Era il 2013 quando un ragazzo originario di Cordoba in Argentina, insieme alla compagna romagnola Camilla Corbelli, apriva a Rimini un ristorante chiamato Abocar Due Cucine. Lui è Mariano Guardianelli e nell'anno del decennale di quel ristorante, tra pochi giorni, salirà sul palco del congresso di Identità Milano 2023. Sarà infatti tra i protagonisti della sezione Identità Sud America (che abbiamo presentato con questo articolo), una novità nel programma della diciottesima volta di Identità Milano: appuntamento per sabato 28 gennaio dalle ore 11:00 in Sala Blu 1 al MiCo Milano Fiera di via Gattamelata 1: con Guardianelli ci saranno anche Florencia Montes e Juan Camilo Quintero.
Dieci anni dopo il taglio del nastro abbiamo trovato, nella nostra recente esperienza da
Abocar, la cucina di
Mariano Guardianelli in ottima forma, così come la sala guidata da
Corbelli. Appena varcata la soglia si gode di un'atmosfera serena, rilassata, merito anche dell'eleganza sobria, dai colori tenui e caldi, dell'arredamento e delle luci molto azzeccate. Sorrisi e attenzioni non mancano in nessun momento della cena, piacevolmente caratterizzata da piatti che raccontano di quell'"avvicinarsi" che troviamo nel significato della parola
Abocar, simbolo dell'incontro naturale, immediato, non cervellotico o forzato, di due culture gastronomiche.
«Questo incontro - ci racconta
Guardianelli - è davvero alla base della nascita del ristorante, anche se dieci anni fa sicuramente c'era un bel po' di inconsapevolezza da parte nostra. Sapevamo che volevamo provare ad avvicinare la cultura gastronomica argentina ai prodotti meravigliosi, di pura eccellenza, che si trovano qui in Romagna. E sapevamo anche che avremmo dovuto superare qualche difficoltà: io e
Camilla venivamo da esperienze in ristoranti importanti (come
Celler de Can Roca,
Piazza Duomo ad Alba, a Parigi da
David Toutain, solo per citarne alcune, ndr) ed eravamo consci che proporre un certo approccio alla ristorazione a Rimini, dove i menu turistici andavano per la maggiore, non sarebbe stato facile. I primi due o tre anni sono stati tosti, li abbiamo affrontati con la necessaria tenacia, nuotando controcorrente».
Poi, anche e soprattutto grazie alla capacità di
Camilla e
Mariano, le cose sono migliorate: «Gradualmente ci siamo resi conto che a Rimini potevamo contare su un bacino di pubblico molto ampio: d'estate arrivano persone da tutta Europa, a Rimini vivono molte persone che sono interessate a una proposta come la nostra, e poi ancora ci sono persone che sono disposte a farsi 100 o 200 chilometri per venire a provare un ristorante. E' una cosa che ho scoperto arrivando in Europa, dall'Argentina, e a queste persone così appassionate sarò sempre molto grato. Dopo tre anni, abbiamo iniziato a vedere i frutti del nostro lavoro, e nel frattempo anche noi eravamo cresciuti, capendo ad esempio come modulare la nostra proposta venendo incontro a certe esigenze dei clienti, lasciando un piccolo spazio per una scelta alla carta, senza perdere la nostra idea e identità di cucina. Nel 2018 poi è arrivata la stella Michelin e questo ci ha sicuramente aiutato molto. Ogni stagione continuiamo a crescere, a migliorare, a evolverci: nonostante il periodo difficile che abbiamo attraversato recentemente, lavoriamo sempre di più e sempre meglio. Le persone cercano esperienze di un certo tipo, c'è sempre maggiore consapevolezza da parte del pubblico nella ricerca della qualità, della sostenibilità, e questo non può che farci bene».

Alla vigilia della lezione che
Mariano Guardianelli terrà per
Identità Sud America, e anche di un imminente viaggio che lo riporterà in Argentina dopo tre anni di assenza, non possiamo non chiedergli qualcosa del suo legame con la sua terra di origine, per sapere soprattutto quanto sia cambiato, nel suo approccio alla cucina, in questi anni di lavoro in Italia: «Quel legame ci sarà per sempre: io sono felice di vivere in Italia, che per certe cose mi verrebbe da descrivere come un'Argentina in cui le cose funzionano meglio, ma la mia identità resta argentina al 100%. Di me dico sempre che sono un argentino che cucina in Italia e questo mi porta a interpretare quello che passa dalle mie mani in modo diverso: questo non significa che in ogni piatto che preparo ci debba essere una tecnica o un ingrediente che ci porta in Sud America, mi interessa un approccio più naturale e più fluido. Ma se penso al concetto di "rivoluzione", che
Paolo Marchi ha scelto come filo conduttore del congresso, penso a questo scambio continuo di prodotti, di culture, di tradizioni».

Cialda di tapioca e Soyotta
Questa libertà e questa naturalezza interpretativa le abbiamo ritrovate in diversi piatti che abbiamo assaggiato seduti a un tavolo di
Abocar Due Cucine: la citazione di ingredienti di tradizione argentina, ma completamente reinterpretati, sicuramente nella sottile e croccante
Cialda di tapioca che accompagna la
Soyotta, una golosissima maionese di soia con scalogno romagnolo. E' il primo boccone che viene proposto e mette immediatamente di buon umore.

Cavolfiore, funghi e noce
Il
Cavolfiore con ragù di funghi e whisky ed emulsione di noce, colpisce per i riusciti giochi di consistenze e per le note piacevolmente terrose che attraversano il piatto, che
Guardianelli chiama i «sapori marroni», con i quali esalta le qualità quasi torbate che si percepiscono già nella semplice cottura del cavolfiore. Abbiamo amato molto anche le
Animelle di vitello alla brace con crema di mandorla armellina, radicchio fresco e marinato: «Ecco, parlando di essere un cuoco argentino, l'animella non può mancare, è come la patata per un peruviano, non c'è asado senza animella!», esclama lo chef di
Abocar. Le sfumature amare e fresche del radicchio, ingrediente invece quasi mai usato nella tradizione argentina, danno a questo piatto una vibrazione molto coinvolgente.

Animelle di vitello alla brace con crema di mandorla armellina, radicchio fresco e marinato
Guardianelli gioca con le note amare in modo coraggioso, ma anche molto efficace, nei suoi
Tortellini di carciofo in brodo di carciofo: nel trattare questo ingrediente lo chef ne ha concentrato l'essenza, usandone anche le parti esterne per creare il brodo che accompagna il piatto. «Per ottenere il ripieno, dopo aver rosolato il carciofo in padella lo passiamo in forno, per fargli perdere tutta la parte umida. Poi lo usiamo praticamente in purezza, con solo qualche goccia di olio extravergine, rispettando l'ingrediente al massimo. Anche per questo abbiamo deciso, dopo alcune prove, di accompagnare il tortellino con un infuso di foglie di carciofo, creando un filo conduttore per tutto il piatto. Che si può mangiare anche così ma...con
Camilla abbiamo deciso di proporre un gioco ai nostri clienti, accompagnando il piatto con un calice di Porto, dalla qualità piuttosto dolce, che presentiamo non come abbinamento vino, ma come parte integrante del piatto». Il risultato è affascinante, in quanto da quel contrasto apparente amaro / dolce nasce un'armonia non comune.

Serviti con il calice di Porto
Proprio l'armonia, intelligente e mai banale, di cui vive, a dieci anni dal primo servizio, un ristorante come
Abocar Due Cucine. Di cui presto avremo un racconto appassionato dal palco di
Identità Milano 2023.