26-03-2018
Un'illustrazione dello stesso Antonio Labriola
Parlando di ristorazione e organizzazione il termine che spesso viene immediatamente citato è mise en place, che di “googleiana” traduzione suonerebbe “messa sul posto”. Con questo termine, che spesso finisce nel dimenticatoio di tutte le terminologie francesi legate alla cucina, si intente la predisposizione di tutti gli ingredienti e utensili (pentole, coltelli...) necessari allo svolgimento di una preparazione o del servizio (preparazione della tavola eccetera). Con l’esperienza, e spesso il fallimento, ci si rende conto di come questo concetto sia fondamentale nella vita di un operatore della ristorazione: infatti avere una buona mise en place vuol dire portare a termine un servizio senza intoppi e con facilità.
Ovviamente una buona organizzazione si ottiene con anni di esperienza e formazione, da ciò viene istintivo (o almeno la mia deformazione professionale ed accademica fa sì che succeda) il collegamento con l’individuo. Infatti, giocando su questo termine e cercando di sottolineare l’importanza dell’individuo e del suo ragionamento, è nata la formulazione del termine mind en place, ossia “la testa sul posto”.
Mai come quest’anno, che ha visto il Fattore umano come protagonista del congresso Identità Golose, l’importanza del concentrarsi sull’individuo è fondamentale. Infatti se raffiguriamo il ristorante come un macrocosmo diviso in due grandi spazi, sala e cucina, possiamo pensare al personale come tanti piccoli microcosmi che si interfacciano e interagiscono fra loro.
La stessa cosa può succedere a un locale se i suoi elementi non sono ben disposti ed amalgamati tra loro. Capita spessissimo di leggere recensioni o sentire commenti del tipo: “La cucina è strepitosa ma il servizio lascia a desiderare”; “Il servizio è stato impeccabile ma la cucina non credo abbia funzionato al meglio”. Quindi da qui l’osservazione che in un ristorante, oltre ad una corretta mise en place, si necessiti di una mind en place intesa come capacità di analisi dei limiti e del potenziale del locale, come capacità comunicativa tra sala e cucina e tra i membri dello staff, come capacità di comprendere quali strategie utilizzare per migliorare il servizio e il lavoro all’interno della struttura, come capacità nel gestire le criticità ed i conflitti interni, come capacità di problem solving e molto altro. Da ciò si evince come l’individuo diventi la colonna su cui verte la cucina e il servizio di un locale, e come il suo comportamento influenzi in positivo e in negativo il tutto.
La ristorazione da un decennio a questa parte è in evoluzione con nuove tecniche sempre più avanzate, ma una cosa resta sempre identica: c’è sempre un individuo che compie le azioni. Dunque è necessario che gli individui vengano formati e accompagnati nella loro crescita facendo sì che si sviluppino le loro potenzialità nel miglior modo possibile e in un contesto il minor stressante possibile. Questo non nasce, come per magia, in ogni locale, ma si ottiene attraverso anni di lavoro su sé stessi e sullo staff, spesso con l’aiuto di persone che svolgono questo compito per mestiere.
La formazione è la base della crescita di ogni individuo e nella ristorazione oggi più che mai c’è bisogno di mind en place affinché un locale diventi una “salsa perfetta”.
Tutto sull’edizione 2018 di Identità Golose, a Milano da sabato 3 a lunedì 5 marzo. Il tema della quattordicesima edizione sarà “Il fattore umano”
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Classe 1986, lucano d’origine ma torinese d’adozione. Psicologo, cuoco e consulente nella ristorazione, perciò si definisce “uno psicologo con la testa in cucina”. Docente e formatore in diverse scuole di cucina. Collaboratore del gruppo Brollomisto. Convinto che ci vuole testa in tutto ciò che si fa