Jordi Butron
Riso latte e zucca (versione dolce)
Primo piano Su Identità Digitali, sette piccole rivoluzioni e un unico comune denominatore: la pasta
Lo staff de El Molin, grande indirizzo di cucina di montagna a Cavalese (Trento). Da sinistra Rassel Kahalilur, Giacomo Brumori, il sommelier Ilias El Ammari, il sous Stefano Bertoluzza, lo chef-patron Alessandro Gilmozzi, il maître Alessandro Maganzini, Arianna Pezza, Alessia Chiarirlo, Marco Tonini
Placido, sorridente, sornione. Disponibile e cordiale. Umile. Ma ha occhi scintillanti, curiosità fervida e una mente di rara brillantezza. Alessandro Gilmozzi, tra i grandi chef italiani, è tra i meno pubblicizzati. Ha un curriculum lungo così, e prestigiosissimo; una creatività fertile, quasi inesauribile; un'idea di cucina originale e avvincente. Eppure lui rimane piuttosto periferico, un po' come la sua Cavalese, dove ha scelto da tempo (guida El Molin da 28 anni, il locale ne compirà però 30 il prossimo 24 dicembre) di stabilirsi per raccontare la propria verità.
Gilmozzi è complicato da tratteggiare perché è complesso. Il sommo storico francese Jacques Le Goff definiva Giovanni Paolo II "un Medioevo con la televisione", per indicarne criticamente un aspetto caratterizzante, ossia la propensione all'uso di mezzi contemporanei (anzi, contemporaneissimi, all'epoca. Oggi si direbbe "Medioevo coi social") pur a fronte di una visione davvero conservatrice della società. C'era, in queste parole, un'evidente connotazione negativa; quella che noi non abbiamo - anzi - nel parlare dello chef trentino. Che opera però con una visione in qualche modo paragonabile: utilizza le tecnologie più avanzate, delle quali è un appassionato, per restituire l'essenza di una tradizione, di un gesto antico, di un'identità territoriale. Di una cultura marginalizzata e quindi a rischio d'estinzione. Lui la porta alla luce. È il suo impegno, la sua vita.
Sono riflessioni che abbiamo elaborato al termine di una cena strapiena di bontà e concetti, sapori ammalianti e stimoli di pensiero. Per esemplificare tutto quanto stiamo dicendo, iniziamo con alcune gocce di rugiada.
Che sapore ha la rugiada? «La assaggio: se è raccolta a 800 metri è come acqua, sembra distillata, non ha alcun gusto; invece a 1.300 metri, magari sotto un abete, diventa quasi balsamica, pur senza troppa intensità. Ho anche provato a 1.800 metri, sotto un pino mugo...». Come? Sempre con gli slavazzi? «No, ho usato l'etamina: la lascio lì tutta la notte, al mattino è imbevuta. Basta strizzarla. Alla fine ho raccolto rugiada in cinque punti diversi, a differenti altitudini, da 800 a 2.000 metri: il gusto è decisamente balsamico».
Il problema dunque diventava: come farla assaggiare ai 3-4mila commensali che frequentano El Molin durante l'anno? «Difficile, anzi impossibile servire loro una vera rugiada, a dir tanto se ne ricavano 200 grammi in tutto, raccogliendola con l'etamina. Ho quindi deciso di riprodurre semmai l'idea di rugiada, un'Ipotesi di rugiada, come l'ho chiamata».
Cucchiai con gocce di rugiada, anzi Ipotesi di rugiada, raccolta tra gli 800 e i 2.000 metri
Gilmozzi a Identità Golose Milano
E ancora: «Usiamo gli ultrasuoni anche per equilibrare determinate lavorazioni che facevamo in modo diverso». Esempi? «Lo sciroppo al pino mugo, o ai fiori, o alle bacche. Una volta si usava lo zucchero per estrarne sapori, resine, oli essenziali, semplicemente a contatto, in un vaso dimenticato sulla finestra. Poi abbiamo conosciuto la macerazione a freddo, sottovuoto, sempre con lo zucchero. Quindi le fermentazioni: bastava farle partire per estrarre il sapore degli alimenti. Ora usiamo insieme sottovuoto e ultrasuoni, a 30-40°: si ottiene un equilibrio pazzesco degli aromi, senza più note di fermentato o di cotto. Solo l'essenza».
LA LEGGEREZZA - Al termine di una cena - anche ampissima - a El Molin, ci si sente leggeri, oltre che soddisfatti. «Mi fai piacere che lo noti, perché c'è tutto un lavoro dietro. Abbiamo studiato la cosa con un gastroenterologo: la velocità con la quale giungono i piatti in tavola è fondamentale». Se passano più di sette minuti tra l'ultimo boccone del piatto precedente e il primo del successivo, lo stomaco si mette a riposo. Quando poi deve riprendere l'attività, si affatica. «La pesantezza dopo un pasto deriva soprattutto dai tempi sbagliati», dai ritmi errati che inducono lo stomaco a un continuo stop and go. Non solo: «Occorre anche equilibrare i carboidrati - il pane deve essere servito al momento giusto - e poi effettuare studi enzimatici dei piatti. Non sempre ci si riesce, perché è molto impegnativo. Di certo so che, se in una portata almeno due enzimi sono uguali, questa diventerà altamente digeribile».
