09-05-2012

Maturerà mai l'Italia della gola?

Dopo deludenti 50 Best e il ko al Bocuse d'Or, è il momento di fare le cose seriamente o non farle

Davide Scabin, Raffaele Alajmo, Paolo Lopriore e M

Davide Scabin, Raffaele Alajmo, Paolo Lopriore e Massimo Bottura, i quattro ristoratori italiani presenti a Londra, lunedì 30 aprile, per la premiazione dei World's 50 Best Restaurants 2012, un'edizione che non ha certo sorriso alla ristorazione italiana che ha visto dimezzarsi la sua pattiglia al top

A ogni sberla che la ristorazione italiana riceve quando mette la testa fuori dai confini e si misura con le altre realtà, i più gridano allo scandalo invece di domandarsi perché. Per tanti l'Italia è il paese dove si mangia e si vive meglio. Per certi versi è davvero così anche se questo può essere figlio di un equivoco. L'Italia è così bella e così varia da spingerci a vivere di gloria quasi che tutto ci sia dovuto per avere inventato la pizza, gli spaghetti e il caffè espresso per poi servirli in piazze strade e luoghi unici. Si confonde così uno status quo, figlio di tante cose, di bravura certo, ma pure del caso, della natura e di secolari tradizioni, con un sistema che sappia far girare il paese in chiave contemporanea. Ce lo dicono tutte le statistiche: abbiamo servizi obsoleti, siamo afflitti da mille magagne e ogni gesto che come cittadini ci accingiamo a compiere, ci costa molta più fatica per tutti gli ostacoli che incontriamo, legati alla burocrazia, alla corruzione, a ignoranze profonde e a gelosie eterne.

Della débâcle tricolore degli ultimi World's 50 Best Restaurant si è scritto molto, io per primo ho scritto molto. E qui riprendo un commento postato della Gazzetta Gastronomica firmato paologoloso. Il mio omonimo ricorda come le autorità di Copenhagen si vantino nella loro comunicazione di accogliere il miglior ristorante al mondo e il più bravo chef al mondo ovvero il Noma di René Redzepi e il Geranium di Rasmus Kofoed. Ha detto Redzepi dieci giorni fa a Londra: “Cosa significa per me vincere i 50Best? Prima che accadesse, il lunedì facevo un massimo di 14 coperti ora la coda arriva in Svezia”.

Non credo che siano tutti danesi quelli che vogliono accomodarsi alla sua tavola, tutt'altro. Accadeva anche con il Bulli e Ferran Adrià però in entrambi i casi c'era tanto orgoglio nelle rispettive zone per i traguardi tagliati dai loro concittadini. Esattamente come avviene ogni volta che qualcuno viene premiato magari in campi che non ci interessano direttamente ma che, comunque, concorrono a formare l'identità nazionale.

Purtroppo le cose si sono così impoverite in Italia che ci improvvisiamo senza nemmeno più capire che dovremmo invece fermarci e ripensare quasi tutto dalle sue fondamenta. Ovvio che non possiamo non partecipare ai 50Best perché ci sono quasi 900 persone libere di votare chi meglio credono nel pianeta intero ma ridursi alle belle statuine… Possibile che in undici edizioni un solo nostro ristorante, l’Osteria Francescana di Massimo Bottura, è entrato nei primi 10, al massimo sfiorando il podio? Sì, è proprio così e questo in anni di estremo successo della nostra cucina e dei nostri sapori nel mondo intero. Segno che una cosa è la cucina quotidiana, amatissima e capita senza sforzi, e un’altra l’alta cucina innovativa che un po’ non sa comunicare e un po’ è vittima dell’anti-sistema amministrativo-politico nonché della frammentazione della critica. Temo che i primi a boicottare i vari Cracco, Bottura, Lopriore, Crippa… siano gli italiani che non capiscono quanto potrebbero essere importanti per il nostro turismo e la nostra economia alimentare, solo se fosse sostenuti e rispettati.

E, pensando al Bocuse d'Or, che senso ha improvvisare una spedizione che ricorda tanto una scampagnata a Pasquetta mandando fior di cuochi allo sbaraglio. Siamo l'Italia e nella cucina abbiamo obblighi storici un po' come nel calcio, nell’arte, nella ricerca…: se partecipiamo dobbiamo essere attrezzati per vincere. Invece, per quanto valga un team captain come Giancarlo Perbellini e per quanti mezzi gli organizzatori delle selezioni abbiano, se l'aspetto principale è sostanzialmente enfatizzare giusto le selezioni locali, meglio nemmeno farle. In fondo, a livello di eliminatorie europee nemmeno uno chef preparato e serio come Alfio Ghezzi è riuscito a qualificarsi per la finalissima del gennaio 2013 a Lione. Poi potrà pure accadere che Alfio sia ripescato, tra l’altro ci sono in ballo pure due inviti da parte degli organizzatori e i francesi godrebbero nel chiamarci lanciandoci un osso, ma avrebbe senso?

Impegniamo delle risorse per fare delle brutte figure, possibile manchi la volontà di pianificare progetti più consistenti? Certo attrezzarsi per salire sul podio di una competizione che è una passerella trionfale per il sistema Francia pone anche altri interrogativi. Però fin quando non saremo capaci a contrapporre un challenge altrettanto importante, meglio fare bene in quello dei cugini. In fondo se le stelle Michelin sono il biglietto da visita mondiale dei nostri chef, è anche perché non siamo mai stati capaci di uscire dai confini con le nostre guide (magari iniziando tutti a imparare la lingua inglese…) e far sì che diventassero patrimonio comune con altri paesi.

Ricordo, in tal senso, che nessun cuoco francese si presentò a San Sebastian a una edizione del Mejor de la Gastronomia – e mi riferisco agli anni d’oro della ristorazione spagnola e della sua manifestazione principe – proprio perché non sapevano bene cosa anteporre di concretamente nuovo ai vari Adrià, Andoni, Dacosta, Roca... A volte si è più presenti da assenti.


Affari di Gola di Paolo Marchi

Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
blog www.paolomarchi.it
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