09-03-2017

La forza della cucina naturale

A Identità Milano gli chef protagonisti della sezione hanno raccontato il loro viaggio che ha il rispetto come stella polare

Tutto quello che c'è da sapere sulla giornata

Tutto quello che c'è da sapere sulla giornata dedicata alla cucina naturale, a Identità Milano 2017

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)

Daniela Cicioni con LIsa Casali

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali

Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

LEGGI ANCHE:
Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»
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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»

Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina
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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina

Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»
Galleria fotografica






Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»

Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana

Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali

Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici
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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici

È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici














È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici
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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici














È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici

Rende giustizia al glutine l'esperto di alta cucina naturale Simone Salvini, evidenziandone qualità gastronomiche e sfatandone luoghi comuni. Lo chef, grazie all'intervento del professore Dinelli dell'Università di Bologna, pone l'accento su come la maggior parte delle malattie abbiano origine da processi infiammatori innescati da alimenti troppo lavorati. E' dunque il tipo di farina prima di tutto a fare la differenza e questo vale anche per il glutine. Sul palco di Identità Naturali porta il glutine "buono”, ottenuto utilizzando la farina di tipo 2, semi-integrale, che reimpasta con la farina Virgo, ricca di fibre e frigge per creare due sfoglie di pasta croccante accompagnate da hummus di fagioli, pomodorini confit, burro di pinoli e spuma di mandorla (Elisa Nata)

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici














È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici














Rende giustizia al glutine l'esperto di alta cucina naturale Simone Salvini, evidenziandone qualità gastronomiche e sfatandone luoghi comuni. Lo chef, grazie all'intervento del professore Dinelli dell'Università di Bologna, pone l'accento su come la maggior parte delle malattie abbiano origine da processi infiammatori innescati da alimenti troppo lavorati. E' dunque il tipo di farina prima di tutto a fare la differenza e questo vale anche per il glutine. Sul palco di Identità Naturali porta il glutine "buono”, ottenuto utilizzando la farina di tipo 2, semi-integrale, che reimpasta con la farina Virgo, ricca di fibre e frigge per creare due sfoglie di pasta croccante accompagnate da hummus di fagioli, pomodorini confit, burro di pinoli e spuma di mandorla (Elisa Nata)
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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici














È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici














Rende giustizia al glutine l'esperto di alta cucina naturale Simone Salvini, evidenziandone qualità gastronomiche e sfatandone luoghi comuni. Lo chef, grazie all'intervento del professore Dinelli dell'Università di Bologna, pone l'accento su come la maggior parte delle malattie abbiano origine da processi infiammatori innescati da alimenti troppo lavorati. E' dunque il tipo di farina prima di tutto a fare la differenza e questo vale anche per il glutine. Sul palco di Identità Naturali porta il glutine "buono”, ottenuto utilizzando la farina di tipo 2, semi-integrale, che reimpasta con la farina Virgo, ricca di fibre e frigge per creare due sfoglie di pasta croccante accompagnate da hummus di fagioli, pomodorini confit, burro di pinoli e spuma di mandorla (Elisa Nata)

E per finire, la nostra Luciana Squadrilli, che ha seguito la giornata

Da Milano alla Patagonia, dagli alpeggi della Valtellina al lago di Como, dal confine italo-sloveno alle pinete toscane e ancora oltre. La giornata di Identità Naturali in Sala Blu ha offerto un viaggio stimolante nel mondo della cucina “naturale”: difficile darne una definizione concisa viste le sue molte sfaccettature, scandagliate nelle tante edizioni di questo appuntamento ormai fisso del congresso presentato come sempre dalla brava Lisa Casali.

Viaggio non sempre e per forza inteso in senso fisico, ma sempre come forma di ascolto, contaminazione, apertura mentale e condivisione, come sottolinea anche Valentina Preti di Alce Nero ricordando il ruolo prezioso degli agricoltori che coltivano le materie prime per i loro prodotti in diverse zone del mondo, avendo sempre come obiettivo il benessere e la salute di chi li sceglie. Per questo la cucina naturale – che sia crudista e vegana in modo rigoroso o semplicemente attenta all’elemento vegetale, che nasca da una ricerca scientifica o dalla sensibilità personale dello chef o pizzaiolo – si dimostra sempre più rivoluzionaria nel saper affermare la sua libertà (e capacità) di trovare e creare il buono anche dove meno ce lo si aspetterebbe, più per preconcetto che altro.

