23-03-2019

Antonia Klugmann in gita nell'altrove

Citazioni cinematografiche, accenti orientali e materie povere in paradiso: le contaminazioni secondo la cuoca triestina

Antonia Klugmann , ristorante L'Argine di Dol

Antonia Klugmann , ristorante L'Argine di Dolegna del Collio (Gorizia), sul palco di Contaminazioni (tutte le foto sono di Brambilla-Serrani)

Dove si parla di Contaminazioni, quello è il posto di Antonia Klugmann. La cuoca di Vencò ci è nata dentro, le contaminazioni sono per origine ancor prima che per vocazione il terreno di coltura, l’habitat naturale, l’humus in cui la creatività gemma e prolifera. Una attitudine che le deriva anche, lo ha detto Gabriele Zanatta nella sua introduzione alla cuoca triestina, dalla posizione naturale a cavallo tra due mondi per nascita, la Mittleuropa e l’Europa occidentale. Una posizione fertile su cui si innesta una curiosità naturalmente vocata ad accogliere racconti, suggestioni, e un talento visionario che fa della Klugmann: «La perfetta incarnazione della cuoca capace di un approccio pionieristico, quella che ci fa intravedere come cucineremo nei prossimi vent’anni, sempre Zanatta

Da questi presupposti i piatti de L’Argine ne risultano come autentici travasi di conoscenza. «Il mio collaboratore del Ghana mi ha insegnato l’uso del cocco. Gabriele, che viene dalla Sicilia e ha lavorato da Gennarino Esposito, a usare il cedro». Creature in carne ed ossa, sì, ma non soltanto. L’arte stessa, anzi l’arte innanzitutto, è il Pozzo di Connla a cui attingere infinita conoscenza. E non è un caso che alle fondamenta della intimità di Antonia Klugmann si trovino tre film, Il Pranzo BabetteIl Profumo della papaya verdeMangiare bere uomo donna. La pellicola di Ang Lee, in particolare, per «la bellezza delle immagini sopra ogni cosa, un’estetica che non conoscevo prima di quel momento, un viaggio nell’altrove. Tutta la mia ricerca sulla cucina orientale è stata stimolata da quelle immagini meravigliose».

Molti esempi, e assai diversi, di come «il racconto influenza il cuoco, ci entra dentro e risuona: questo è contaminazione». «Io mi domando cosa sia la cucina creativa, questo interrogativo è il cuore della mia giornata – ha detto Klugmann, svelandosi -: nel mio caso la cucina creativa credo che parta da un territorio immaginario generato dalla relazione fra chi sono io e la realtà che mi circonda». 

Premesse che attengono al territorio del reale ma anche all’immaginario, e acquisiscono per mezzo della creatività e della conoscenza-sperimentazione sul piano tecnico, sostanza di creazioni ovvero piatti. Come il Cavolo rapa, earl grey, verza e malavitz (un antipasto e un secondo integralmente vegetariano), frutto di due incontri. Una famiglia inglese dalla quale la piccola Antonia prendeva lezioni di lingua da bambina, e che tutti i pomeriggi alle cinque preparava tè da sorseggiare con lentezza, e quello più recente con una ragazza indiana nelle cucine de L’Argine che le ha insegnato una tecnica di infusione del tè nel latte e poi la ribollitura. Il melting pot di queste esperienze ha generato vita nuova, e voilà, ecco nato il piatto: «Ingredienti poveri che salgono in paradiso grazie ad Antonia Klugmann», Zanatta dixit. 


IG2019: costruire nuove memorie

a cura di

Sonia Gioia

Cronista di professione, curiosa di fatto e costituzione, attitudine applicata al giornalismo d’inchiesta e alle cose di gusto. Scrive per Repubblica, Gambero rosso, Dispensa

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