetto pane, burro e acciughe, Magorabin


Ha compiuto vent’anni proprio nel 2023 il ristorante di Marcello Trentini, conosciuto a tutti come il Mago. E in questi anni di piatti che hanno raccontato la sua storia di chef fortemente legato alla città, ma con uno sguardo internazionale nato in tempi non sospetti, ce ne sono molti. Basti pensare al carciofo, foie gras e fave di cacao del 2018 o al risotto Torino-Milano del 2012. Io ho scelto lo spaghetto pane, burro e acciughe ideato nel 2007, che si collega all’infanzia dello chef. Quando pensò di inserire in carta un piatto di pasta (di semola e non all’uovo della tradizione piemontese) Trentini ritornò indietro con la memoria al piatto veloce che preparava in casa con il padre quando era piccolo. Questa la partenza, che si riallaccia poi con i parametri della cucina piemontese e con la passione dello chef per il sud Italia: il richiamo è alla bagna càoda con cui in casa, un tempo, si condivano anche i tajarin, e alla polvere di pane sulla pasta che ricorda la cultura siciliana.


Tajarin all'uovo, Vintage 1997


Se c’è un piatto che piace a tutti, ma proprio a tutti, sono i tajarin all’uovo con burro di montagna e parmigiano delle vacche bianche modenesi. Lo preparano da sempre al Vintage 1997 ed è un must del locale guidato da Umberto Chiodi Latini. Da provare anche la sinestesia: varietà di ortaggi con citronette al miele di acacia omaggio al cuoco francese Alain Passard.

 

 

Tonno vitellato, Cannavacciuolo Bistrot


Non poteva che essere un tonno vitellato quello che Antonino Cannavacciuolo e lo chef Emin Haziri propongono nel bistrot (stellato) torinese. Un omaggio alla tradizione locale, ma anche alle origini partenopee dello chef che, ormai piemontese d’adozione, ha nel mare il suo DNA. Il filetto di tonno viene tagliato in cubi regolari di 3 centimetri e servito con polvere di capperi, maionese alla polvere di acciughe, scorza di limone di Sorrento e fondo di vitello con la soia.


 

Vitello tonnato, Trattoria Zappatori

Dobbiamo andare a Pinerolo o da Madama Piola in centro città per gustare questa versione del vitello tonnato preparata da Christian Milone. Piatto signature su cui lo chef ha iniziato a lavorare dal 2006, percorre due filoni di studio: la tecnica di cottura e la salsa. Il risultato? Una carne molto rosa cotta a 54 gradi nel forno, sospesa, solo con sale e pepe; una salsa che parte dall’antica ricetta senza maionese ed è ricca di uova sode, capperi, cucunci di cappero, tonno, aceto di vino bianco. La salsa risulta fresca e corposa, con un’acidità che viene bilanciata da un caramello al peperoncino. Ma per lo chef della Val Chisone è importante anche l’assaggio: ecco perché il vitello tonnato non viene servito alla francese con le fette accavallate e la salsa a parte, ma chiuso quasi come fosse una pasta ripiena con la giusta dose di salsa per ogni boccone. A completare il piatto, per bilanciarne il gusto, due foglie di insalata riccia e di levistico.


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