18-12-2018

La Michelin sempre avara con le chef

Nonostante le 3 stelle alla Crenn, solo 161 insegne sulle 2990 premiate sono guidate da cuoche. Se ne parlerà a SanSebastian

Le tre stelle al femminile nel corso del tempo, da

Le tre stelle al femminile nel corso del tempo, da in alto a sinistra in senso orario: Elena Arzak, Eugenie Brazier, la più famosa delle “madri lionesi” almeno mezzo secolo fa, Dominique Crenn, Annie Feolde, Anne-Sophie Pic, Carme Ruscalleda, Nadia Santini e Luisa Valazza

La terza stella a Dominique Crenn e al suo Atelier Crenn un paio di settimane fa a San Francisco, lei francese trapiantata in California da una ventina d’anni, prima donna a salire così in alto nella Michelin americana, ha riaperto l’eterna discussione sulla penuria di donne chef. Attenti: chef e non cuoche. Le cucine, ovunque nel mondo, sono piene di cuoche, dalle case private alle mense, trattorie e ristoranti quotidiani. In pratica non troviamo donne davanti ai forni delle pizzerie – e nessuno sembra lamentarsene – e nei locali di alta cucina, quelli giudicati - ed eventualmente premiati - dalla guida rossa. E qui le polemiche si trascinano da tempo immemore.

C’è un motivo terra terra, molto banale: sono ben di più gli chef uomini, i capi di brigate poderose e numerose, militarizzate nelle gerarchie, rispetto alle donne chef. Quindi è gioco forza che sia così anche a livello di riconoscimenti. Più

uomini che donne stellate. Ma dove sta scritto che questo debba perpetuarsi in eterno? Certo, la critica è maschile, i grandi capi Michelin sono maschili ma se a uno chef sono richieste idee, palato, sapienze, novità, cultura, cosa c’entrano i muscoli? Ho perso il conto di chi giustifica una cucina tutta al maschile, la sua, con frasi del tipo “le donne fanno fatica a sollevare pentole che pesano tanto anche da vuote, meglio gli uomini”. Senza sapere che il sollevamento pesi è specialità olimpica al femminile dal 2000 a Sydney.

Trovo avvilenti le quote, rose, azzurre e arcobaleno, tatuati e non tatuati… Bisogna arrivare a rimuovere ogni ostacolo sulla via della crescita professionale senza distinzioni di genere. In tal senso trovo davvero interessante e importante un convegno, pensato e organizzato da Sasha Correa domani al Basque Culinary Center. Il 19 dicembre a San Sebastian, la Correa ha curato sei lezioni di altrettante figure sotto il cappello “Genere e differenze in cucina”. Dal programma: «Il boom della gastronomia negli ultimi anni ha portato a progressi finora impensabili, ma anche a sfide importanti. Tra queste c'è la necessità di tradurre valori come l'uguaglianza, l'equità e la diversità in realtà concrete e universali all'interno del settore».

Lo stesso boom che fa crescere il numero di stellate, che rimane comunque sempre in percentuale minima. Il collage in apertura riprende otto chef premiate con tre stelle nel corso del tempo: Elena Arzak, Eugenie Brazier, la più famosa delle “madri lionesi” almeno mezzo secolo fa, Dominique Crenn, Annie Feolde, Anne-Sophie Pic, Carme Ruscalleda, Nadia Santini e Luisa Valazza. Sono tutte francesi, spagnole e italiane. Dei 128 attuali tre stelle, sono 5 sono guidati da donne: Arzak, Crenn, Feolde, Pic e Santini. Poi ecco le insegne con due o una stella, altre 156 per un totale di 161. Come cifra in sé nemmeno misera, ma lo diventa se pensiamo che globalmente la Michelin quest’anno premia 2990 posti. Probabilmente le donne dovrebbero essere le prime a ridefinire il concetto di alta cucina, senza soggiacere passivamente ai parametri del Bibendum. Mi rendo per primo conto che è facile dirlo, meno a realizzarlo ma è tempo che si smetta di farne soprattutto una questione di chili sollevati.


Storie di cuoche

Donne che abbandonano per un attimo mestoli e padelle per raccontare le proprie esperienze e punti di vista

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
blog www.paolomarchi.it
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