Enrique Dacosta
Avocado con polvere di pomodoro e olio d’oliva di Gert De Mangeleer
In cantina Girlan in Alto Adige, quando il Pinot Nero diventa una vera e propria missione
Carlo Guffanti Fiori e i figli Giovanni e Davide sono i responsabili dell’intera gestione aziendale e del delicato processo di ricerca e selezione dei formaggi
Il formaggio non muore mai, questo il motto di Guffanti che vale più che in altri periodi proprio ora. E a dimostrazione di quanto questa massima sia vera, l’azienda non ha mai chiuso nemmeno nei tre mesi di quarantena; è cambiata, ha dovuto interrompere la distribuzione alla ristorazione e verso l’estero, ma ha cominciato a fornire molto e più di prima le piccole botteghe artigiane cittadine che hanno finalmente potuto rimettere in bella mostra le loro prelibatezze, richiestissime dai cittadini appiedati dal coronavirus; questa sì una delle poche conseguenze positive che ci ha lasciato la pandemia.
Il formaggio come materia viva va gestita e la sua produzione, conservazione e quindi vendita non si può e non si deve interrompere e il piccolo commercio è stato in grado di ripartire e di assorbire tutta la produzione di qualità che arrivava dalle montagne italiane, davvero un bel segno di vitalità e ripresa che i piccoli commercianti hanno saputo regalare.
La storia dei Guffanti affinatori iniziò con Luigi, che partì con la propria attività rilevando una miniera d’argento abbandonata in Valganna, nella quale stagionare i primi formaggi
Nel seguire questo secondo motto, cinque generazioni di Guffanti si sono succedute alla conduzione dell’azienda di famiglia, nata sulle rive del lago maggiore nella splendida cittadina di Arona. La scelta da sempre è stata puntare sulla valorizzazione del prodotto artigianale che prima era solo locale, proveniente dalle valli che si affacciano al lago, ma che adesso raccoglie 300 prodotti, che arrivano da tutta Italia, ma anche da Francia, Svizzera e Gran Bretagna. Tutti rigorosamente selezionati dai nasi dei Guffanti e tutti verificati sul posto, per valutare la qualità e le tecniche di produzione.
«I clienti torneranno nei ristoranti se ad attenderli ci saranno ristoratori che sapranno fare le cose in modo giusto, con le dovute attenzioni, e con la dovuta pazienza», ci vorrà una maggior cura verso le materie prime, la sua preparazione e presentazione; si innalzeranno ancora i livelli di igiene e forse verranno finalmente rispettate regole di buona educazione da sempre ignorate in molti locali sia da parte dei clienti che dei ristoratori.
pensa che il giorno sia felice solo quando scopre un nuovo ristorante dove si mangia bene. Gastronomo per passione, abitante della combattiva Valle Susa, nel tempo che resta si occupa di politiche di welfare e di innovazione sociale
Mauricio Couly, una passione per i grandi formaggi del mondo, che reinterpreta in Patagonia
“Del buono, poco” è il nuovo motto di Davide Oldani nei confronti del vecchio carrello dei formaggi, e del formaggio nella ristorazione in generale. Ossia: il tradizionale carrello è inattuale, bisogna proporre poco ma di altissima qualità, badando anche alla "stagionalità del formaggio", ossia servendo ciascun cacio nel periodo dell'anno in cui si esprime meglio. Così l'assaggio di "formaggi" al D'O, vedi la foto sopra, prevede tre pezzi, ma solo uno è formaggio vero, quello al centro, un Montebore. La finta groviera, a sinistra, è una mousse di pera e pepe del Tibet; la finta scaglia di Parmigiano, a destra, è un pane imbevuto in acqua di formaggio e poi arrostito. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani
Michele Casadei Massari (Lucciola Italian Restaurant, New York), Simone Caporale (Sips, Barcellona) nelle cucina di Identità Golose Milano con il resident chef Edoardo Traverso
Recensioni, segnalazioni e tendenze dal Buonpaese, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose