Identità Golose Milano, giorno 3, la cena di “Il Mondo in Italia”. Dopo La Grande Milano e la Grande Italia, sono entrati dal nuovo varco di via Romagnosi 3 quattro fornelli in fuga. No, non la solita retorica dell’italiano che fa fagotto e scavalca i confini per mancanza di opportunità di qua. Sono 4 transfughi al contrario, protagonisti con passaporto non-italiano in tasca, innamorati dell’Italia e della sua cucina.
Così tanto da lasciarsi sfuggire tutti spesso l’espressione «la nostra cucina». Italiani così tanto d’adozione che non sentono il richiamo della patria natia. In ordine di menu: Philippe Léveillé, francese di Cancale, in Italia da 30 anni esatti; Matias Perdomo, uruguaiano di Montevideo, a Milano dal 2001; Christoph Bob, tedesco di Amburgo, sbarcato a Roma nel 1999 e Rafael Charquero, spagnolo di Siviglia, planato nello stesso anno di Bob nella pasticceria de L’Albereta di Gualtiero Marchesi e Paolo Lopriore. Fornelli in fuga al contrario, che vale la pena raccontare uno a uno, ci torneremo.
La cena. Il bretone Léveillé, 55 anni, ha stregato pronti via con delle Lumache quasi alla Bourguignonne, il piatto francese della domenica per eccellenza, qui presentato come entrée su chips croccanti, espediente che riduce di molto la sua tradizionale untuosità. Perché “quasi alla Borgognona”? «Perché è molto più leggero dell’originale: non utilizziamo l’aglio alla maniera classica ma solo i suoi talli e dell’aglio nero fermentato». E il burro? Non c’è: «La cremosità tradizionale è stata ricostruita con una purea di papata all’aglio».


Le Lumache quasi alla Bourguignonne di Léveillé
Il
sudamericano Perdomo è arrivato con dei
Ravioli di tuco nel fagotto, un piatto che ci ha ricondotto ai loro (di Perdomo e del suo sodale
Simon Press, argentino) lunghi pranzi in famiglia a Montevideo. Un Ragù di carne di manzo a pezzi interi, con pomodoro, cipolla, peperone rosso, carota e formaggio grattugiato disidratato, come ripieno nel raviolo, che tesseva insospettabili rapporti con la nostra cucina. Ci torneremo.
Del brasato tedesco di Christoph Bob sapevamo già tutto. Non i 60 commensali di ieri, che quasi si alzavano in una ola post-assaggio. Una carne “in agrodolce” tenerissima, con un degno corredo di purea di sedano rapa «e altre verdure che in Germania si sognano», diceva il ragazzone-maratoneta, arrivato alla corte di Heinz Beck a fine millennio, poi salito al Plaza Athenée di Alain Ducasse ma subito ridisceso ai nostri lidi. «Non era la mia cucina: vado pazzo per i piatti del vostro sud, una cucina che mangio io per primo. Quella che cucinerò sempre». E ci mancherebbe, con una moglie di Vico Equense…

Ravioli di tuco di Perdomo

Il Brasato di manzo su purea di sedano rapa e tuberi di Christoph Bob
Ieri, il vero
deb sui nostri orizzonti era l’andaluso
Rafael Charquero, 41 anni, pasticciere responsabile da inizio anno di tutta la linea dolce della corazzata di
Enrico Bartolini. «Ho cominciato dal ristorante del
Mudec», spiegava con un sorriso accennato, «ci vuole tempo per imparare ed estendere il mestiere alle altre insegne del gruppo». Che il talento ci sia è innegabile era chiaro dalla
Panna cotta Idiazábal con frutti rossi e caramello al Pedro Ximénez, un dolce classico con ingredienti spagnoli, dal rosso leggero al rosso fuoco, che ha acceso gli animi a fine serata.
«Perché venni in Italia nel 1999?», ci ha raccontato la sua storia, «Per un’istintiva attrazione, instillata da mia sorella, che cantava sempre Eros Ramazzotti».
Gualtiero Marchesi avrebbe voluto trattenerlo in pasticceria, ma il ragazzo fremeva di andare a esplorare più orizzonti possibili:
Cast Alimenti,
Iginio Massari. I segreti della pasticceria classica italiana, assorbiti e riportati a Siviglia e per tutta la Spagna, per i 6 anni successivi.
«Mi annoiavo», rievoca con noi, «volevo tornare in Italia». Nel 2007 da
Trussardi alla Scala, nel felice regno a due stelle di
Andrea Berton,
Alfio Ghezzi e
Remo Capitaneo, il ragazzo che lo intercetterà anni dopo da
Bartolini.

La Panna cotta Idiazábal con frutti rossi e caramello al Pedro Ximénez di Rafael Charquero

Rafael Charquero, andaluso innamorato dell'Italia
Al
Quisisana di Capri conosce la moglie, francese («Che lingua parliamo tra noi? Italiano…»). E ricomincia a girare il mondo: una bakery a Londra («Ho imparato lassù a gestire allergie e intolleranze dei clienti»), di nuovo in Spagna e infine a Tokyo, al fianco di
Luca Fantin, conosciuto qualche anno prima a Murcia. Rimarrà col trevisano al
Bulgari di Ginza per 6 anni, fino al 2015: «
Luca è un grande amico e ha un palato formidabile». Come il suo, che cominciava a propinare con successo il panettone ai giapponesi. Nel 2015, fa rotta verso il
Tosca di Hong Kong, la casa del pugliese
Pino Lavarra («un cuoco fenomenale, spinge come una
bestia»). Ma l’Italia chiamava: «Al supermercato compravo sempre gorgonzola e salumi italiani, carissimi».
A inizio 2018, il ritorno nella patria adottiva, il suo destino ineffabile. «Credo che le cose succedano perché devono succedere. Amo la pasticceria italiana perché ha un’identità molto precisa. Quale? Dipende dal palcoscenico in cui ti trovi: non tutti i dolci vanno bene per ogni situazione. Occorre capire il pubblico». Ieri sera, comprensione totale.