05-04-2020
Questo lungo racconto dedicato a Brera è stato scritto per la guida che le edizioni di Repubblica hanno dedicato al cosiddetto quartiere degli artisti di Milano nell’ottobre 2019. E’ frutto dei miei ricordi e come tale incompleto pur se sincero. Ad esempio, solamente ora in piena pandemia, ho scoperto che l’edicola davanti all’Accademia, a curarla c’è Rino, è lì solo dal 2000. Prima se ne stava a inizio via Brera. Sfrattata, gli abitanti della zona insorsero con una petizione che andò a buon fine.
E’ suggestivo pensare che la parola Brera derivi da braida, termine che indicava una zona incolta, infestata dalle sterpaglie. Ovviamente non ai giorni nostri ma nemmeno nell’Ottocento, il 1800, perché Brera iniziò a prendere forma nel IX secolo, nell’Ottocento senza il mille davanti. Suggestivo perché ci fa pensare a una Milano così diversa da non riuscire nemmeno a vagheggiarla. Ma chi oggi ha venti o trent’anni, e frequenta tutto contento Brera, più la sera che durante il giorno, difficilmente si immagina quanto fosse autentica e intensa in un secondo dopoguerra arrivato a lambire gli inizi degli anni Novanta. Oltre non mi ci riconosco.
Il palazzo che ospita l'Accademia di Brera in una stampa antica. Sullo sfondo si distingue la Pusterla Beatrice, una delle porte minori di accesso alla città di Milano. Oggi il tratto finale di via Brera è caratterizzato da un'accozzaglia di bar facilmente dimenticabili
Brera oggi è una formidabile macchina da soldi, soprattutto a livello svago, oggettistica e ristorazione. Chi fa impresa lì deve lottare al coltello con i vicini per non farsi sbranare e soccombere. Deve anche difendersi da una nuova
Corso Garibaldi all'altezza di vian Anfiteatro, la domenica delle Palme in anno di pandemia
Tanti la bazzicano felici e questa guida ha una formidabile ragione d’essere perché separa la farina dalla crusca. Peccato io vi abbia vissuto fino al 1980 e certe ferite non si rimarginano mai. Succede che vedo la Brera di oggi e vi sovrappongo quella di ieri. Vivendo e lavorando a poche centinaia di metri, casa e bottega in direzioni opposte, con l’Accademia in mezzo, succede di attraversala, quasi sempre in bici, anche se non volessi.
La basilica di San Simpliciano a Milano
Via Borgonuovo, foto scattata all'altezza di via Fiori Oscuri
Preferivo di gran lunga Brera a Borgonuovo, ma se risiedevi in una delle “via dei ricchi”, sapevi che saresti andato a scuola al Parini in via Goito, non in via Palermo, così come il tuo oratorio sarebbe stato quello della chiesa di San Marco, all’angolo con via Fatebenefratelli, e non quello della basilica di San Simpliciano. San Marco vantava un cineforum d’essai, San Simpliciano un
Il campanile della chiesa di San Marco, visto da via Borgonuovo
Penso che oggi sia difficile per un venti-trentenne immaginarsi cosa fosse Brera perché Milano ha accettato tanti tratti comuni alla stragrande maggioranza delle città del globo, quelle catene, quei negozi e quei bar, quei supermercati, quelle cartolerie, quei centri benessere, quei brand che ritrovi ovunque e appiattiscono ogni immagine originale di un centro abitato.
Certo, anche ora non puoi confonderti i Navigli con Brera piuttosto che Brera stessa con l’Isola, ma sono troppi i dettagli in comune, che finiscono con appiattirle. Allora era impossibile mescolare le immagini e i ricordi tra un rione e l’altro. Intanto gli artisti e gli scrittori c’erano per davvero, e bravi. Entrare al
Il Bar Jamaica in una foto del secondo dopoguerra Jamaica non era per tutti, figuriamoci sedersi. Mamma Lina, minuta come le nonnine delle fiabe, sguardo di una dolcezza estrema, accoglieva tutti. Da leggenda i suoi crostini burro, fettina sottile di limone e acciuga, da incorniciare – e lì le cornici non mancavano certo – il toast prosciutto cotto e formaggio, con due fette di pane tipo Altamura.
Il Bar Jamaica in una foto del secondo dopoguerra
Sul lato opposto dello stretto tratto iniziale di via Brera, iniziale arrivando da via Solferino, un ottimo salumaio e un negozio di ortopedia, che metteva in vetrina pancere, busti, tutto utile ma nulla di brioso e goloso. Lo ricordo ora perché si capisca come il quartiere fosse ricco di ogni attività pratica, concreta perché alle famiglie residenti non mancasse nulla a livello di beni essenziali.
Nell'ultimo tratto di via Marco Formentini, prima della chiesa sconsacrata di San Carpoforo, l'angolino in fondo a sinistra ha ospitato a lungo un vespasiano a muro, utile sì ma dall'immagine poco nobile
Via Fiori Chairi lato numeri dispari, qui un tempo c'era un fabbro
Arrivando in via Mercato merita il caffè di Pandenus, a patto di prenderlo nella veranda, poi svoltare a destra nel tratto stretto, iniziale, di Fiori Chiari. Il nuovo è nel segno di una golosa consulenza di Gennaro Esposito con It, la storia, quasi di fronte, dalla Torre di Pisa. Uguale nel tempo e, a differenza di numerose altre insegne, senza quella triste patina del tempo che si accumula sui posti che non si rinnovano. Sembra che il tempo si sia fermato.
Italo Manca seduto a un tavolo del suo locale, la Libera in via Palermo
Potrei spingermi ancora più verso largo La Foppa, come un tempo lontano facevamo in tanti per andare al Cinema Paris o alla cineteca Obraz, spariti entrambi, potrei fermarmi prima per gonfiare le ruote della bici da Rossignoli o
La Torre di Pisa, intramontabile indirizzo di Brera
Una cosa non ho mai gradito di Brera: i finti pittori in strada, roba che un imbianchino ha più mestiere e talento, e i cartomanti. Lo fanno per campare e lo capisco, non capirò invece mai chi si ferma da loro e si fa raccontare di tutto, e tutto inventato, a casaccio. Tristezza.
Piatti e momenti che hanno allargato la mia vita
a cura di
nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose. blog www.paolomarchi.it instagram instagram.com/oloapmarchi