16-02-2024

Bruno Verjus oggi è una destinazione

Classe 1959, studi in medicina, vent'anni in Cina, poi critico, nel 2013 decise di fare lo chef a Parigi: «Un salto nel buio. E pur se ora ho 2 stelle, gli stranieri arrivano per i 50 Best. Strano ma avevo piu problemi col menu a 25 euro dei 400 di oggi»

Bruno Verjus, classe 1959, francese di Roanne, la città della dinastia Troisgros, ha studiato medicina, poi è stato un brillante giornalista gastronomico, così preparato da essere soprannominato WikiBruno, infine chef dal 2013 a Parigi, in Rue de Prague 3, così bravo da avere scalato le due classifiche che contano, Michelin, tre stelle, di cui una verde, e 50 Best, decima posizione nel 2023 e miglior piazzamento di un francese, mai troppo incensati dai Fifty. Una storia che racconterà sul palco di Identità Golose domenica 10 marzo. Più disubbidiente di così…

Eppure non è amato dai suoi colleghi, sia i cuochi sia i critici, che gli rimproverano i primi di essere un autodidatta senza basi tecniche e i secondi di non perorare la causa della grandeur gastronomica blu, bianca e rossa. Ha detto Bruno: «Proprio non ci riescono, trovano sempre il modo per sminuirmi. In una occasione mi presentarono come chef a Parigi, fossi almeno l’unico… In un’altra dissero che usavo sì prodotti di altissima qualità, ma che non riscontravano tecnica alcuna».

Si infervora: «Bisogna mettersi d’accordo su cosa si intenda per tecnica, quale? Quella che ci arriva da vent’anni a questa parte è la tecnica della grande industria trasferita nella ristorazione. E’ ancora un mondo che guarda al XX° secolo. Io cucino con la testa nel XXI°. La mia mente è rivolta al futuro con una attenzione maniacale agli ingredienti, tanto che le primizie mi arrivano da un vivaio di Udine chiamato Orto felice. Non è una questione di tradizione o innovazione, due concetti che andrebbero scardinati. Io vorrei sapere cosa uno usa. Faccio un esempio. La Tour

d’Argent, lì dal 1582, fa cucina classicissima ma con materie prime autentiche, fresche. Questo io desidero, l’attualità della spesa. Rifuggo dalle codificazioni e con orgoglio ricordo di potere contare su 140 differenti fornitori».

Tutto ebbe inizio nel 2013 e noi di Identità perdemmo un prezioso collaboratore, con noi a Qoco ad Andria e a Identità Milano per presentare Emmanuel Renault, allora ancora in attesa della terza stella: «I miei riferimenti sono Alain Passard, Bernard Pacaud e Julien Royer, critico o cuoco che fossi. Tutto accadde durante una trasmissione radio che conducevo, titolo Don't Talk with Your Mouth Full, Non parlare con la bocca piena, e in una puntata si discuteva di medicina e di salute, io che avevo fatto studi di medicina, vissuto per vent’anni in Cina e sono pure stato

titolare di una azienda di dispositivi medici e di imballaggi. No, non c’è più, la vendetti nel 2005. A un certo punto pensai di passare dall’altra parte dello specchio. Basta usare solo le parole, perché non curare la salute delle persone agendo sulla loro alimentazione, renderle felici attraverso la tavola?».

Ed ecco nascere la Table: «Scelsi un angolino in un quartiere parigino davvero popolare, il 12°. Nulla di importante attorno, salvo una panetteria speciale, piena di

attenzioni. Il menù era schietto, preparato con passione ma ero da solo, giusto il supporto di un cuoco e di un cameriere. Gli inizi sono stati molto difficili ma, ripensandoci, i pochi clienti mi hanno permesso di rodarmi, di commettere pochi errori e di curare tutti con attenzione. E va considerato che da nulla avevo deciso di essere cuoco ma anche titolare, dovevo pensare pure ai conti, tutto un po’ schizofrenico. Il vero problema era un altro: costavo troppo per la zona dove ero, 25

euro lo scontrino quando qui erano abituati a pasti a 8 o 10 tutto compreso».

Ma non mollò: «Scoprii che fare lo chef era anche molto faticoso fisicamente, sempre in piedi, imprevisti su imprevisti. Capii presto di avere fatto un salto nel buio, vivere questo mondo da critico è completamente diverso. Però non mi sentivo in competizione con i colleghi o le guide, e questo aiutava. Il mio desiderio era di fare felice chi mi dava fiducia accomodandosi da me».

Troppo conosciuto però per passare inosservato. La prima stella sarebbe arrivata nel 2018, un lustro dopo l’aspertura, quella verde nel 2020 e la seconda nel 2021. Aveva già cambiato totalmente passo: «Un unico menù che adesso costa 400 euro e l’eventuale accompagnamento vini altri 300, 24 coperti, quattro giorni di apertura pranzo e cena, chiusura totale da sabato a lunedì. E non ho più problemi di posti vuoti perché non mi misuro più con il quartiere, bensì con il mondo. Sono diventato una destinazione».

E il come ha del sorprendente: «Lo devo soprattutto alla posizione d’eccellenza nei 50 Best, più che alle stelle. Ricordo che quando passai a un prezzo importante come l’attuale, su Le Figaro scrissero come mi era venuto in mente di far pagare il menù 400 euro quando avevo appena una stella. La settimana seguente uscì la nuova edizione della Rossa e le stelle raddoppiarono ma tutti zitti, ero Bruno Verjus e basta, senza il nome del ristorante».

La grinta di Bruno Verjus: Go, Bruno Go

La grinta di Bruno Verjus: Go, Bruno Go

E Bruno ha riso di gusto nel ricordare l’episodio che conferma come per la Francia la Michelin è una stella polare. «I 50 Best, che sono in numero nettamente inferiore, coprono però il mondo con poche decine di insegne e il messaggio è più diretto presso quel pubblico che frequenta i locali di altissima fascia». Nel suo tre italiani: Agnese Morandi sommelier, Laura Marrano sala e Giuseppe Mariani cuoco. Marzo

Due le stelle per la Table di Bruno Verjus dal 2021. E nella prossima guida Michelin? Tre?

Due le stelle per la Table di Bruno Verjus dal 2021. E nella prossima guida Michelin? Tre?

mese importante. Domenica 10 Verjus sarà relatore a Identità Golose a Milano e stavolta salirà sul palco dell’auditorium come relatore e non come presentatore. E il 18 presentazione della Michelin 2024. E ora il prezzo di un pasto da lui è in linea con i tre stelle…


Affari di Gola di Paolo Marchi

Pagina a tutta acquolina, uscita ogni domenica sul Giornale dal novembre 1999 all’autunno 2010. Storie e personaggi che continuano a vivere in questo sito

a cura di

Paolo Marchi

nato a Milano nel marzo 1955, al Giornale per 31 anni dividendosi tra sport e gastronomia, è ideatore e curatore dal 2004 di Identità Golose.
blog www.paolomarchi.it
instagram instagram.com/oloapmarchi

Consulta tutti gli articoli dell'autore