Cooking without borders, è il sottotema ideale della lezione dedicata al pomodoro firmata da Francesco Apreda e Anita Lo. Ma è anche il titolo del cookbook di quest’ultima, cuoca americana di seconda generazione, di radici cinesi, tradite dal cognome più diffuso da Shanghai allo Xinjang. «La cucina è condivisione», debutta Lo, «occorre in ogni momento aprire la mente, mai isolarsi».
È stupendo, allora, che il suo piatto si chiami
Insalata di pomodori costoluti con yuba, shiso e ponzu ma che al finale sia una sorta di riedizione asiatica della caprese, con
Apreda, napoletano di origini, che si dice «felice che un simbolo della mia terra abbia fatto il giro del mondo». Via con la
Lo-lezione, che spiega subito quale ingrediente rimpiazza quale dell’originale: «Lo
shiso sostituisce il basilico, lo
yuba la mozzarella, ma il gusto è molto diverso». Il
ponzu è «limone, polvere di riso, cipolla, aglio, daikon». I pomodori «sono quelli costoluti, e variano a seconda di quando li cogli: dolci all’inizio della stagione, molto vegetali alla fine».
Stupisce la lavorazione dietro ad apparentemente semplici chips d’aglio: affettate fresche, in slice sottili, passano tre volte nell’acqua, nel latte e nell’olio a bassa temperatura. «Le trovi anche a Chinatown, ma non è la stessa cosa». Ed è oltremodo complesso anche lo Yuba, sottoprodotto del tofu: «ma non posso spiegare come lo ottengo perché è tremendamente complesso». A vederlo, sembra stracciatelle con pelle di latte». C’è naturalmente l’olio, che l’asianizzazione in corso impone anche di aggiungere una percentuale di olio di soia».
Un’insalata vegetariana? Domanda la presentatrice Alessandra Rotondi. «No perché c’è anche del bonito, della famiglia del tonno, affumicato e disidratato». Un’insalata partenopea che spicca il volo trasfigurando i suoi connotati a est, con l’acidità e l’umami che prevalgono su tutto. Lei, bravissima ed efficace nella didattica, si schernisce: «Un tempo sapevo l’italiano, oggi riconoscono solo i lemmi gastronomici». Quel che serve per un gran piatto.

Il super-risotto di Apreda: risotto Riserva San Massimo mantecato con passata di pomodoro bio Oilalà
Parola a un ammirato
Apreda: «Mia moglie è di New York», spiega in un inglese efficace. L’affetto per i newyorkesi è espresso da un risotto che già la sera prima aveva fatto sobbalzare gli astanti della
Birreria:
Risotto mantecato alla puttanesca, sgombro piastrato al cedro. Ma tecnica ed esecuzione raccontano molto di più. Il suo pomodoro è il vulcanico
appicatello, figlio di suolo magmatico. Il Carnaroli,
Riserva San Massimo della Pianura Padana. «Il vino deve evaporare molto in fretta: uso bollicine perché il sapore è più intenso. Sedano, cipolla. Usiamo il brodo di gallina, più delicato».
Di pomodoro c’è anche la passata della specie fischetto da pomodori biologici di Oilalà, «conserva che in Italia è un rito storico colletivo». Poi, «olive nere e capperi, da aggiungere alla fine perché di sapore molto marcato». E il twist di contemporaneità: «Uno sgrombro marinato in vinaigrette di sherry e cedro, un frutto più delicato del limone». Burro che assorbe l’acidità della cipolla, Grana Padano («che senza non esistono risotti in Italia») e poi Apreda parte con l’efficacissima “onda”. Sopra al piatto un rintocco di pomodori disidratati, pinoli e cedro. E il pubblico esplode quanto i sapori del piatto