28-06-2021

Il nuovo menu di Bottura spiegato da Bottura (e assaggiato da noi): un omaggio alla grande cucina italiana

Piatto dopo piatto, la biodiversità culturale di Francescana & C. celebra la nostra storia golosa: «Un modo per consolidarci nel mondo», perché senza radici la grandezza è figlia del nulla

Foto Carlo Passera

Foto Carlo Passera

Questo è un pezzo che Carlo Passera e io abbiamo un po’ rubato. Per Leo Longanesi, che fu tantissime cose, non solo un editore, “un’intervista è un articolo rubato” perché sono le risposte che compongono il pezzo. Ecco, noi siamo andati oltre: al tavolo allestito nella cantina accanto alle cucine, lui in piedi come un direttore d’orchestra, ha in pratica parlato solo Massimo Bottura tanto che le firme dovrebbero essere tre, le nostre due e la sua.

Carlo e io abbiamo messo in ordine un maestoso fiume in piena, i pensieri dello chef scaturiti nel commentare un menu che si chiama come il precedente, With a little help from my friends. Ma se in quello antecedente, col fil rouge dei Beatles come storytelling, dominava una riflessione libera che esprimeva la biodiversità culturale incarnata dalle brigate dei vari ristoranti di Massimo Bottura (tutte sono state coinvolte nel lavoro di elaborazione dei piatti), ora rimane lo stesso approccio ma con un oggetto di studio e dunque un protagonista diverso: la cucina italiana.

Il dream team della Francescana che ci ha preparato il nuovo menu. Da sinistra Stephanie Cemin, Alice Fasano, il neopromosso sous chef Allen Huynh, Lucas Mottek, Gabriele Curró, Doina Paulesco, Pasquale Iacobucci, Ettore Surdo, Siu Cheng, Alessio Spagnolo, l'altro neopromosso sous chef Matteo Zonarelli. Foto Carlo Passera

Il dream team della Francescana che ci ha preparato il nuovo menu. Da sinistra Stephanie Cemin, Alice Fasano, il neopromosso sous chef Allen Huynh, Lucas Mottek, Gabriele Curró, Doina Paulesco, Pasquale Iacobucci, Ettore Surdo, Siu Cheng, Alessio Spagnolo, l'altro neopromosso sous chef Matteo Zonarelli. Foto Carlo Passera

«Siamo andati tante volte a mangiare nei ristoranti dei quali interpreto alcune ricette (18 in tutto, compreso il suo Camouflage, ndr). Mi ricordo ad esempio una data precisa, 30 settembre 1970, il mio compleanno. Ero a mangiare dai Cantarelli, Peppino e Mirella, a Samboseto verso Parma. Oggi abbiamo dimenticato questo nostro passato, mentre il mondo deve sapere che noi veniamo da qua, il mondo deve conoscere Bergese e Tassa, Corelli e Picchi, deve ricominciare a parlare di questi grandi chef italiani perché sono le nostre radici. Dobbiamo raccontarci; dobbiamo onorare le nostre origini, parlare agli altri, far tornare i grandi gourmet in Italia. Celebrare le nostre origini è il modo per consolidare e riproporre la nostra grandezza», perché senza radici la grandezza sembra figlia del nulla, qualcosa di aleatorio, di fragile.

Memoria è la parola chiave alla quale legare questa degustazione. L’abusatissima frase di Andy Warhol sul quarto d’ora di celebrità che non viene negato a nessuno certifica la mediocrità che una circostanza spesso fortuita regala un po’ di luce a chiunque. Ecco, il modenese lavora in direzione esattamente opposta. Lascia da parte le inutilità che troviamo sempre e ovunque, e lavora perché anche chi nel 1970 non era nemmeno nato possa sapere chi fossero i Cantarelli.

«Credo che questo menu sia, paradossalmente, il perfetto esempio di ciò che vuol dire essere contemporanei. Non basta guardare a sé stessi, a meno che non si sia geni come Picasso e allora ogni cosa riesce spontanea. Viceversa, bisogna riflettere, studiare, coinvolgere il proprio team. Lanciare stimoli di pensiero e culturali, idee che volano e qualcuno le intercetta, qualcuno le assorbe, le mastica, poi le dimentica e le rielabora nella propria mente creativa».