Poesia e tecnica insieme. E ora la nostra splendida cena, negli scatti di Tanio Liotta.
Pomodorini della Piana Rotaliana cotti agli ultrasuoni, acqua di cirmolo e foglia di acetosella
Tartelletta salata, robiola Foradori, cavolo cappuccio fermentato, finocchietto selvatico
Bacche di biancospino agli ultrasuoni
Pane di segale al vapore, formaggio Strack Foradori
Gallo forcello agli ultrasuoni, fiori di erica e achillea, estrazione di cioccolato in alcol ed elicriso. «Recupero un sapore dimenticato, quasi una reminiscenza, Il gusto è pieno, sa d'antico, ma poi con note leggere, contemporanee, direi innovative. Dove trovo i galli cedroni? Ce li portano i cacciatori, poi un veterinario ce li certifica»
Foglia di monarda al gin, gelato al lievito madre, cumino e fiori di finocchio
Sfera bianca di Pintonic e burro di cacao
Foglia di betulla candita, burro affumicato, caviale di luccioperca, acqua di betulla. Un aroma intrigante, lattico, dolce
L'uovo extravergine di oliva e la montagna. Ormai un classico di Gilmozzi, con 18 tipi di erbe e fiori, una mousse di latte e olio, gelato di crescione, gelato alle sarde e sale dolomitico
L'uovo rosso di montagna (lo chef fa nutrire le galline con vegetali specifici, ricchi di carotenoidi). Il piatto, buonissimo, prevede crema di patate rosse e porri, cialde di polenta, pane al fieno, erbe e fiori
Ravioli alle bietole trentine, nasturzio, polipodio, cipollotto grigliato e ricotta
Il Risotto: Acquerello 7 anni, cenere di pigna fermentata. «L'effetto è quello di sentire gli aromi di una baita con il camino acceso»
Il pane del viaggio, con origano di montagna. Viene accompagnato con del burro di malga montato al momento e un assaggio di caprino di Cavalese affinato in fossa
Meravigliosa, di raffinatezza eccezionale, questa Trota iridea, barba di frati, pesto di abete rosso, cialda alle morchelle, olio di vinacciolo, vinaigrette di abete e Chartreuse. La trota è cotta agli ultrasuoni e affumicata con cenere di pigna. Maestria assoluta
La trota impiattata
Finocchio in torba di pino mugo e burro di malga con fiori di borragine. Il finocchio è maturato agli ultrasuoni, mantiene una consistenza fibrosa
Sontuosa e buonissima questa Reale di Grigia Alpina, carote, foglia di quercia e sambuco. la carota è servita con fibre di sesamo, sciroppo di sambuco e pignette di larice. La reale è marinata nelle sale di affinamento dello speck e poi grigliata, dopo essere passata nell'Ocoo dal quale si estrae il suo brodo aromatizzato con geranio odoroso e lichene islandico
Temolo in fiori di trifoglio e betulla, con cellophane di amido di mais e patate. Altro grande piatto
Rabarbaro, mele, camomilla, pesto di piselli dolci, estratto di mela rossa
Biotopo: gel di tisana ai frutti rossi, gocce di yogurt, more di gelso, ribes, calendula, menta, finocchietto, erbe di montagna...
Gelato di fieno e petali di rosa
Il bosco e la sua essenza merita altri applausi: gelato alla resina, crema di topinambur, miele di melo, croccante di mais, lichene candito
Miniature dolci finali: Pastiglia all'abete, cioccolato bianco, olio del Garda
Moneta al caramello e cannella
Geranio odoroso al cioccolato bianco
Ps: segnatevi questo nome, Iliass El Ammari. Classe 1995, della Valsugana ma di origini marocchine (è arrivato in Italia quando aveva quattro anni, famiglia di contadini proveniente da un paesino tra Casablanca e Rabat). Si è conquistato i galloni di sommelier sul campo. Proprio bravo e appassionato, un'altra bella storia.
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it Instagram: carlopassera
Alcuni dei maggiori protagonisti di Futura, prima edizione del summit organizzato dagli Ambasciatori del Gusto a Cavalese (Trento). Da sinistra il presidente Alessandro Gilmozzi, il ministro Francesco Lollobrigida, Carlo Cracco e Gianluca De Cristofaro, responsabile tecnico scientifico e delle relazioni esterne e istituzionali degli Ambasciatori. Le foto sono di Giulia Manelli
Il Dolce selvaggio di Alessandro Gilmozzi, chiusura del menu degustazione estivo del suo El Molin a Cavalese (Trento). Foto Stefano Caffarri
Gli scorsi 21 e 22 giugno, ospiti a Identità Golose Milano, gli chef dell'assoziazione Les Collectionneurs: da sinistra Alessandro Gilmozzi, Carlo Spina, Riccardo Migliazza, Arcangelo Tinari ed Andrea Mazza con i loro preziosi collaboratori
Gita fuoriporta o viaggio dall'altra parte del mondo? La meta è comunque golosa, per Carlo Passera