Giovedì scorso, l’università Iulm di Milano ha ospitato una lezione autorevole a doppia ugola: Paolo Lopriore, chef del Portico di Appiano Gentile (Como) e Luca Govoni, docente di Storia dell’alimentazione e gastronomia ad Alma, la prestigiosa scuola di cucina di Colorno (Parma). Li ascoltammo affiatati per la prima volta in tandem a Identità Golose 2017.
Un cuoco che tiene lezione all’università? Proibito per secoli, una conseguenza del pregiudizio millenario occidentale per cui la gastronomia non ha dignità di scienza. Ma i tempi cambiano, la censura accademica si silenzia a sua volta e gli atenei concedono sempre più spazio ai professionisti delle cucine, mai come oggi abili a testimoniare in cattedra le infinite implicazioni del mangiare nella pratica quotidiana.
L’audience della lezione di Lopriore e Govoni era costituita da 60 allievi di due master post-laurea – “Food and Wine communication” in collaborazione tra Iulm e Gambero Rosso e “Made in Italy” -, attentissimi ad ascoltare per una giornata intera le implicazioni storiche e antropologiche del mangiare italiano; autorità e correnti di pensiero che hanno contribuito a definire il modo attuale di stare a tavola e le prospettive della “nuova concezione ristorativa”, tema sviscerato in anteprima tra gli applausi poche settimane fa, sul palco di Identità 2018.
L’excursus allo Iulm è cominciato con un fiammeggiante contributo video del direttore d’orchestra Riccardo Muti, che si accalora «In difesa dell’opera italiana», trasmutato da Govoni e Lopriore in un motto gastronomico perché il linguaggio della cucina contemporanea, ancora embrionale, può e deve attingere da tutti gli altri mondi che hanno potuto giovarsi di un dibattito.

Lopriore tra libri e utensili della sua trattoria. Alle spalle, il suo maestro Gualtiero Marchesi

I contrappesi del nuovo spiedo di Lopriore, simboli della cucina italiana
«In difesa della cucina italiana» intervengono allora tutte quelle personalità visionarie che hanno contribuito a definire la cucina di oggi.
Bartolomeo Scappi (1500-1577), «Il proto-cuoco preferito di
Ferran Adrià, l’uomo che osava preparare le insalate di vegetali crudi, un tabù presente in parte ancora oggi».
François Pierre De la Varenne (1618-1678), «l’uomo che tra le altre cose stabilì la collocazione del dessert alla fine del pasto».
Georges Auguste Escoffier (1846-1935), il padre dell’alta cucina del Novecento, sodale di
Cesar Ritz e «Signore che scrisse il fondamentale ‘Le origini del menu’, con cui insegnò a valorizzare l’alternanza degli ingredienti»
E prima ancora vennero il gastronomo
Maestro Martino da Como, «un cuoco che spronava a non copiare ma a creare ricette personali, nel Quattrocento»; i noti
ricettari anonimi ma pure
Kitab al-Tabik, «Autore arabo di un ricettario che nel Duecento conteneva già ricette nostre come la parmigiana di melanzane, gli arancini/le arancine, il pane ca’ meusa e le insalate montate in verticale», antenate vegetali delle
pièce montée che di lì a qualche secolo avrebbero dilagato nella pasticceria francese.
«Per conoscere il presente occorre sapere da dove veniamo», hanno ripetuto come un mantra il cuoco e lo storico, «Solo così possiamo comprendere a fondo la tradizione con la T maiuscola per provare a scavalcarla, per passare dall’essere semplici esecutori a interpreti». Il pensiero corre subito a Gualtiero Marchesi, maestro di Lopriore, a sua volta allievo prediletto del signore che ricompose la tradizione francese secondo una sensibilità artistica personale e italiana. «Anni fa», racconta Govoni, «chiesi al maestro il motivo per cui il suo menu degustazione era composto da 7 portate. ‘Perché 7 è la metà di 14’, mi rispose cripticamente. Solo dopo anni, capii che il degustazione di Escoffier, il menu classico del Novecento, constava di 14 portate».
Marchesi attingeva dal passato e lo ricombinava a modo suo, attraverso quelle che poi sarebbero diventate le “regole marchesiane”, «che chiedevano ai cuochi di alternare in un menu ingredienti, cotture, consistenze, forme e colori». «Noi italiani», aggiunge Lopriore, «dovremo essere grati al suo concetto di cucina totale, che ci ha insegnato a considerare ogni singolo aspetto di un ristorante, anche il più irrilevante».

Lopriore e Govoni con gli allievi Iulm

Paolo Lopriore e Luca Govoni con i cuochi Diego Rossi e Federico Sisti, presenti alla lezione
Ma l’allievo fa un torto al maestro se non prova a migliorare il suo dettato. Nasce così la straordinaria impalcatura teorica e pratica del
Lopriore tornato quasi due anni fa nella natia Appiano Gentile per scrivere i destini della trattoria italiana. Un excursus tra tavole comportamentali e conviviali, triangoli ristorativi, tavole circadiane, vaporiere e spiedi oscillanti, fenomenologie del pane & companatico, un armamentario di cui abbiamo dato conto ampiamente tra queste pagine.
La lezione allo Iulm si è chiusa con un passaggio illuminante (e leggibile integralmente nel numero di marzo del magazine di cucina Cook_Inc), di cui proponiamo un estratto:
«La tavola italiana è convivialità, imbandigione, ritualità, emozione, memoria, seduzione, gloria, poesia, storia. Mi sussurrava la nonna con dolcezza.
La tavola italiana è complicità, stupore, identità, candore, freschezza, calore, dolcezza, palpitazione, spensieratezza. Pensa Paolo Lopriore.
Riappriopriamoci della tavola italiana. Spera mia figlia».