I piatti del nuovo menu. Foto Paolo Terzi

I piatti del nuovo menu. Foto Paolo Terzi

«Il menu procede come un brano orchestrale: c’è l’ouverture, l’adagio, l’allegro, il minuetto, il gran finale (per me l'adagio è la parte più importante, perché è sussurrato, prima dei picchi più alti). Così ho pensato prima alla composizione e solo dopo ai singoli piatti. Allo stesso modo, prima c’è la squadra e poi tutto il resto: bisogna saper costruire il proprio team, che corrisponde al costruire il menu. È la squadra la vera forza: io da solo sono Massimo, insieme ai miei collaboratori siamo Osteria Francescana, Casa Maria Luigia, il Cavallino, la Franceschetta, Torno Subito, Gucci Osteria eccetera».

«Siamo partiti facendoci mandare dai colleghi/amici o recuperando e poi realizzando 100 ricette, una selezione antologica della storia della cucina italiana contemporanea dagli anni Sessanta alla mia generazione esclusa, quindi fermandoci a quella che mi ha preceduto. Cronologicamente siamo andati indietro nel tempo: i primi piatti che abbiamo recuperato sono di Pellegrino Artusi, ma alla fine non sono entrati in questo menu, partiamo infatti da Mirella Cantarelli e Nino Bergese. Magari li proporremo in futuro, perché la nostra intenzione e di procedere con questo lavoro, di continuare a omaggiare la cucina italiana, a capitoli, magari arrivando fino ai giorni nostri, e quindi di inserire in futuro, che ne so, un maestro come Angelo Paracucchi ma anche Massimiliano Alajmo, i fratelli Cerea, Mauro Uliassi, Moreno Cedroni… Oppure sviluppando altre ricette di Gennaro Esposito o di Corrado Assenza, che in questo menu sono entrati solo come petit fours. Sono e saranno pagine di storia che continueranno ad aumentare. Perché il problema è che non conosciamo le nostre radici, poi magari facciamo la cucina del foraging. Ci si dimentica della storia». E qui torniamo alla memoria che va nutrita costantemente. Certo, si potrebbe dire che vi sono università, storici, siti, associazioni che si dedicano a quanto abbiamo alle nostre spalle ma nessun cuoco. Perché la grandezza di questa operazione sta in chi l’ha avviata. E guai chiamarla operazione nostalgia. Massimo vive nell’oggi, non rimpiange il tempo passato. Vuole che si sappia da dove arriviamo, ma al suo botteghino c’è esclusivamente un biglietto di sola andata.

Massimo Bottura

Massimo Bottura

E il lavoro è ben lontano dall’essere compiuto: «Alle 4 della mattina del giorno prima dell’esordio del nuovo menu di 12 portate principali, ero già sveglio, mi sembrava che qualcosa non funzionasse. Ho così deciso di togliere altri due piatti e li ho ridotti a 10 (oltre ad amuse bouche e petit fours, più il Camouflage finale che sarà il punto di partenza del prossimo degustazione che Bottura ha già in mente ndr). C'erano troppi concetti. Così invece è equilibrato».

Un equilibrio in movimento.

Si parte con gli amuse bouche... Foto Paolo Terzi

Si parte con gli amuse bouche... Foto Paolo Terzi

S'inizia con gli amuse bouche, tre di altrettanti chef italiani.

 

Interpretazione di Bottura de Il Wafer si Veste D’oro di Giancarlo Perbellini - 2003. Foto Carlo Passera

Interpretazione di Bottura de Il Wafer si Veste D’oro di Giancarlo Perbellini - 2003. Foto Carlo Passera

Il Wafer si Veste D’oro di Giancarlo Perbellini (2003). Bottura: «Questo è il wafer di Perbellini che diventa una ceviche. Ed è il nostro saluto agli ospiti, col "ciao", il segno dell'accoglienza italiana».

 

L'assaggio ispirato a Volevo Essere Fritto di Ciccio Sultano – 2010. Foto Carlo Passera

L'assaggio ispirato a Volevo Essere Fritto di Ciccio Sultano – 2010. Foto Carlo Passera

Volevo Essere Fritto di Ciccio Sultano (2010). Il gambero in cannolo di Sultano, con polvere di teste di gamberi e salsa delle teste stesse. L'essenza del gambero, in pratica.

