09-10-2019
Dolce Frico di Michela Fabbro, chef del Rosenbar di Gorizia. È una variazione sul tipico piatto friulano, presentata a Gusti di Frontiera 2019 e che si ricollega alla prima ricetta scritta, nel 1464, dal gastronomo Maestro Martino da Como, nel Libro de arte coquinaria. Anche lì, era un dessert. Foto Carlo Sclauzero
Qualche giorno fa a Gorizia, a Gusti di Frontiera 2019, ci siamo imbattuti in un caso assai singolare. Il focus del classico approfondimento che accompagna la kermesse era quest'anno sul frico, noto piatto a base di formaggio di varie stagionature, patate e cipolla, considerato la preparazione culinaria più tipica del Friuli, più precisamente della Carnia. Due chef erano stati chiamati a darne un'interpretazione creativa: da una parte Riccardo Gaspari, del SanBrite di Cortina d'Ampezzo, dall'altra Michela Fabbro, del Rosenbar di Gorizia. Il primo ha presentato una propria riebolazione contemporanea, vagamente contaminata (olio di larice, dall'Austria); la seconda ha invece innescato un processo che Corrado Assenza avrebbe definito di retroinnovazione, in questo caso involontaria. Ossia: un'innovazione in cucina che deriva dalla riscoperta di una tecnica, un'elaborazione, una lavorazione che sono storiche, ma risultano "nuove" perché in realtà ormai dimenticate da tempo.
L'idea della Fabbro è stata infatti di declinare il frico come dessert: «Lo volevo abbinare con le pere, andando a recuperare il classico matrimonio che, nel mondo rurale, si faceva di questo frutto col formaggio. Solo dopo mi sono accorta che il frico nasce proprio come preparazione dolce. No lo sapevo, l'ho scoperto dopo». Spieghiamo.
Il frico tradizionale
Dibattito sul frico a Gusti di Frontiera con, da sinistra, Michela Fabbro, Emanuele Scarello, Carlo Passera e Riccardo Gaspari
«Si è sempre pensato che non ci fossero informazioni sufficienti su come mangiasse il mondo contadino nel nostro Rinascimento. È un pregiudizio nel quale ho creduto a lungo, ma che ora metto in discussione». Perché leggendo le opere dei gastronomi-letterati del nostro passato, tra i quali appunto Maestro Martino, «si intuisce perfettamente una realtà sottostante: queste ricette illustri appartengono, in parte, anche al mondo contadino». Quella società si era costruita anche sull’ideologia della differenza tra élite e popolo; era molto classista, diremmo noi oggi, e le fasce dominanti non perdevano occasione per sottolineare la propria alterità rispetto a quelle più umili. Anche a tavola. «Eppure i principi non erano scemi. Comprendevano quanta cultura gastronomica vi fosse dietro al desinare semplice e improvvisato del mondo rurale: una minestra di cereali, le rape cotte sotto la cenere… Sono ricette che troviamo pure in questi libri “d’alta cucina” ante litteram – i quali dunque ci raccontano seppur indirettamente come mangiasse il popolo, per smentire quanto pensato finora – solo che sono nobilitate, rese più complesse e costose». C’è un appropriazione di un savoir faire del popolo, una contaminazione anche sociale tra culture diverse. Alto e basso dialogano, pur rimanendo distinti, «è un fenomeno tipico del policentrismo italiano».
Il Libro de arte coquinaria di Maestro Martino
CASO IN PATELLECTE Piglia del caso grasso, e che non sia troppo vecchio né troppo salato et tagliarai in fettolini o bocconi quadri, o como ti piace; et habi delle padellette fatte a tale mistero; en sul fondo metterai un poco di butiro, overo di strutto fresco, ponendole a scaldare sopra le brascie e dentro li mettirai li ditti pezzoli di caso; et como ti piace che sia facto tenero gli darai una volta, et mettendogli sopra del zuccaro e della cannella; et mandaralo subito in tavola, che si vol magnare dopo pasto et caldo caldo. Item poterai conciare in altro modo lo ditto caso brustolando, prima arrostendo al foco delle fette dello pane tanto che da ogni lato si incomincino a rostire. mettendo le dicte fette per ordine in una padella da torte; et sopra a quelle ponerai altramente fecte di caso un poco più sottili che quelle dello pane; et sopra la padella mettirai lo suo coperchio fatto caldo tanto che il dicto caso si incominci a struggere o a squagliare et facto questo gli buttarai di sopra del zuccaro con un poca di canella, et zenzevero. (Maestro Martino da Como, Libro de arte coquinaria)
Qualcosa come 750 anni dopo, poco più, ecco invece la ricetta del Dolce Frico elaborata da Michela Fabbro.
Michela Fabbro
Per l'impasto del frico 125 g formaggio di malga 6 mesi di stagionatura 125 g formaggio latteria 15 giorni di stagionatura 100 g noci 250 g patate cotte a vapore sale e pepe q.b.
Per l'impanatura farina pane grattugiato uova
Per la salsa alle pere 1 kg di pere di ottima qualità biologiche cannella chiodi di garofano cardamomo anice stellato
Per la finitura 2 pere
Dolce Frico
Impanare le palline prima nella farina, poi nell’uovo e poi nel pane grattugiato. Friggerle in abbondante olio di semi.
In una pentola cucinare le pere con la buccia tagliate a tocchi con gli aromi fino a che siano morbide. Frullare il composto. Affettare sottilmente le pere e metterle in un essiccatore per il tempo necessario
Composizione del piatto Posizionare un cucchiaio di salsa alle pere sul piatto, unire tre palline di frico fritto. Decorare con le foglie di pere essiccate.
Anticipazioni, personaggi e insegne del lato sweet del pianeta gola
a cura di
classe 1974, milanese orgoglioso di esserlo, giornalista professionista dal 1999, ossia un millennio fa, si è a lungo occupato di politica e nel tempo libero di cibo. Ora fa l'opposto ed è assai contento così. Appena può, si butta su viaggi e buona tavola. Coordinatore della redazione di identitagolose.it Instagram: carlopassera