Dal recupero virtuoso degli scarti all’utilizzo di ingredienti insospettabili come getti e radici dai nomi sconosciuti, dal riappropriarsi di tecniche e cotture antiche come la fermentazione e l’affumicatura “gentile” alla ricerca di alternative sane e gustose, la parola chiave della giornata sembra essere stata “rispetto”: degli ingredienti, della natura, della salute, del cibo in generale inteso come fonte di nutrimento, di cura ma pure di piacere. Tema di un’edizione passata del congresso, in questo ambito – e non solo – dimostra di essere sempre di grande attualità.
(Nella fotogallery di Brambilla-Serrani, tutti i relatori della giornata)


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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)

Daniela Cicioni con LIsa Casali

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali

Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»
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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»

Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina
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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina

Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»
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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»

Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana

Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali

Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici
Galleria fotografica






Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici

È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici

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Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici














È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici
Galleria fotografica






Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici














È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici

Rende giustizia al glutine l'esperto di alta cucina naturale Simone Salvini, evidenziandone qualità gastronomiche e sfatandone luoghi comuni. Lo chef, grazie all'intervento del professore Dinelli dell'Università di Bologna, pone l'accento su come la maggior parte delle malattie abbiano origine da processi infiammatori innescati da alimenti troppo lavorati. E' dunque il tipo di farina prima di tutto a fare la differenza e questo vale anche per il glutine. Sul palco di Identità Naturali porta il glutine "buono”, ottenuto utilizzando la farina di tipo 2, semi-integrale, che reimpasta con la farina Virgo, ricca di fibre e frigge per creare due sfoglie di pasta croccante accompagnate da hummus di fagioli, pomodorini confit, burro di pinoli e spuma di mandorla (Elisa Nata)

Galleria fotografica






Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici














È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici














Rende giustizia al glutine l'esperto di alta cucina naturale Simone Salvini, evidenziandone qualità gastronomiche e sfatandone luoghi comuni. Lo chef, grazie all'intervento del professore Dinelli dell'Università di Bologna, pone l'accento su come la maggior parte delle malattie abbiano origine da processi infiammatori innescati da alimenti troppo lavorati. E' dunque il tipo di farina prima di tutto a fare la differenza e questo vale anche per il glutine. Sul palco di Identità Naturali porta il glutine "buono”, ottenuto utilizzando la farina di tipo 2, semi-integrale, che reimpasta con la farina Virgo, ricca di fibre e frigge per creare due sfoglie di pasta croccante accompagnate da hummus di fagioli, pomodorini confit, burro di pinoli e spuma di mandorla (Elisa Nata)
Galleria fotografica






Accompagnata sul palco dalla sorella Emanuela, Daniela Cicioni – cuoca vegana e crudista capace di trasformare radici e germogli in piatti di alta cucina – si cimenta con due sfide piuttosto ardue: prima il mondo del dolce, con un insolito tiramisù a base di polpa di cocco, alga Irish Moss, latte di mandorle, anacardi, sciroppo d’agave, farina di nocciole ed estratto di caffè con salsa all’artemisia. Poi il formaggio vegano, con un erborinato a base di latte di mandorle e anacardi inoculato con il Penicillium roqueforti. Anticipazione della sua linea di formaggi di prossima uscita, accompagna gli spaghetti di konjac infusi nella tisana di fiori di pisello blu con semi di finocchio (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)









Daniela Cicioni con LIsa Casali









Il viaggio di Paolo Lopriore lo ha riportato a casa, alla sua terra tra il lago di Como e la Valtellina, lontano da mode e tendenze; la sua rivoluzione sta soprattutto nel modo di servire il cibo, di immaginare la tavola e la convivialità, dando al commensale la libertà di dosare gli ingredienti, lasciando spazio alla creatività gustativa personale oltre che a quella gastronomica del cuoco e a quella artistica di chi realizza piatti e utensili di servizio come l’immaginifico affumicatore in legno che sembra uscito dal mondo delle favole. Lui lo usa per aggiungere aromi di legno e chiodi di garofano alle patate con burro salato e bietole che accompagnano gli sciatt con noci, nocino e salsa di noci, frutto del suo lavoro sulle molteplici sfaccettature di un singolo sapore. Come fa pure per la pera proposta in diverse cotture e consistenze.

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Lopriore: «La verità è nel piatto», di Paolo Marchi














È un viaggio nel mondo dell’acido e delle fermentazioni, quello proposto da Mariana Müller e dal marito Ernesto, ma anche negli spazi immensi della Patagonia. Cuoca argentina di origini tedesco-ungheresi, al ristorante Cassis propone una cucina insieme indigena e contaminata: ingredienti locali o realizzati da loro stessi – a cominciare dai tanti tipi di aceto di frutta, fiori, erbe –, autoctoni o importati nei secoli dai migranti in arrivo da Nord America ed Europa. Così ad esempio la trota, immessa nei laghi di Bariloche dagli Americani, si sposa con l’aceto di fiori di dente di leone (autoctoni), grani di senape e nocciole. «Il segreto del successo - dice la chef - è avere molti limiti!»