 

Come la Francescana vede Minestra di Pane di Fabio Picchi - 1979. Foto Carlo Passera

Come la Francescana vede Minestra di Pane di Fabio Picchi - 1979. Foto Carlo Passera

Minestra di Pane di Fabio Picchi (1979). Bottura: «Una zuppa di pane, come simbolo della nostra storia». L'acqua di pomodoro bagna il pane secco tostato, come fosse un dashi e il pane il suo katsuobushi, «molto orientale come idea, ti scalda lo stomaco e ti mette di buonumore».

 

La rilettura di La Cipolla Fondente di Salvatore Tassa - 1990. Foto Carlo Passera

La rilettura di La Cipolla Fondente di Salvatore Tassa - 1990. Foto Carlo Passera

La Cipolla Fondente di Salvatore Tassa (1990). Il primo piatto "vero" nel nuovo, attesissimo menu del più importante ristorante del mondo? Pane e cipolla. Bottura: «Tassa ha saputo di questo mio omaggio a una sua ricetta ed è venuto a trovarmi al Cavallino, proprio il giorno dell'apertura, per abbracciarmi. È la cipolla che diventa pane, con tutta la dolcezza e l'acidità. Con la polvere di pelle di cipolla bruciata tra le sfoglie dell'impasto». E la sfoglia di Parmigiano.

 

L'Insalata di Spaghetti al Caviale di Gualtiero Marchesi - 1985, secondo Massimo Bottura. Foto Paolo Terzi

L'Insalata di Spaghetti al Caviale di Gualtiero Marchesi - 1985, secondo Massimo Bottura. Foto Paolo Terzi

L'Insalata di Spaghetti al Caviale di Gualtiero Marchesi (1985). È la rilettura di uno dei piatti più celebri del maestro Marchesi, che incontra un'idea botturiana di qualche tempo fa, Chicken chicken chicken… where are you? Bottura: «Ma dove sono gli spaghetti? Non ci sono, o meglio sono nascosti. Cuociamo degli spaghetti in un brodo delicato di branzino, frulliamo, creiamo così un miso, una crema di pasta e brodo di branzino che va alla base del piatto. La cui estetica prevede poi dei finti spaghetti ma tutti di verdure. Infine pasta di seppia e il caviale che va a giocare a tris: a seconda dello spaghetto che si mangia, cambia anche la percezione gustativa».

 

Il piatto ispirato a Le Capesante Ripiene di Mortadella di Fulvio Pierangelini - 2005. Foto Paolo Terzi

Il piatto ispirato a Le Capesante Ripiene di Mortadella di Fulvio Pierangelini - 2005. Foto Paolo Terzi

Le Capesante Ripiene di Mortadella di Fulvio Pierangelini (2005), diventano Ravioli di capesante e mortadella, chowder di finocchio, mela marinata. C'è la parte golosa dei ravioli, poi il chowder di finocchi ed erbette «e i dischi di mela acida, con aceto di fiori di sambuco, che puliscono dai ravioli. M'immagino questo piatto nel futuro, penso possa diventare un dessert».

 

L'interpretazione di Controfiletto del San Domenico di Nino Bergese - 1975. Foto Paolo Terzi

L'interpretazione di Controfiletto del San Domenico di Nino Bergese - 1975. Foto Paolo Terzi

Il Controfiletto del San Domenico di Nino Bergese (1975) diventa Melanzana, glassa fumée e salsa alle erbe. «Lavoriamo l'ortaggio proprio come se fosse un controfiletto. E ce lo "dimentichiamo" dentro al green egg ad affumicare, così prende note anche di bruciacchiato. Quindi serve una parte grassa: Bergese aggiungeva il bacon, noi la glassa e una salsa quasi classica alle erbe aromatiche. Alla fine la melanzana ha una consistenza da urlo». Vero.

