Crema di carote con zenzero e arancia. Zuppa di gamberi. Vongole veraci al coriandolo e olio extravergine d’oliva. Ossobuco con polenta. Di quale cucina stiamo parlando? Domanda retorica: se siete arrivati fino a qui è perché avete letto il titolo. Non l’aveste fatto, difficilmente avreste riconosciuto le stimmate della cucina angolana. Perché quello, nell’immaginario comune, rimane un incollocabile paese africano, vagamente flagellato da lotte intestine per accaparrarsi petrolio e diamanti.
Ma è passato più di un decennio dalla fine di quei tragici fatti, anni nei quali il paese - grande quattro volte l’Italia e con meno della metà dei nostri abitanti - ha conosciuto un sistema politico-democratico stabile e una crescita economica importante. Si intuisce al cospetto del suo padiglione, appena dentro l’ingresso di Expo, sulla sinistra. All’esterno è un faraonico complesso che rievoca nelle linee le geometrie tipiche dei tessuti angolani, con ampi sprazzi dai quali filtra della luce naturale.

CUOCA. Elsa Viana, ambassador della gastronomia angolana, con un diploma in tasca, ottenuto alla scuola Lenôtre di Parigi
All'interno, l’architettura ruota attorno all’
imbondeiro, il baobab, l’albero sacro della cultura locale (e africana in generale) ma qui in versione hi-tech: sono 4 fasci di pilastri uniti che proiettano immagini in sequenza e che sorreggono travi reticolari con balconi sui quali si svolge l’esposizione. Un complesso impianto scenico che espone materiali iconografici su crescita e sviluppo, attualità e futuro e sostenibilità, i macrotemi scelti per Expo. Con un’importante parentesi dedicata alle donne, mossa non certo scontata per uno stato centro-africano: una schermata, per esempio, esalta la figura di
Francisca Espirito Santo, prima governatrice donna (della provincia di Luanda, la capitale) nella storia del paese.
La cucina attinge assai da 1.650 km di coste e relativa attività frenetica di pesca, soprattutto nel sud del paese, quello più a contatto con la Namibia (a nord c’è il Congo, a est la Zambia). E nell’entroterra ci sono 58 milioni di ettari di pascoli e terreni coltivabili. In pentola finiscono 3 tradizioni gastronomiche diverse: quella portoghese e quella brasiliana delle dominazioni e anche quella italiana (per qualche motivazione storica che sfugge, oltre all’ossobuco con polenta, è molto popolare la pasta secca).

DONNE. Nel padiglione, una serie di immagini arricchiscono l'imbondeiro, un baobab hi-tech
I piatti più rappresentativi del nord del paese sono il
Funji di manioca (polenta di manioca con verdure) e la
Muteta di carne secca, sorta di polpette fatte con semi di zucca essiccati. A Oriente, oltre ai funghi (
tortulhos), non disdegnano le larve fermentate (
catatos). Mentre a sud dilaga il sugarello, di solito preparato alla griglia con farina di granturco, massango o
massambala o il
Muamba di pescegatto affumicato con ginguba di arachidi. Pietanze che, unite a quelle che trovate in cima a quest’articolo, compongono il menu di due ristoranti contenuti nel padiglione: quello street food del piano terra (chef
Kitaba) e quello gourmet (sì, gourmet) del primo piano, chef
Elsa Viana. Prezzo medio: 10/15 euro a piatto. Festa del palato: elevata.