«Voglio sentire i profumi, la padella, il soffritto. Mi piacciono i gusti strong. La mia è una cucina italiana che cerca di rispettare la natura e la tradizione langarola. Ci tengo all’aroma, anche perché troppo spesso vedo tanta attenzione all’estetica e troppo poca al sapore. E quindi amo le basi: rimango ogni giorno 15 o 16 ore in cucina, ed è un tripudio di fondi di fagiano, vitello, cappone, piccione…». Trimalcionicamente inappuntabile, pantagruelisticamente esaltante, gargatuescamente invitante: si può dire che Pasquale Laera, classe 1988 da Gioia del Colle, giovane com’è vada con coraggio controcorrente, oggi l’opinione gastronomica mainstream induce semmai a ossimorici banchetti frugali, a rendicontazioni culinarie più all’insegna della morigeratezza che del piacere goloso; siam passati insomma dalla spensieratezza della crapula al desinare con un occhio a sostenibilità e silhouette.

Anno 2014: Laera con Antonino Cannavacciuolo a La Rei
Qui è diverso: siamo in Langa, patria di fantasie culinarie orgasmiche e di prodotti “che tutto il mondo ci invidia”, per usare una frase fatta; e poi
Laera è discepolo della cucina
neoclassica mediterranea, com’è stata definita, e con accenti anche francesi il cui autore primo è quell’omone grande e grosso d’
Antonino Cannavacciuolo, suo maestro.
E’ andata più o meno così, nelle cucine del La Rei, indirizzo gastronomico de Il Boscareto Resort: quando nel 2013 Cannavacciuolo ha preso a firmare il menu del ristorante, vi ha mandato come executive chef proprio Laera, che faceva il suo sous a Villa Crespi e all’epoca era davvero un ragazzino, 25 anni. Tre anni più tardi, quando il contratto tra Antonino e Il Boscareto è scaduto, la patron Valentina Dogliani ha preso da parte Laera e gli ha detto in sostanza: «Pasquale, non te ne andare. Rimani qua, sei promosso sulla tolda di comando». Lui non se l’è fatto ripetere ripetere due volte.
La
Dogliani, come abbiamo visto, è tra gli attori protagonisti di questa storia e merita dunque un veloce approfondimento. E’
direttore-proprietario-amministratore delegato-padrone di casa del resort, sorto nel 2009, unico cinque stelle in zona, «l’ho accudito fin dalla sua nascita e l’ho seguito passo passo nella crescita, come fosse un figlio» di 38 camere, il tutto sui terreni di famiglia, produttori di vino tra i più noti in Langa: vigneti dal 1978 con l’azienda vitivinicola
Beni di Batasiolo (filari in La Morra, Monforte d’Alba, Barolo, Bricco di Vergne e ovviamente qui, a Serralunga d’Alba).
«Mancava in tutta l’area un resort di lusso per soddisfare la domanda di un certo tipo di clientela che viene da queste parti attirata da vino & tartufi»; chiaro dunque che, oltre a proporle una struttura con tutti gli ammennicoli del caso, compresa la splendida spa, servisse anche una ristorazione doc. All’inizio venne affidata a
Gian Piero Vivalda dell’
Antica Corona Reale di Cervere, che vi mandò il suo fidato
Chen Shiqin - cinese ma piemontese d’adozione. Poi, come abbiamo visto, è toccato a
Cannavacciuolo. Da due anni a
Laera “in proprio”.

La brigata de La Rei: da sinistra il sous Alessio Bucella, da 5 anni con Laera, erano insieme già al Villa Crespi. Poi Gilvinas Sulcius, Silvio Sedda, Giuseppe d'Onofrio, Giuseppe Pignatello, Damiano Semeraro, Federico Tesse, Stefano Magna, Edoardo Bello, Sofia Bianchi, Tommaso Roberto, George Uta Ionut, Costantin, Alfred, oltre naturalmete a Pasquale Laera
Lui dispiega la propria verve presiedendo una brigata di 12 elementi, per una settantina di coperti al massimo. Nei nostri assaggi, c’è prima di tutto grande solidità: nel riproporre al meglio la grande tradizione langarola, parte integrante del menu (delizioso il
Vitello “tonnè”, ossia senza tonno. Riprende l’usanza di cuocere la carne “in concia” con aceto, acciughe e capperi, elementi che tornano in questo piatto splendido, con l’aggiunta dell’uovo disidratato. Di livello anche tajarin e plin). Poi nel raccontare i secondi piatti (animelle, buonissime, poi fagiano e piccione…) con quell’opulenza gustativa che abbiamo descritto all’inizio, quindi senza lesinare in fondi e, in generale, sapore. A volte fin troppo, ci vien da dire: qua e là si sente l’esigenza di “pulire” un poco il piatto, di resettare le papille.

Tempo di tartufo bianco a La Rei
Operazione quest'ultima che è nelle corde dello chef, come ci dimostrano soprattutto gli antipasti: lì
Laera dimostra di saper utilizzare (anche) i colori tenui, di possedere insomma una mano elegante e una voce che sa urlare il buono, ma anche sussurrarne l’armonia. Lo dimostrano preparazioni riuscitissime come
Carne cruda, cime di rapa, maionese di ricci di mare, alga kombu e Murazzano, specie di corto circuito geografico che sovrappone con classe Langa, Mediterraneo e Giappone (dove
Laera ha lavorato. E nel suo curriculum ha anche uno stage al
Geranium di Copenhagen); e ancor più lo spettacolare
Crudo di ricciola, rape in carpione e salsa al pepe, perfetto nella sua essenzialità. Poi, vabbé, se è tempo di tartufi, non c'è molto altro da aggiungere.
Nota di merito finale per la sala: il maître-sommelier Fabio Mirici Cappa è un gran professionista, sa il fatto suo.
(Nella fotogallery, firmata Tanio Liotta, la lunga carrellata dei nostri assaggi)