 

Il Savarin di Riso di Mirella Cantarelli – 1963, secondo Bottura. Foto Paolo Terzi

Il Savarin di Riso di Mirella Cantarelli – 1963, secondo Bottura. Foto Paolo Terzi

Il Savarin di Riso di Mirella Cantarelli (1963) diventa un Chawanmushi di Parmigiano, lingua, spugnole, taccole, asparagi e fondo di funghi. Bottura: «L'idea nasce mentre ero in Giappone, quindi è il Savarin della Cantarelli in stile jap, come parte della nostra biodiversità culturale». Lo chef prende l'acqua di parmigiano (quella che usa per il Risotto cacio e pepe) e la addensa con farina di riso, «praticamente è già un risotto alla parmigiana. Poi aggiungiamo il bianco d'uovo e va in forno, per ottenere il chawanmushi». E poi? «Facciamo viaggiare il Savarin nel tempo, in due modi. Il primo, lo portiamo dal 1965 a oggi. Il secondo: lo portiamo dall'autunno alla primavera: non più un condimento di salsiccia e porcini, ma di piselli, tacole, fave, asparagi e spugnole. Insomma introduciamo il concetto contemporaneo di stagionalità, che ai tempi della Cantarelli non veniva preso in considerazione». C'è anche, sottolinea lo chef, un tocco di Joël Robuchon, nell'estetica classica. «E la spalla di San Secondo Parmense della ricetta originale si trasforma e diventa bollito misto; a me la parte del bollito che piace di più è la lingua». Dunque, dischetti di lingua bollita.

 

In un solo piatto, Faraona alla Creta di Mirella Cantarelli – 1963 & Risotto alla Bergese di Nino Bergese - 1974. Foto Paolo Terzi

In un solo piatto, Faraona alla Creta di Mirella Cantarelli – 1963 & Risotto alla Bergese di Nino Bergese - 1974. Foto Paolo Terzi

Faraona alla Creta di Mirella Cantarelli (1963) & Risotto alla Bergese di Nino Bergese (1974) diventano Faraona ripiena di pane e frattaglie con fondo bruno filtrato infuso con riso tostato. Bottura: «Picasso diceva che copiare gli altri è necessario, copiare se stessi è deplorevole. Io mi approprio di un'idea con nuove suggestioni. Parto allora dalla farcia che ho visto fare al NoMad di New York, per il loro pollo arrosto, e la utilizzo per "proteggere" la mia faraona, al posto della creta. E poi ecco il Risotto alla Bergese, che è... un fondo di riso! Ossia tosto il riso e poi lo passo ai filtri della macchina del caffè: ottengo così, senza l'uso della carne, un forndo bruno leggermente più chiaro, cui poi cambio consistenza (e non uso burro, per garantire la pulizia dei sapori)».

 

La rilettura della Francescana di Germano Ripieno di Anguilla di Igles Corelli - 1985. Foto Paolo Terzi

La rilettura della Francescana di Germano Ripieno di Anguilla di Igles Corelli - 1985. Foto Paolo Terzi

Germano Ripieno di Anguilla di Igles Corelli (1985) diventa Anguilla, pelle croccante, spinaci, rafano, mirtilli e aceto balsamico Villa Manodori. Bottura: «Una sezione perfetta: la pelle del germano reale croccante, poi l'anguilla, quindi le interiora del germano, con le sue ossa e la sua carne che diventano il fondo, il tutto abbinato all'intensità dei mirtilli degli Appennini. Serviamo in un piatto di Ginori» espressamente realizzato per la Francescana, non esiste in commercio. «È la summa della valle del Po, la pesca delle anguille e la caccia ai germani reali». Bottura ricorda quando, proprio dopo una sua partecipazione a Identità Golose 2011 (con un video che puntava sul ricordo sulle note di Bob Dylan) la Regione Emilia-Romagna si impegnò nella riqualificazione del Parco del Delta del Po, con un investimento di 14 milioni di euro. «Fu la terza delle nostre iniziative di carattere sociale: prima c'erano stati il recupero della razza Bianca modenese e le opere di solidarietà post-terremoto; dopo sono arrivati i Refettori di Food for Soul».

Gli strati di Germano Ripieno di Anguilla. Foto Paolo Terzi

Gli strati di Germano Ripieno di Anguilla. Foto Paolo Terzi

 

Il piatto ispirato a Budino di Cipolla di Igles Corelli - 1983. Foto Paolo Terzi

Il piatto ispirato a Budino di Cipolla di Igles Corelli - 1983. Foto Paolo Terzi

Budino di Cipolla di Igles Corelli (1983) diventa Crème caramel di foie gras e lapsang souchong, cipolle caramellate, chantilly di zenzero e meringa. Bottura: «Abbiamo preso il piatto di Corelli, l'abbiamo rivisto, l'abbiamo rifatto: abbiamo spostato lo zenzero, la cipolla è stata messa da un’altra parte, il budino diventa un crème caramel con infusione di scaloppa di foie gras tostata dentro al latte con la vaniglia e la cipolla bruciata. Abbiamo filtrato tutto e cotto lentamente». Poi una crema chantilly allo zenzero. Ne deriva un dessert quasi salato, l’unica parte dolce è la meringa di erbe. Notiamo: la cipolla apre il menu degustazione, dopo gli amuse bouche; la cipolla chiude, prima dei dessert veri e propri: insomma non solo il pane, anche la cipolla è oro.

