E’ l’italo-chicagoan Vince Gerasole, giornalista coi tempi perfetti, ad aprire Identità Chicago, la terza edizione alla Scuola di Eataly, al Loop. Chiarita ai presenti la missione generale di Identità Golose, Vince passa il microfono a Paolo Marchi: «Siamo contenti», esordisce il patron di IG, «perché, nelle nostre trasferte Oltreoceano, è la prima volta che iniziamo a Chicago e non a New York, la prima città cui noi pensiamo dall’Europa. Tutti conoscono il cibo italiano, ma spesso, tra paste scotte e stereotipi, è una cucina fake, finta. Il tema di quest’anno è Don’t waste the planet perché non ci sono sufficienti risorse nel nostro pianeta ed è ora che tutti si entri in quest’ottica».
Dopo lo spumeggiante cappello franciacortino di Cristina Ziliani di Berlucchi («Ma voi potete anche dire Berlucci, non vi preoccupate»), è l’ora di Giancarlo Perbellini di Casa Perbellini, ristorante aperto a fine 2014 in pieno centro a Verona, due stelle Michelin in un colpo solo: «Da noi», introduce pacato la lezione il cuoco scaligero, «praticamente tutti i tavoli sono chef’s table, cioè dentro la cucina. E tutti gli ospiti possono vedere cosa prepariamo. Se noi cuochi parliamo? Solo il sous chef può farlo».

Gnocchi di polenta di Storo, pane, verze, rape rosse, brodo al caprino e polvere di crosta di Grana Padano di Giancarlo Perbellini, il piatto che ha aperto la terza edizione di Identità Chicago
Le parole di
Perbellini sono molto misurate anche qui. Ma efficaci: «Facciamo una cucina di prodotto, interpretando la stagione e cambiando il menu ogni 40 giorni». Originale la formula: «Il cliente sceglie gli ingredienti e noi cuochi decidiamo che farne». Il piatto presentato a Chicago ruota attorno agli
Gnocchi, simbolo, anche folcloristico, di Verona. Sono di polenta di Storo, «una particolare polenta rossa che fanno solo in questo villaggio vicino a Trento. E’ un piatto di recupero, che una volta spopolava nelle nostre campagne».
Con questa ricetta, si recuperano in un colpo solo polenta, pane vecchio e la crosta del
Grana Padano, che viene cotta in un brodo di gallina «tipico della domenica» e molto ridotto («5 litri dai 20 iniziali») e poi messa nel microoonde. Accanto, le verdure di stagione: cavolo croccante e bietola tostata in padella. Un assaggio dal food cost irrisorio, eppure molto efficace nella sua eleganza. Con un messaggio nobile: «Il nostro ruolo è quello di mostrare che, tornando al passato e usando solo ingredienti di stagione, possiamo proteggere la Terra». E per assaggiarlo? Tutti in piazza San Zeno: «Da ottobre entra nel menu».
Lezione uno, parte seconda. È il momento di
Sarah Grueneberg, vulcanica chef di
Monteverde a Chicago, “ristorante e pastificio”, un locale da 300 coperti a sera, aperto 10 mesi fa, così particolare e interessante che ci torneremo presto. «Sono texana, e quindi non ho bisogno del microfono», irrompe gioiosa la cuoca, a lungo al fianco di
Tony Mantuano, suo mentore di
Spiaggia.

Spaghetti monograno Felicetti, Grana Padano, pecorino romano e toscano, ricotta di siero di latte, blend di 4 pepi di Sarah Grueneberg, astro nascente della cucina di Chicago, da 10 mesi al timone di Monteverde, "ristorante e pastificio"
Il piatto si chiama
Cacio whey pepe e la chiave sta tutta in quella parola anglosassone,
whey, “siero di latte”. Sentiamo: «Questa ricetta è nata per errore: stavo facendo una
Cacio e pepe per il mio fidanzato. Appena prima eravamo stati in un’azienda per cercare uova di qualità – fondamentali per i chili di pasta fresca che prepariamo ogni sera. A un certo punto mi hanno dato un gallone di latte crudo, che è illegale ma
very exciting per un cuoco. Per l’emulsione finale con l’acqua di cottura della pasta, ho deciso di impiegare del siero di latte – che di solito si scarta e quello sì che è legale – al posto del burro». Un accorgimento che le è valso il titolo di piatto dell’anno dalla lettissima
Bon Appetit (che si somma ad altri premi importanti).
In mezzo c’è tutta una preparazione laboriosa, «figlia della semplicità e non del semplice» riassumerà bene
Paolo Marchi a fine lezione. Si utilizzano degli
Spaghettoni di Matt
Monograno Felicetti, tolti dall’acqua 5 minuti prima della cottura indicata sulla confezione. Si fanno saltare energicamente in padella per i successivi 5 minuti con dei blocchi di ricotta di siero di latte sbriciolata sopra a mano, cotta precedentemente a fuoco lento con un po’ di sale.
A parte ancora, in un mortaio, aveva grattato al Microplane tre formaggi:
Grana Padano, pecorino romano e un secondo pecorino meno salato del primo. «Di solito», ha spiegato la cuoca, «provengono dalla Toscana o dalla Sardegna». Chiude l’insieme un blend di quattro tipi di pepe nero. Un piatto molto saporito e leggero, con una splendidà acidità e una caratteristica importante, sottolineata da
Sarah: «Ogni pezzo di spaghettone è circondato dalla sua salsa». Che, a pensarci, non accade quasi mai con la ricetta classica.