È arrivato da appena un’ora a Milano, dopo un’odissea di voli causa neve, ma sul palco di Identità di Sala Will Guidara non appare minimamente stanco. Sorride, scherza e non perde l’opportunità di ricordare il valore della gentilezza: «Non si tratta solo di formalità. Se sei gentile con gli ospiti li ispiri ad essere persone migliori una volta usciti dal tuo ristorante».
Il maître newyorkese e lo chef Daniel Humm sono il magic team che ha portato l’Eleven Madison Park di New York a diventare miglior ristorante al mondo nei The World's 50 Best Restaurants 2017. Un’alchimia rara, un rapporto strettissimo («Sarebbe più difficile separarmi da lui che da mia moglie - scherza Guidara - Le tensioni ci sono… ma non andiamo mai a dormire arrabbiati») e soprattutto la convinzione condivisa che la sala sia importante quanto la cucina: «Quando ci siamo incontrati io non volevo più lavorare in un ristorante fine dining. Nessuno chef riusciva a capire che il mio lavoro era importante quanto il loro. Poi ho incontrato Daniel». L’anno scorso il ristorante ha compiuto vent’anni, e hanno firmato il contratto di affitto per i prossimi venti.
L’intervento di
Guidara apre la giornata di
Identità di Sala, organizzata insieme a
Cantine Ferrari Trento. Nel 2016 la casa vinicola ha cominciato, insieme ai
The World's 50 Best Restaurants, un percorso di approfondimento sull’
Arte dell’Ospitalità. «Per noi è stato inevitabile iniziare a ragionare sull’accoglienza - spiega
Matteo Lunelli sul palco - Fa parte dell’identità italiana e del dna della nostra azienda». E proprio per questo hanno istituito il
Ferrari Trento Art of Hospitality Award, destinato al ristorante che si distingue per “un’ospitalità memorabile” e vinto, nel 2016, proprio dall’
Eleven Madison Park.
Tutti i riconoscimenti ottenuti negli ultimi anni, spiega Guidara, li hanno aiutati - ma in un senso molto diverso da quello che immaginiamo. «Non puoi far amare una cena a chi non è pronto ad amarla. Per vivere bene una cena devi approcciarla nel modo giusto. E in questo senso i premi sono fondamentali: gli ospiti arrivano super excited già solo per essere lì. Non devi convincerli a divertirsi, sanno già che lo faranno». Quando parla del servizio di sala Guidara non ne parla mai come un monologo, né come un dialogo tra due persone - sala e cucina - ma come un’interconnessione molto più particolare: «Le relazioni, le connessioni con gli ospiti, lo scambio di punti di vista. Sta tutto lì. Il ristorante non è un tempio, è una conversazione». Una conversazione in cui anche mostrare la propria vulnerabilità può essere vincente: «Prima di ogni cena chiediamo all’ospite a cosa è allergico e cosa non gli piace. All’inizio si vergognavano e non dicevano nulla. Allora abbiamo iniziato a dire cosa non piace a noi. Tipo: a me non piacciono i ricci di mare. Ha funzionato».

A dialogare con Guidara, il giornalista Federico De Cesare Viola
Nella sala dell’
Eleven Madison Park ci sono 70 persone. Inevitabilmente le relazioni interne, tra membri del team, diventano importanti quanto quelle esterne, con gli ospiti: la sua squadra è il fattore umano fondamentale. «Molti dicono che l’ospitalità non si può insegnare, ma io non sono d’accordo - afferma
Guidara - Insegno loro a essere ospitali, ma anche a cercare continuamente l’eccellenza. Li spingo continuamente a dare il meglio, ma non sono mai scortese, non sono quel tipo di insegnante che urla tutto il tempo. Perché alla fine
you get what you give, ricevi quello che dai».