Quando tutto ebbe inizio, gennaio 2005, nella notte tra la prima e la seconda (e conclusiva) giornata di Identità sognai di avere sognato. Sognato il congresso, il suo debutto, i suoi primi 9 relatori (18 in tutto), Pietro Leemann e un magistrale risotto al Circolo della Stampa, l’ovazione che accolse Ferran Adrià sul palco, la folgorazione per la lezione di Corrado Assenza e tanto altro ancora. Ricordo che uscii prestissimo di casa per andare a sincerarmi sul posto, alla sede della Borsa in piazza Affari a Milano, in una Sala delle Grida trasformata in centro congressi, che Identità era realtà. E lo era e tirai un profondo sospiro di sollievo vedendo che tutto era a posto per accogliere congressisti, espositori e relatori.

AULE GREMITE. Spettatori osservano le lezioni oltre il vetro delle Sale Blu
Dieci anni e due settimane dopo, Claudio Ceroni e io interpretiamo Identità Golose in tanti modi diversi, una guida e un sito, un grande appuntamento a New York e un secondo in America a Chicago, ma anche Londra e a un Expo ormai prossimo che concluderemo con una importante presenza a Host, la fiera dell’ospitalità nei padiglioni di Rho, dove declineremo Identità Future.
Però adesso è ancora vivo il ricordo della tre giorni di Identità Milano che si è aperta nel segno di Leemann. In un decennio lo chef svizzero, che Milano ha adottato da una trentina d’anni, ha accentuato il suo lato spirituale legando sempre più la sua cucina al suo credo religioso, con tanto di altare buddista e di purificazione dell’acqua al centro della lezione. Tutto questo alle 10 di domenica mattina 8 febbraio, a sala Auditorium stracolma per una relazione di spessore ma anche difficile, tra mantra recitati, prodotti scartati perché lontani da una visione vegana e diapositive di cristalli d’acqua.
L’esaurito dà ragione al ticinese e anche se è facile ironizzare in rete o al bar-sport perché è inevitabilmente più comprensibile un piatto di polpette o un’insalata mista, vale sempre quanto avrebbe detto lunedì Massimo Bottura nella sua prima lezione (la seconda martedì a Identità di Pasta): “Giudicate quando avrete la cultura

Davide Scabin ospite nello studio di Decanter-Radio Due
per giudicare”. Altrimenti si fa più bella figura tacendo. E’ una squisita questione di rispetto verso chi lavora per offrire il meglio alla clientela, rischiando di suo.
Anche quest’anno, edizione numero 11, Identità si è confermata uno straordinario laboratorio di idee, emozioni, incontri, crescita. Non solo nelle tre sale congressuali, ma anche nello spazio espositivo perché, ad esempio, Davide Scabin ha preparato per tre giorni l’Amatriciana (con l’aglio, evviva evviva) cotta senza aggiunta di olio in pentola a pressione allo stand Felicetti e poi l’ha spiegata martedì a Identità di Pasta. Meglio di così…
Difficile dire per me che salto da un punto all’altro perdendomi tanti momenti, cosa mi è piaciuto di più. Certo che Enrico Crippa è sempre generoso nel raccontare i suoi ultimi piatti così come sono sicuro di non essere più uno dei pochi a considerare Antonia Klugmann una chef con una testa straordinaria, che pensa prima di cucinare. E i colori di Daniela Cicioni, l’universo pizza tratteggiato lunedì, il giro d'Italia di Enrico Panero, il caleidoscopio del piccante, con gli opposti nel segno della ’Nduja tra Bryce Shuman (New York) e Caterina Ceraudo (Calabria), la trippa-alveare di Cristina Bowerman, un auditorium inchiodato dal duo Guidara-Humm, la sala e la cucina in un tutt’uno vincente, il lunedì dei campioni di Noi di Sala con l’attore Marco Giallini, i venti/trentenni che crescono bene in scia ai grandi, anche l’eco al centro congressi di via Gattamelata del sabato 7 febbraio vissuto all’Hangar Bicocca con l’Expo delle Idee, la cui onda lunga farà bene alla ristorazione italiana.

Enrico Crippa durante la sua lezione a Identità Milano 2015 domenica 8 febbraio
Tanto di tutto e lo sguardo già proiettato sul futuro, con Identità Golose 2016 a metà marzo e un orizzonte che inizia a configurarsi nella mia mente ed è legato all’eredità che l’Esposizione Universale di Milano lascerà con la Carta di Milano. Arriverà il momento che anche noi italiani riusciremo a creare una guida credibile nel mondo come la Michelin, alla quale abbiamo demandano la certificazione della qualità dei nostri locali. Non che in Italia non vi siano pubblicazioni altrettanto ben fatte, solo che le leggiamo solo noi. Ovvio, sono scritte in italiano. Non solo questo però: parlano delle insegne del Buon Paese e non escono dai confini nazionali. Bisogna andare nel mondo con le nostre eccellenze e i nostri cuochi. Senza compromessi e scorciatoie.