06-04-2019
I protagonisti della dibattito voluto da Cantine Ferrari “Campionissimi della grande ospitalità italiana nel mondo”, lunedì 25 marzo scorso. Da sinistra a destra: Paolo Marchi, Alessandro Perricone, Enrico Baronetto, Federico De Cesare Viola, Matteo Lunelli, Giorgio Locatelli e Massimo Bottura
Italians do it better. Cosa? L'ospitalità, naturalmente. E la fanno meglio tanto a casa loro quanto all’estero. Parola di master chef Giorgio Locatelli. Ma anche di Enrico Baronetto, Alessandro Perricone e capitan Massimo Bottura, riuniti insieme a Matteo Lunelli nella table ronde sui “Campionissimi della grande ospitalità italiana nel mondo” fortissimamente voluta da Cantine Ferrari in collaborazione con Identità Golose insieme ai focus su Identità di sala che hanno registrato il sold out di IGmi19 (a presentare l’una e l’altro, Federico De Cesare Viola, direttore editoriale di Food & Wine Italia). Anzi, la vera sorpresa della 15esima edizione di Identità Golose Milano, segno che monta la gran voglia di un servizio all’altezza. E gli italiani non c’è dubbio, hanno le carte per farlo e lo fanno meglio.
«La sala salva un cattivo piatto. Ma una cattiva sala distrugge un piatto straordinario», ha detto Matteo Lunelli citando Massimo Bottura, stesso palco qualche edizione fa. E se quel piatto è portato da un nativo tricolore, ha un altro sprint per forza: «Gli italiani hanno un talento su tutti: far sentire bene le persone», ancora patron Lunelli, «come produttori di vino per noi è un asset enorme».
Sai che asset se a servirlo, quel piatto, è un ragazzo dal doppiopetto sartoriale, il sorriso che Notting hill scansate, il cognome blu e il sangue operaio, con due quarti di human touch mediterraneo come Enrico Baronetto. Fratello di sala del Baronetto ai fornelli, Matteo, fra le volte dell’Alain Ducasse at The Dorchester, Enrico è il più vecchio del team: «I nostri ragazzi hanno tutti fra i 21 e i 22 anni. Lavoriamo molto con gli alberghieri, e sicuramente Londra rappresenta una grande opportunità per chi vuole lasciare l’Italia e fare qualcosa di importante». Mica fole da maschio latino. Baronetto jr partì alla volta di Londra che aveva 18 anni, finendo dritto nelle fauci di Gordon Ramsay, 8 anni di lavoro matto (molto matto) e disperatissimo in quel di Royal Hospital road. Un giro di valzer in Italia per risciacquare i panni da cameriere con Carlo Cracco e Enrico Crippa e poi in ritorno in riva al Tamigi, il suo Eldorado, la terra del riscatto: «Il pubblico di Londra vuole contatto e noi italiani siamo così, ci piace ridere, scherzare col cliente, una sintesi fra informalità e aplomb british».
E il pubblico attento, divertito pure. Tutti sorpresi per il successo del dibattito sulla sala? Fino a 3 anni fa non avrebbe avuto lo stesso seguito. «Non basta avere una buona idea, bisogna averla al momento giusto. E fra qualche anno bisognerà approfondire il dibattito sulla cantina», giù il sipario sulla Marchi-profezia. Waiting for.
a cura di
Cronista di professione, curiosa di fatto e costituzione, attitudine applicata al giornalismo d’inchiesta e alle cose di gusto. Scrive per Repubblica, Gambero rosso, Dispensa