Cuore di papà, questa volta bisogna proprio dirlo. Tanto hanno insistito le tre intraprendenti figlie di Piero Antinori, Albiera, Allegra e Alessia, la nuova generazione, che finalmente il Marchese si è messo a tavolino (elegante come sempre e probabilmente con un calice di rosso accanto) per raccontare la storia della sua famiglia e dei suoi vini che, in effetti, qui tratta come figli.
Il libro - Il Profumo de Chianti, Mondadori, 216 pagine, 18.50 euro - è stato presentato in una Firenze già illuminata a festa, nella Sala degli Elementi di Palazzo Vecchio (nobile cornice degna di cotanto sangue blu) alla presenza dell’intera squadra Antinori. Un racconto in 7 vini (tanti quanti i capitoli in cui è suddivisa la narrazione) ciascuno dei quali, - e parliamo dei vini di maggior successo della casata - si presta a far da titolo alle varie sezioni: icone enologiche senz’altro note agli addetti ai lavori, ma che anche i comuni mortali appassionati di Bacco hanno imparato a riconoscere: Montenisa Rosè, le bollicine di famiglia, Villa Antinori, il supertuscan Solaia, l’ormai noto Tignanello, il Cervaro della Sala, l’Antica Napa Valley Cabernet Sauvignon e il Mezzo Braccio di Monteloro.

La copertina del libro: 216 pagine, 18.50 euro
Senza scendere nei dettagli, che rovinerebbero il piacere della lettura, il volume parte «dalle radici» (parola di
Piero, la cui famiglia iscritta all’
Arte dei Vinattieri, fa vino da più di 500 anni) per terminare con l’annuncio delle nuove
Cantine Antinori del Chianti Classico al
Bargino (San Casciano) ora in costruzione e, salvo intoppi, pronte per i primi traslochi nel 2012. In mezzo il racconto affettuoso (perché affetto è ciò che respira tra le righe, insieme ad amore e passione per il vino) di come siano stati i primi anni di carriera, di come l’agente in Canada con cui viaggiò il giovane Marchese fosse un agente del KGB sotto copertura; di come nasca l’eleganza di un
Solaia o il “Bordeaux maremmano”
Sassicaia prodotto dallo zio in garage. Fino ai saggi pensieri su come debba essere il vino del futuro, nel rispetto della natura e dell’ambiente.
Un libro un po’ vintage come la strategia di famiglia, ma che si legge con estremo piacere, senza eccessivi tecnicismi di settore, la cui presentazione è finita con un brindisi a base di bollicine di casa (le
Montenisa) e piccoli sandwich, ma che era ben iniziata con un aperitivo dallo storico
Procacci di via Tornabuoni, a due passi dal palazzo Antinori, inebriante paradiso dei panini tartufati rilevato dalla famiglia per salvarlo dalla chiusura e rimasto tale e quale ai tempi che furono.
«Una sosta qui – scrive il Marchese – ti dice sulla toscanità molto più di un trattato o di un’enciclopedia». Ed io, che ho assaggiato il mio primo panino tartufato ai tempi dell’università con una compagna antiquaria in Firenze, non posso che dargli ragione.