Lo so bene che of course in inglese non vuole dire di corsa, che mono in spagnolo significa scimmia e burro asino, che se i francesi dicono merci ti stanno ringraziando (e non verificando una consegna piuttosto che una produzione o un treno), invece su Testicles (inglese) e Testicules (francese) non vi possono essere dubbi: di testicoli si tratta, e null'altro. Poi possiamo chiamarli in cento altri modi, ma restano loro, ridicoli nella forma, importanti per la fecondazione e riproduzione, fragili e fastidiosi. E ottimi in cucina, solo a volerli cucinare, servire e mangiare senza l’accompagnamento di risatine, stupore, ribrezzo al solo pronunciarne il nome.
Tanti rifiutano il quinto quarto a priori (e così non sapranno mai cosa si perdono) ma più persone distinguono tra fegato e foie gras, fegato e rognone, animelle e lingua, le granelle no. Le palle di toro quasi sfiorano l’impraticabilità gastronomica per quello che evocano, le separa dalla tavola un muro psicologico e aprirvi un varco è quasi impossibile usando le sole parole. Potrebbero essere spacciate per più rassicuranti bocconi di magatello o polpa di vitello oppure si dovrebbe allestire una cena al buio senza rendere noti i piatti. Se si mangia alla cieca quello che viene servito a tavola non si viene condizionati né dai colori né dalle forme e dagli ingredienti usati. E si gusterebbero molte più cose perché non vi sarebbero condizionamenti a monte. In fondo perché le ostriche vive sì e gli insetti no? Perché i sanguinacci sono una tradizione secolare e i testicoli delle schifezze? Perché i gamberetti sì e i bruchi no? Rosa i primi, verdolini i secondi ma una volta fritti non è che siano separati da un oceano di gusti e di consistenze. Di pregiudizi invece sì, da noi perché i bruchi dell’agave fritti sono delle squisitezze rare in Messico.
In Piemonte hanno risolto il problema dell’immagine delle palle chiamandole dal macellaio granelle e allora capita che quello che viene rifiutato con un nome popolare, viene accettato in versione alta, quasi aulica perché granelle evoca il mondo della pasticceria. Poi il mondo è popolato da tutto e così vi è chi, come a suo tempo Ugo Tognazzi, può permettersi di suggerire la ricetta dei Coglioni di vitello al Pernod. Importante precisare di vitello perché vedo sempre di più coglioni in giro a fare danni.

Testicoli di agnello, immagine tratta dal blog Edith Pilaff nel quale sono presentati in forma di insalata.
A loro, alle palle, è dedicato un libro da poco uscito in Gran Bretagna e da più tempo in Francia. Testicles, Balls in Cooking and Culture per Prospect Books, autore della traduzione in lingua inglese Giles MacDonogh e dell’originale francese Blandine Vié. Titolo chiarissimo: Testicoli, le palle in cucina e nella cultura. Dubito che verrà mai tradotto in italiano, mercato troppo piccolo per giustificare l’investimento. Sono pagine con tre percorsi, in parte ricettario, in parte dizionario e in parte un saggio sui testicoli in sé, sia quelli umani sia quelli animali, con un’avvertenza in perfetto humor inglese: “Non ci sono ricette per soddisfare i cannibali”.
Appunto finale: la ricetta del Risotto Milanese a pagina 134 sarà anche del 1936, tutta un’altra epoca, ma resta lo stesso un insulto per noi che viviamo a Milano. Manca lo zafferano, c’è il gruyère e non il grana e così via. La firmano una madame e una mademoiselle francesi che della nostra cucina non capivano purtroppo nulla. E con loro pure chi le ha tolte dall’oblio inserendole in un libro eccezionale in tutte le altre 223 pagine.