Del viaggio percepisce soprattutto l’elemento del rischio e la paura, ma non per questo Antonia Klugmann, cuoca in una terra di confine e di attraversamenti, si chiude alle contaminazioni, all’ascolto, agli scambi. Pronta a cogliere i frutti di nuovi incontri – come quelli con chi si mette in viaggio e arriva da noi – presenta un piatto che nasce dalla profonda conoscenza della fermentazione di una sua collaboratrice ucraina, e dalla continua scoperta del territorio circostante. La rapa viene ammorbidita dal burro al tartufo locale, poco pregiato ma dalle potenzialità interessanti, e accompagnata dai crauti preparati con aggiunta di mela fermentata secondo l’usanza ucraina














Quattro ristoranti tra Milano, Venezia e la Toscana (ed è annunciata a breve un'altra importante apertura, ndr), altrettante stelle e una cucina raffinata, creativa ma anche sempre più naturale grazie al menu vegetariano A Green Taste introdotto di recente al Mudec di Milano. Enrico Bartolini con il suo sous Remo Capitaneo presenta l’intera sequenza dei piatti, sette portate di cui protagonisti assoluti sono prodotti vegetali, umili ma resi con grande eleganza e gusto. Un assaggio per tutti: il “cannolo” di cavolo nero con salsa di carpione che nasce dal ricordo della ribollita. «Da piccolo non mi piaceva, poi mi sono ricordato del rumore diverso che faceva la tostatura delle singole verdure quando la preparava mia zia e ho capito il segreto»














Il pizzaiolo Antonio Polzella – all’opera a La Ventola a Vada – sembra aver trovato la pietra filosofale capace di rendere la pizza, oltre che buona e sana, adatta pure a chi ha problemi di diabete o dieta. Nessuna magia ma tanta ricerca, in collaborazione con l’educatore alimentare Federico Calzolari. L’impasto a base di “grano etrusco” (Khorasan), farina Petra 9 e altre farine “alternative” ha un basso indice glicemico, poco glutine, poche calorie. Profumato, croccante e ben lievitato, viene farcito con gli ingredienti della Margherita (estratto di pomodoro e mozzarella light) o – arricchito dagli scarti della lavorazione del pomodoro – farcito con una mousse di mozzarella e accompagnato dalla tradizionale pappa al pomodoro toscana









Federico Calzolari, Antonio Polzella, Lisa Casali









Valeria Margherita Mosca e i collaboratori del laboratorio Wood*ing percorrono boschi e montagne vicino casa riuscendo a vedere – e riconoscere – quello che all’occhio comune sarebbe poco più che erba e terra, creandone piatti e drink sorprendenti. Dai campi sperimentali di piante alimurgiche – varietà selvatiche adatte all’alimentazione umana – della Valtellina e dagli alpeggi d’alta montagna arrivano gli ingredienti dei piatti presentati al congresso, come la trota fermentata, affumicata e reidratata nel latte di capra con muschio quercino, fiori di dente di cane, aglio orsino, pungitopo latto-fermentato, salsa di semi selvatici e polvere di radici














È una pizza fatta con il cuore quella di Berberé, capace sì di garantire un impasto ugualmente buono da Castel Maggiore a Londra ma anche pronta a farsi contaminare da idee e sapori diversi. Con un video Matteo Aloe presenta i 5 locali aperti con il fratello Salvatore e i giovani collaboratori provenienti da tutto il mondo, da Napoli al Bangladesh, da Milano all’Albania. Sul palco, con il pizzaiolo Massimo Giuliana, propone due pizze che riassumono il loro “viaggio della pizza”: la Bangladesh creata da alcuni collaboratori (con patate speziate, pollo, cipolla e spinacino fresco) e quella che rimanda alle origini calabresi dei fratelli Aloe, con pomodoro, ‘nduja e pecorino di Crotone. Un viaggio piccante, saporito e sano: il 90% dei prodotti usati in pizzeria sono biologici














Rende giustizia al glutine l'esperto di alta cucina naturale Simone Salvini, evidenziandone qualità gastronomiche e sfatandone luoghi comuni. Lo chef, grazie all'intervento del professore Dinelli dell'Università di Bologna, pone l'accento su come la maggior parte delle malattie abbiano origine da processi infiammatori innescati da alimenti troppo lavorati. E' dunque il tipo di farina prima di tutto a fare la differenza e questo vale anche per il glutine. Sul palco di Identità Naturali porta il glutine "buono”, ottenuto utilizzando la farina di tipo 2, semi-integrale, che reimpasta con la farina Virgo, ricca di fibre e frigge per creare due sfoglie di pasta croccante accompagnate da hummus di fagioli, pomodorini confit, burro di pinoli e spuma di mandorla (Elisa Nata)

E per finire, la nostra Luciana Squadrilli, che ha seguito la giornata


Primo piano

Gli appuntamenti da non perdere e tutto ciò che è attuale nel pianeta gola

a cura di

Luciana Squadrilli

giornalista, napoletana di nascita e romana d'adozione, cerca di unire le sue tre passioni: mangiare, viaggiare e scrivere

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