Un bivio: destra o sinistra. Naso all'insù o perdersi nella piana...la montagna è sempre stato questo, da che io ne ho memoria. Il bivio che, fin da bambino, mi accompagna ogni giorno all'uscita della Trattoria Zappatori. Fuori dalla porta, a sinistra, tutto l'arco alpino che in 56km ti porta ai 2035 slm del Sestrieres, a destra i 500 km che ci guidano in un piatto biliardo fino alla foce del Po.
La montagna è anche una grande sfida, sia che tu la voglia affrontare in bicicletta, o che tu la voglia interpretare in cucina. Una sfida enorme, come quella di Walter Eynard, mio primo maestro ai tempi della scuola alberghiera, gran cerimoniere della cucina valdese nel suo Flipot di Torre Pellice. Unico, grande interprete della cucina di montagna piemontese. Da lui ho assorbito inconsciamente la valorizzazione dei prodotti poveri, l'attaccamento alle mie origini.
Come i promotori della corrente dell'arte povera di fine anni '60, in cui il gesto dell'autore veniva messo in secondo piano, utile solo a togliere e riportare la materia al suo stato primordiale, primitivo. Walter Eynard come i maestri Penone e Pistoletto, a rileggere e valorizzare quello che è sempre stato sotto gli occhi di tutti, ma che nessuno aveva mai osservato con quella visuale.

Le montagne della Val Pellice
Suo il "la" che ha ispirato la mia tesina all'esame di maturità: "La cucina di montagna delle Valli Valdesi". Poi gli anni pedalati mi hanno allontanato chilometri dai miei ricordi. Anni di montagne scalate e conquistate. Il lento scemare e il ritorno a casa a Pinerolo, il ritorno al mio bivio.
Mi definirei un montanaro atipico, sono montanaro nell'anima ma non nel corpo: non ho vissuto su di me le tradizioni fortemente radicate nella mia famiglia, ma a lampi intermittenti le Alpi mi hanno solleticato e segnato. Da anni attingo da boschi, ruscelli e gole il mio significato di cucina d'altura. Significato a volte ermetico, celato, sottile, ma cosi fortemete parte del mio vissuto.
Come nel
Risotto rosa al sangue, piatto su cui ruoterà il mio intervento a
Identità Milano 2015. Ricordo di un pomeriggio passato con mamma e papà, da bambino, a Torre Pellice, capitale del mondo Valdese, in un roseto a casa di amici. Pomeriggio impresso in una foto appesa nella mia camera da letto, per anni osservata con sufficienza.
Poi, all'improvviso, si accende la lampadina: questo il primo attimo legato alle mie montagne. Un pomeriggio in un roseto. Il profumo dei petali e il gusto del sangue. Chi non si è mai punto un dito con una spina di rosa e istintivamente si è succhiato il dito?
Le rose, petali ma anche spine. Il gesto atavico del succhiare del poppante, intriso dal ferroso gusto del sangue. Rendere il cibo qualcosa in più di un semplice riempitivo dello stomaco, renderlo tridimensionale nei pensieri e nelle emozioni. Una sfida enorme: come quelle di chi mi ha preceduto, come quelle di chi mi succederà nel raccontare la mia terra, i miei monti.