19-05-2018

Il boom dei vini georgiani

L'anfora, le aree più vocate, le uve autoctone, i produttori. Fotografia di un fenomeno che comincia a far gola al mondo

Vigne di Rkatsiteli attorno al monastero ortodosso

Vigne di Rkatsiteli attorno al monastero ortodosso di Alaverdi. I monaci producono vino dal 1011, oltre un millennio fa

Continua dalla prima parte

Ottomila anni dopo i primi vagiti nella culla del vino, la Georgia è un paese maturo a forti tinte “eno”. Per sciogliere ogni dubbio, Kartlis Deda, la statua colossale che dà il benvenuto sulle colline attorno a Tbilisi, stringe da una parte una spada, dall’altra una coppa di vino.

La Georgia si presenta come una realtà ampelograficamente piuttosto varia e composita. Quasi tutta la fascia centrale del paese è tappezzata di vigne. Il territorio è diviso in 10 aree, ognuna col suo terreno, ognuna con la sua vocazione. Da ovest verso est abbiamo Abkhazia (regione indipendentista, contesa coi russi, sul mar Nero), Samegrelo, Guria, Adjara, Lechkhumi, Racha, Imereti, Meshketi, Kartli e Kakheti (Cachezia in italiano).

Quest’ultima regione, al confine orientale con Russia e Azerbaijan, è il vero eldorado: contiene il 90% delle vigne del paese e una collezione di attrazioni turistiche - dal magnifico monastero ortodosso di Alaverdi alle mura di Sighnaghi, città fortificata – che possono trattenere i turisti per settimane. Negli ultimi 10 anni, il Kakheti è diventata una regione così contesa dai vignaioli di ogni parte del mondo che i prezzi per ettaro sono schizzati alle stelle e chi ha il terreno non lo molla di certo.

Trasporto di anfore nelle campagne del Kakheti

Trasporto di anfore nelle campagne del Kakheti

Il vino entra nell'anfora interrata

Il vino entra nell'anfora interrata

Storico serbatoio di vini per la Russia, la Georgia ha cominciato ad allargare le esportazioni ad altri mercati nel 2008, quando Putin arrestò il flusso in conseguenza delle ostilità con l'allora presidente Saakashvili su Abkhazia e Ossetia del Sud. L’embargo, durato 5 anni, generò un buco enorme nelle casse di Tbilisi ma ancora oggi la Russia è il primo mercato (e in qualche caso spaccia per georgiano vino che non lo è), seguito da Ucraina, Cina e Uzbekistan.

Negli ultimi 5 anni, la produzione complessiva su scala nazionale è raddoppiata: si è passati dalle 60mila tonnellate di vino del 2012 alle 125mila tonnellate prodotte del 2017. E l’Europa guarda con sempre più attenzione a quel che sta succedendo nella “culla”. 

La ricchezza e la particolarità del vino georgiano sono riassunte da un dato: il paese conta su 525 uve indigene. Una cifra incredibile. Nei fatti, però, sono solo una trentina di queste a tappezzare la stragrande maggioranza del suolo, 55mila ettari complessivi che danno origine in 3 casi su 4 a vini bianchi (o “ambrati” o “orange”) e nel 25% dei casi a vini rossi. 

Mediamente sorda ai metodi di vinificazione europei, e per questo definita a torto "arcaica" dal pregiudizio occidentale, quasi tutta la produzione del vino georgiano passa dall’anfora, un'abitudine così importante e longeva che nel 2013 l’Unesco l’ha riconosciuto come patrimonio intangibile dell’umanità. 

Una mappa delle aree più vocate contenuta nell'Akasheni Wine Resort, resort del vino nel cuore del Kakheti

Una mappa delle aree più vocate contenuta nell'Akasheni Wine Resort, resort del vino nel cuore del Kakheti

In vigna sono tanti i contadini che si vantano di apportare ridottissime quantità di diserbanti e schifezze chimiche. I processi di vinificazione che ne seguono osservano quasi sempre questi passaggi: le uve colte nel corso della rtveli (vendemmia) sono pressate all’interno di tronchi d’albero scavati e versate nelle qvevri, anfore interrate nel suolo delle marani (cantine). L’idea di fondo, la stessa delle origini ancestrali, è che l’argilla assorbe nei suo pori il mosto, arricchendolo e nutrendolo alla stessa maniera di una placenta. L’analogia col ventre materno è rafforzata dalla forma dell’anfora, più o meno ovoidale.

Il processo di fermentazione interviene molto spesso con la buccia a contatto col mosto anche fino a 6 mesi, un espediente che dona ai vini il caratteristico colore ambrato e quelle sostanze volatili che negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere bene anche in Italia. Dopo questo periodo le uve sono trasferite in altri recipienti d’affinamento, variabili per tempo e materiali con le intenzioni dei produttori.

Il re dei vini georgiani si chiama Rkatsiteli: il 50% dei vini bianchi sono ricavati da quest’uva, in monovitigno o in assemblaggio con lo Mtsvane, la seconda uva bianca più popolare del paese. La bacca nera più importante si chiama invece Saperavi e dà origine a rossi in qualche caso di buon corpo. Tra le altre varietà, ricordiamo anche Tsitska, Tsolikauri e Chinuri.

Difficile dipingere con un tratto comune i vini georgiani: sarebbe assurdo come tracciare un identikit del vino italiano. In linea generale, e fatta la tara di qualche difetto, “puzza” o ingenuità oggettive, possiamo però dire che sono vini segnati da vigore naturale, rustica personalità e una tannicità mediamente importante. Al naso e al palato fanno spesso capolino sentori di albicocca, noci, prugne, carciofi, persino mais. Tutti splendidi frutti commestibili di queste terre, un tema su cui torneremo prossimamente.

I vini di Pheasant's Tears, una proprietà di 20 ettari con ottimo ristorante tra le regioni del Kartli e del Kakheti

I vini di Pheasant's Tears, una proprietà di 20 ettari con ottimo ristorante tra le regioni del Kartli e del Kakheti

Il vino del monastero di Alaverdi

Il vino del monastero di Alaverdi

Ma sono davvero indicazioni di massima perché parliamo di un mondo complesso e così distante dai nostri parametri olfattivo/palatali che non possiamo avere la presunzione di esaurire tutto in poche righe e dopo test così fugaci. Occorrerebbe avere il tempo di girare il paese in lungo e in largo e assaggiare, assaggiare e assaggiare.

Intanto, possiamo portarci avanti coi lavori, ordinando vini georgiani disponibili in Italia, tutti distribuiti da Velier: Our Wine di Soliko Tsaishvili, Pheasant’s Tears (che è anche uno dei migliori ristoranti del paese), Zurab Topuridze e Iago Bitarishvili. Chi invece decide di recarsi in loco - affittare un’automobile a Tbilisi e girare il Kakheti, anche in famiglia, è un’ottima idea - , si segni i nomi nel nostro taccuino: Ktw (vera multinazionale del vino georgiano), Alaverdi, Amiran Vepkhvadze, Archil Guniava, Anapse, Antadze Winery, Dasabami, Asatiani, Nikalas Marani, Natotari, Artana, Enek Peterson

2. continua

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Gabriele Zanatta

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Gabriele Zanatta

classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. 
instagram @gabrielezanatt

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