Un’edizione dei 50 Best così bene organizzata come quella appena celebrata a Melbourne, produce un’eco che va ascoltato e rilanciato, con alcuni aspetti a cui noi italiani dovremmo prestare un minimo di attenzione perché, a non essere sordi e ottusamente contro a priori, potrebbero tornarci utili. Uno su tutti: lo sforzo australiano per promuovere ristorazione e prodotti, un piano di lavoro che parte da lontano, inizio anni Dieci, quando il governo federale di Canberra e le amministrazioni dei vari stati si unirono per dare vista a Restaurant Australia, vetrina della cucina di questa immensa nazione.
Pranzavo venerdì, prima della partenza notturna per rientrare a Milano, con Jo-Ann Moody e Natalie O’Brien, le responsabili del Melbourne Food and Wine Festival, rassegna che copre l’arco di una decina di giorni e unisce ogni aspetto gastronomico, dal più popolare a quello esclusivo. Dopo 24 anni lo hanno spostato da inizio marzo a inizio aprile proprio perché la cerimonia dei 50 Best non rimanesse una gemma isolata. «Sommando le varie realtà pubbliche coinvolte, tra la capitale, Visit Melbourne e lo stato di Victoria, l’esborso complessivo finale è ragionevole pensare sia stato di quasi 3 milioni di nostri dollari, circa due in euro. Molto, ma, sponsorizzazioni a parte, sono arrivati giornalisti, esperti e influencer da ogni continente per raccontare le nostre eccellenze in un numero inimmaginabile per altre vie. E questo conta nel

Massimo Bottura sorride mentre mercoledì 5 aprile sale sul palco dei 50 Best a Melbourne per ritirare, secondo assoluto al mondo, il premio come migliore ristoratore d'Europa. Copyright The World’s 50 Best Restaurants
bilancio finale». Di sicuro, il prossimo anno avremo più insegne locali rispetto alle attuali due,
Attica al 32° posto, chef
Ben Shewry, e il
Brae di
Dan Hunter al 44°.
Dopo 14 appuntamenti a Londra e il 15° a New York, che non ha risposto economicamente alla grande, Melbourne ha segnato una svolta. Un tempo chef e ristoratori si muovevano e alloggiavano a loro spese. Prendere o lasciare, o ci credi o amici come prima. Stavolta tutto a carico del Paese ospitante. Chissà in futuro. Se abitui bene le persone, tornare indietro non è mai facile. Tra maggio e giugno a Barcellona verrà annunciata la sede 2018, e si dà per scontato sarà Parigi. Si sussurra di Mosca nel 2019 e se così fosse, i soldi scorreranno di certo a fiumi.
Per emergere non basta avere o essere grandi cuochi e grandi ristoranti, bisogna farli e farsi conoscere fuori dal loro guscio, fare in modo che entrino nel circuito mondiale dell’informazione e del turismo perché siano poi giudicati a pari di centinaia d’altri. E un po’ come se i Bottura e gli Humm, i Crippa e i Roca si iscrivessero alla Champions League della cucina. Prima però devono avere convinto in patria e per me adesso il modenese, secondo assoluto dopo il successo a Manhattan, nonché Enrico Crippa, Massimiliano Alajmo e Niko Romito incarnano il meglio della nostra ristorazione così come Davide Scabin, scivolato al 59°, è un eterno leone creativo e Umberto Bombana, risalito al 60°,

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un formidabile italiano profeta nel mondo, quattro locali stellati tra Hong Kong, Shangai e Macao, sette stelle in tutto, come nessun altro nostro cuoco.
Di loro, Romito per un po’ mercoledì ha cullato il sogno di ricevere l’Highest Climber Award, premio per il più alto balzo all’insù sponsorizzato dall’italiana Lavazza. Da 84° che era, è salito fino al 43° gradino migliorandosi di 41 posizioni. Purtroppo per l’abruzzese, Dan Barber, patron del Blue Hill at Stone Barns, poco fuori New York, è passato dal 48° all’11° e il cristallo è andato a lui perché meglio piazzato.
Chi fatica a emergere sono le lady chef, passate però da due nelle cento a quattro perché a Elena Arzak, 30°, e a Helena Rizzo, 81°, si sono aggiunte le novità Ana Ros, 69°, e Dominique Crenn, 83°. Ha detto la Arzak: «E’ una questione sociale, più le ragazze saranno messe nelle condizioni di poter svolgere questo mestiere senza dovere rinunciare a determinate scelte, e più ne vedremo emergere in kermesse come questa. E’ solo una questione di tempo, nelle cucine sono sempre più numerose».
Ma lo stesso piatto, se confezionato da una donna lo si riconosce da quello realizzato da un uomo? Per me no e per la basca, che divide gli spazi con il padre Juan Mari? Anche: «E’ tutta una questione di sensibilità, non di sesso. Mio papà lo è e capita che abbellisca un pesce con dei fiori. Così, quando usciamo per salutare i clienti, non manca mai chi mi dice di avere riconosciuto la mia mano e io sorridendo rispondo di no e indico lui».

Elena Arzak e Ana Ros
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Piuttosto, fossi una donna, mi arrabbierei perché, al riconoscimento per il top assoluto, viene aggiunto in scia quello per la migliore cuoca, dando così per scontato che una signora non vincerà mai l’oscar degli oscar. Gli organizzatori dei 50 Best potrebbero obiettare che un ristorante prescinde da chi lo guida, se un lui o una lei, tant’è che loro premiano i posti, però alla
Best female chef non si affianca il
Best male chef. Quest’ultimo è “ovvio” sia lo chef-patron dell’insegna numero 1, ieri
Bottura, oggi
Humm.
Notare bene: due mesi ancora e sabato 10 giugno Daniel Humm e Will Guidara festeggeranno, con collaboratori e amici, undici anni di Eleven Madison così come lo abbiamo conosciuto, poi lo chiuderanno. Riaprirà in autunno tutto nuovo. Ha detto Guidara alla viglia: «Bisogna rinnovarsi quando nessuno pensa sia giunto il momento di farlo. Mai aspettare i primi segni di stanchezza». Ha chiosato Humm dopo la festa: «Questo successo rende la nostra scelta ancora più giusta». Squadra vincente non si cambia, ma il teatro in cui si esprime sì. Ma non è da tutti in tempi e modi così rapidi.
Quanto alla galleria fotografica, scatti tutti miei e tutti con un iPhone 6, è un modo per raccontare i miei quasi quattro giorni in una città, Melbourne, che ha un unico difetto per un italiano: è all’altro capo del mondo.