Dieci anni di Identità Milano significano anche 9 primavere di "fuoricongresso", il circuito di ristoranti che per tre giorni estende l’eco di idee di via Gattamelata (e, prima, di Palazzo Mezzanotte) a tutto l’agglomerato urbano. L’illuminazione arrivò una sera del 25 gennaio 2005, nel corso della prima edizione. Una coppia di ristoratori milanesi si avvicinò a Paolo Marchi: «Bel congresso oggi, ma dove possiamo andare a mangiare stasera?», chiesero. «Se lo domandate voi, allora l’anno prossimo dobbiamo fare una lista delle insegne cittadine che stimiamo», pensò il curatore di IG.
Dal 2006 a oggi, la ventina di ristoranti del fuoricongresso è quasi triplicata. Gli indirizzi che quest’anno terranno in parallelo in carta un menu dedicato a Identità sono 55, divisi in 3 categorie: Milano d’autore, La tradizione a Milano e Nuovi volti a Milano. Quest’ultimo sottoinsieme, dedicato alle new entry cittadine più interessanti degli ultimi mesi, è stato tracciato per la prima volta l’anno scorso perché da qualche tempo la città registra una ventata di novità più sferzante di sempre.

Le Eggs benedict di Domenico Della Salandra, un piatto tornato subito cult da Taglio in via Vigevano 10
Scorrendo la
pagina dei 55, si leggono i nomi dei locali che, ognuno a modo loro, cercano di trainare la scena gastronomica milanese (e quindi nazionale). Insegne che esprimono la volontà di incrociare orto e mare secondo nuovi schemi come
Nassa Osteria e
Mamai: il primo è un promettente fish-bistrot che associa la mano ferma di
Maurizio Di Prima, a lungo accanto a
Claudio Sadler, al sapere ittico di
Gabriele Tasinato, per notti e albe di 21 anni al lavoro al mercato del pesce di Milano.
Mamai è invece il progetto sorto dove un tempo c’era
Alice, che nella lista non compare ma solo perché riaprirà nella nuova sede di
Eataly Milano il 18 marzo 2014, a congresso finito. Esattamente come
La Segheria, il progetto easygoing di
Carlo Cracco sui Navigli e la pizzeria di
Gino Sorbillo in Corsia dei Servi: tireranno su la claire nella prima metà del mese di febbraio.
I lievitati deliziano anche da Dry, per ora la pizza più buona di Milano e non perché quei supercocktail in anticamera offuscano il giudizio. Poi c’è la carica dei piccoli-e-intelligenti, formule snelle che cancellano il superfluo a totale beneficio del buono come Larte in via Manzoni (un interessante intreccio tra arte, gastronomia e design di Altagamma), Turbigo sui Navigli (stessa proprietà di Dry e Pisacco), Taglio (lunch e brunch coi fiocchi ma anche il luogo per esplorare il significato di caffè buono e vermouth), il Persè (una voce meditata nella caciara dell’Arco della Pace) e due ingredient-restaurant come l’O Lei di via Washington, che esprime amore per l’olio extra-vergine o il mozzarella di bufala-based Ladybù. Col che ci avviciniamo all’Al Fresco in via Savona, timbrato come Ladybù dallo zampino aimoenadiesco di Fabio Pisani, Alessandro Negrini e soprattutto di Kokichi Takahashi, un giapponese che, a frugargli nelle tasche, trovate di sicuro spiegazzato pure il passaporto italiano.

Il Polpo grigliato con manioca fritta di Mauricio Zillo, cuoco brasiliano del Rebelot del Pont, ripa di Porta Ticinese 55
I "ristoranti-ristoranti" sono invece tornati alla ribalta prima col
Da noi In del
Magna Pars: chef
Fulvio Siccardi è stato già colto in passato a gestire stelle. Poi con il
Ceresio 7, che illumina il palazzo ex-Enel col mestiere di
Elio Sironi, proiettato su interessanti ambizioni. E infine con
Daniel, la grande emancipazione di
Daniel Canzian alle porte di Brera.
E che Milano sia la capitale italiana di cucina internazionale, lo vediamo benissimo dalle microfollie di Mauricio Zillo, un brasiliano che sforna piatti a metà tra tapas e pietanze full-bodied. Ma anche dal furore dell’italo-armeno Misha Sukyas, ormai per tutti «L’uomo che mette l’arrosto in caffetteria» (cit. Corriere della Sera). Fuori (congresso), ma con giudizio.