A vedere la foto in quarta di copertina, pensi più che altro a un libro di cucina monastica. Al centro c'è un piatto di salsicce e fagioli, accanto un tozzo di pane smozzicato, un’oliera di quelle che tutti ne hanno una in casa, un bicchiere, un cucchiaio e un fazzoletto. Il tutto apparecchiato su una tovaglia di carta in parte lacerata. La pietanza in catalano si chiama Botifarra amb mongetes, e in realtà è uscita dalle cucine del Celler de Can Roca di Girona, fino a poche settimane fa insegna numero uno al mondo nel ranking della World’s 50Best.

Botifarra amb mongetes, Salsicce e fagioli per i dipendenti del Celler de Can Roca (foto PAJ/Phaidon)
È un simbolo che riassume bene lo sforzo fatto dal fotografo svedese Per-Anders Jörgensen e dalla moglie Lotta, già artefici del world-cult magazine Fool. Nel comporre il volume “Eating with the chefs” per i tipi di Phaidon hanno frequentato il backstage di 18 tra i più grandi ristoranti al mondo, non per setacciare le loro ricette supercreative, ma per osservare il modo in cui tutti i dipendenti si sfamano negli orari più improbabili tra un servizio e l'altro. Un progetto di pre-cucina o anche meta-cucina. Un libro costruito su due livelli, anche grafici: da un lato abbagliano gli splendidi scatti a tutta pagina del reportage dietro-le-quinte; dall’altro leggiamo gli spassosi testi introduttivi e 54 ricette (3 per ogni insegna) di casual dining che uno può quasi sempre cucinarsi a casa.
E' un focus sulle pietanze che mangiano indistintamente chef, commis, sguatteri, souschef e maître, gerarchie azzerate dal potere livellatore del family meal. Un punto di vista interessante per il lettore, curioso di verificare se per i patron vale l’adagio biblico riadattato: «Non preparare per il tuo staff quello che non vorresti fosse preparato per te». Curiosamente, dei 18, solo un ristorante non fa differenza nei contenuti tra le pietanze per lo staff e quelle per destinate al cliente: è il St John di Smithfield a Londra, che griglia indistintamente cuori di bue con salsa bernese, per gli uni e per gli altri.

La copertina del libro (316 pagine, 412 illustrazioni, 49,95 sterline), acquistabile online
Per il resto, è tutto un mondo da esplorare, dai Brownies del Noma alla Zuppa del pescatore dello Chateaubriand a Parigi, dalla Pancia di maiale alla taiwanese del Wd~50 alle Pommes Alexia di Pierre Gagnaire, dai Bagel’s di Roberta’s alla Paella del Mugaritz. Le insegne italiane sono 2 su 18, un bel bottino: il Canto di Paolo Lopriore (che però ora cucina al Kitchen di Como, così come Dan Hunter non è più al Royal Mail ma al Brae di Birregurra, sempre in Australia) e la Francescana di Massimo Bottura. «Ho scelto loro», ci spiega l’autore via twitter, «perché il primo è uno dei cuochi più sottovalutati del mondo, il secondo perché lo conosco da 15 anni: ho grande intimità con tutto lo staff e conosco ogni centimetro dell’Osteria». Ma anche un po’ perché fotografo e numero 3 del mondo sono uniti dalla comune fede calcistica per l'Inter: P-A è fanatico manco fosse nato nei paraggi di San Siro e non a Ystad, nel sud della Svezia e infatti cita subito i poster nerazzurri che il modenese tiene in cucina.

Per-Anders e Lotta Jörgensen
Salta fuori che
Lopriore è uno dei pochi del mazzo a voler cucinare lui stesso per lo staff: «E' per dimostrare a tutti la mia gratitudine». Mentre i ragazzi di
Bottura, quando non sono a preparare i tortellini in gita fuoriporta da
Lidia Cristoni, si divertono tra pizze, bolliti misti, conigli alla cacciatora ma anche a ingozzarsi di
yakitori preparati dall’importante ala nipponica del team. Ma la cosa più divertente succede a New York, nella tana di
Wylie Dufresne, un cuoco molto democratico quand'è il momento di scegliere la musica di sottofondo mentre si cucina per lo staff: «Dal
mariachi messicano alla
bossanova portoghese va bene tutto. Ma non voglio sentire nessuno fischiettare: significa che sta lavorando a metà. Inaccettabile».