I libri – molti, se non tutti – dovrebbero essere fatti soprattutto per raccontare storie, e Gli Aristopiatti - Storie e ricette della cucina aristocratica italiana firmato da Lydia Capasso e Giovanna Esposito, svolge questo compito in modo intelligente, divertente e avvincente. Non deve confondere il sottotitolo: non si tratta di un trattato verboso e polveroso, tutt'altro. Come invece suggerisce l'originale e spiritoso titolo, le due autrici, che collaborano insieme al web magazine Gastronomia Mediterranea, conducono il lettore con mirabile leggerezza attraverso luoghi, ingredienti e sapori d'Italia, seguendo lo sviluppo della nostra cucina attraverso aneddoti, frammenti, leggende e notizie.
Per farlo si parte dall'aristocrazia. Perché, come scrivono Capasso ed Esposito, «per signori, principi, re e pontefici la cucina è stata strumento di affermazione di sé, esibizione di potenza […], e dalle corti padane del Rinascimento sino al Piemonte dei Savoia e all'Unità d'Italia, le tavole nobili hanno lasciato alla cucina italiana un'eredità che è stata in buona parte integrata nelle nostre tradizioni».

Una delle illustrazioni di Gianluca Biscalchin per Gli Aristopiatti
La narrazione si articola attraverso sei aree geografiche della penisola: Piemonte, Venezia, pianura Padana, Toscana, Roma e terre Borboniche. Ognuna di queste zone diventa teatro per personaggi di più o meno chiara fama, di cui le autrici ci raccontano come abbiano contribuito a far nascere piatti e ricette che ancora oggi trovano spesso spazio sulle nostre tavole. Senza appunto il piglio o l'ambizione dello storico, lasciando spazio e libertà anche a leggende poco verificabili, o contraddittorie tra loro.
Chi infatti creò lo
Zabaione?
Gli Aristopiatti ci dice che la paternità è contesa addirittura tra tre astanti. Un capitano di ventura, un santo o il cuoco di un duca? Siamo ovviamente nella terra dei Savoia, dove nel suo peregrinare arrivò il religioso spagnolo
Pasquale Baylón, poi proclamato santo da papa
Alessandro VIII.
San Baylón, dunque, oggi effettivamente considerato protettore di cuochi e pasticceri proprio in virtù della leggenda secondo cui, avendo il compito di gestire le cucine di un convento, per recuperare delle uova che non era riuscito a montare si trovò a inventare questa golosissima crema. Oppure fu il capitano
Giovanni Baglioni, che per le sue origini emiliane veniva chiamato
Zvàn Bajòun, ad avere l'idea di mischiare uova, zucchero e vino per sfamare i propri indeboliti uomini? O fu ancora il cuoco del duca di Savoia
Carlo Emanuele I, che era tanto appassionato di gastronomia da insignire di titolo nobiliare due dei suoi chef?

Lo zucchero...disegnato da Biscalchin
La risposta non è importante, è molto più divertente farsi raccontare tutte queste piccole storie e associarle poi alle 72 ricette che
Esposito e
Capasso hanno raccolto, provato e aggiornato per il loro libro. Così si va dai
Risi e Bisi al mitico
Sartù, dai
Vincisgrassi al
Farsumagru, scoprendo ogni volta qualcosa in più della ricchissima storia della nostra cucina. Ad illustrare ogni capitolo ci ha pensato poi la matita sempre ironica e creativa di
Gianluca Biscalchin, che certamente i visitatori di queste pagine conoscono bene.
In conclusione troviamo anche un ultimo capitolo, anche questo affascinante. In cui sono state raccolte testimonianze e ricette di tredici famiglie aristocratiche d'Italia, attraverso i ricordi di esponenti di queste casate: è certamente significativo notare come i piatti che arrivano da queste nobili memorie siano per lo più piatti semplici, non particolarmente sfarzosi. E ritorna così alla mente quel rapporto tra tradizione popolare e tradizione aristocratica a cui si fa riferimento nell'introduzione del libro, citando l'indimenticabile commedia di
Eduardo Scarpetta,
Miseria e nobiltà, e raccontandone poi l'incontro e l'intreccio che hanno dato vita «al patrimonio culinario rigoglioso di cui oggi possiamo vantarci».