 

Zuppa fredda di Carbonara di Gianfranco Vissani - 2020, secondo Massimo Bottura. Foto Paolo Terzi

Zuppa fredda di Carbonara di Gianfranco Vissani - 2020, secondo Massimo Bottura. Foto Paolo Terzi

Zuppa fredda di Carbonara di Gianfranco Vissani (2020) diventa Crema inglese al pepe, guanciale, banana, gelato di pecorino, caviale. Piatto folle, impossibile, straordinario. Bottura: «Quando nel 2016 aprimmo il Refettorio a Rio de Janeiro eravamo praticamente senza niente. Preparai così al volo una carbonara... con le bucce di banana!». Lo chef riprende quella ispirazione e la applica alla ricetta di Vissani, che modifica sostanzialmente: «Trasformiamo la carbonara in un dessert. Prendiamo le bucce pelate della banana, le tostiamo e diventano un cono croccante. Poi mettiamo una base di crema di banana con gelato al pecorino e crema inglese alla vaniglia e pecorino – a riprendere appunto la carbonara – con cubi di guanciale tostato (pazzeschi!, ndr) che esprimono tutta la loro sapidità. Il cono hanno l'aspetto di quelli del ceramista Giorgio Di Palma a Casa Maria Luigia». E infine il tocco vissaniano: una cucchiaiata di caviale in fondo al cono di banana, come fosse il cioccolato che si trova sempre a chiudere i coni gelato industriali. E ovviamente il pepe a condire il tutto.

 

Bottura rilegge i Tortelli di Zucca della famiglia Santini, “da sempre”. Foto Paolo Terzi

Bottura rilegge i Tortelli di Zucca della famiglia Santini, “da sempre”. Foto Paolo Terzi

Tortelli di Zucca della famiglia Santini, “da sempre”, diventano Patata dolce al forno a legna, mostarda, limone, vaniglia, burro, profumo di caffè. Bottura: «È il tortello di zucca dei Santini, ma senza zucca. Riprendo anche il concetto nascosto in quello che preparava mia nonna Ancella, un classico mantovano, lei era del Po, di Villa Poma per la precisione, vicino a Poggio Rusco» (ma nel Comune di Borgo Mantovano, ndr). «Ebbene, quei suoi tortelli erano di fatto un dessert, non un primo piatto… Riprendo l'idea e omaggio tutta la profondità e la storia delle paste ripiene italiane, in una splendida stoviglia classico di Ginori». Per un assaggio che colpisce il cuore e sembra una scultura.

 

Babà di Gennaro Esposito - 1994; Cannolo di Corrado Assenza- 1985; Riso oro e zafferano di Gualtiero Marchesi - 1981. Foto Carlo Passera

Babà di Gennaro Esposito - 1994; Cannolo di Corrado Assenza- 1985; Riso oro e zafferano di Gualtiero Marchesi - 1981. Foto Carlo Passera

Petit fours: Babà di Gennaro Esposito (1994); Cannolo di Corrado Assenza (1985) e Riso oro e zafferano di Gualtiero Marchesi (1981). L'omaggio ad Assenza è cannolo croccante con crema di gelso, cassis e fragole disidratate. Quello a Marchesi un macaron con risotto allo zafferano, senza zucchero. Quello a Esposito un babà mignon con bagna al ruhm, crema chantilly allo yuzu e cappero in cima.

 

Camouflage di Massimo Bottura - 2012. Foto Carlo Passera

Camouflage di Massimo Bottura - 2012. Foto Carlo Passera

Si termina con un classico di Bottura, Camouflage (2012), ma è un nuovo inizio: peché proprio da Camouflage partirà il prossimo menu dell'Osteria Francescana.

LEGGI QUI LA STORIA DELLA TRATTORIA CANTARELLI


Affari di Gola di Paolo Marchi

Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito

a cura di

Paolo Marchi e Carlo Passera