24-06-2012

Non è un paese per (giovani) cuochi

Nella storia di Simone Tondo a Parigi, il contrasto stridente di possibilità tra Italia e altre realtà

Simone Tondo, cuoco sardo di Macomer, 24 anni, al

Simone Tondo, cuoco sardo di Macomer, 24 anni, al cantiere del ristorante Roseval, di apertura imminente in rue Eupatoria 1 a Parigi, ristorante di cui è socio con Michael Greenwold. Tondo lavora in Ville Lumière da più di 3 anni, un percorso non facile ma di sicuro stimolante, ben raccontato nell'intervista con l'amico Tokyo Cervigni

L’estate parigina non esiste. Il cielo è bianco e nuvoloso da mesi. Siamo quasi a luglio e ancora non si è capito che stagione si stia vivendo in città. Anche i prodotti che si trovano nei mercati e che si mangiano al ristorante non si sa cosa siano. C’è solo una soluzione: bere e approfittarne per intervistare un amico prossimo all’apertura del suo ristorante qui a Parigi. 
È così che una sera, mentre gli occhi della città erano incollati ai televisori che ritrasmettevano l’europeo, io e Simone Tondo, giovane cuoco sardo di Macomer, ormai parigino da 3 anni, ci siamo messi sulla terrazza de La Gazzetta per discutere sul ruolo dei giovani nelle cucine, dell’apertura del suo ristorante e di quello che Parigi gli ha dato umanamente e professionalmente. Riporto qui in breve dunque la discussione di una serata passata davanti a una bottiglia di vino.

Quando e perché hai deciso di andare a lavorare all'estero?
La prima volta che sono uscito dalla Sardegna per andare a lavorare, è stato al Mirazur di Mauro Colagreco a Mentone. È stata un’esperienza breve ma molto importante, ero ancora giovanissimo. Una volta tornato ad Alghero a lavorare per Cristiano Andreini ho incontrato Giovanni Passerini con cui ho cominciato un’amicizia incredibile. Al tempo lavorava ancora con Petter Nillson, gli ho passato il mio curriculum per cercare di entrare proprio qui, alla Gazzetta, ma non c’èra posto. Fu allora che mi accennò che avrebbe aperto un posto suo (Rino, ndr) e che mi avrebbe preso come suo sous. L’offerta era troppo allettante per essere rifiutata, Parigi per un cuoco è una tappa fondamentale. Giovanni ha accelerato le pratiche e mentre lui apriva, io mi sono trasferito in città nel novembre 2009.

Simone Tondo ai tempi in cui lavorava con Giovanni Passerini, cuoco del ristorante Rino a Parigi

Simone Tondo ai tempi in cui lavorava con Giovanni Passerini, cuoco del ristorante Rino a Parigi

Quali vantaggi e svantaggi comporta lavorare qui rispetto all’Italia?
Puoi avere una fidanzata! In tutti i ristoranti ci sono almeno due giorni di riposo. Anche se vai a lavorare in un 3 stelle per 18 ore al giorno, hai la certezza di avere due giorni alla settimana in cui puoi avere una vita privata senza vedere i fornelli. I contratti si rispettano e le 35 ore a settimana non sono un’utopia. Il salario non cambia molto, giustamente il costo della vita a Parigi è molto elevato. Alla fine, un buon cuoco in Italia guadagna bene. Quello che cambia sono le possibilità e le aperture professionali che qui puoi avere. A Parigi non riesci neanche a contare tutte le diverse proposte di ristorazione esistenti. Lo svantaggio è forse proprio in questo. L’offerta è così varia che riuscire a trovare un cuoco bravo e creativo che riesca a farti capire l’essenza della cucina di questa città è difficile. Di cuochi bravi ce ne sono tanti, ma di persone capaci di insegnare molte meno.

I francesi danno importanza ai giovani solo a parole o anche nella realtà? Hai trovato differenze con l'Italia?
A dire il vero non posso proprio dirlo visto che ho lavorato con italiani e svedesi – ride, ndr. In altre cucine ho fatto solo passaggi brevi. Però è vero: se sei bravo danno merito alle tue abilità e riescono a valorizzare quello che vali, che la cucina sia stellata o meno. In Italia mi sembra che sempre di più le partite dei ristoranti siano composte per la maggior parte da stagisti, presi solo perché non vengono pagati, poco importa se siano bravi o meno. Capisco la necessità di alcuni ristoranti di essere obbligati a fare questo per rispettare un modello economico c’è comunque un limite. Qui in Francia nelle cucine la gente è ancora pagata e gli stagisti non sono troppi, almeno per il momento.

Quanto sono sensibili i giovani a Parigi alle sirene dell'alta cucina?
Parigi non è la Francia. Gli stipendi medi sono relativamente alti e la gente ama uscire. Essendo abituata, comincia a pretendere una certa qualità. Questo ti consente margini di libertà rispetto alla tua cucina, il pubblico è già educato ed è aperto a nuove tendenze. Credo che molti dei ristoranti che hanno aperto qui negli ultimi due anni non avrebbero avuto lo stesso successo sul pubblico altrove.

Che cosa si potrebbe fare da noi per coinvolgere di più le nuove generazioni?
Sono dieci anni che si dicono le stesse cose. È difficile inserire qualcosa di nuovo in un sistema diretto dagli interessi. I volti giovani che vediamo sono spesso “sponsorizzati” da qualcuno che fa già parte del giro.

Tra poco aprirai Roseval, il tuo ristorante. Com'è nato?
Il progetto è partito alla Gazzetta, dove ho incontrato Michael (Greenwold, il socio, ndr). Avevamo voglia di assumerci le responsabilità di un ristorante e volevamo cominciare a sviluppare un nostro discorso in cucina. Penso che cominciare così giovani sia la cosa migliore: puoi dare una cifra ai tuoi potenziali e lastricare la strada di nuove idee.

Sardine alla griglia midollo affumicato bufala pane al limone erbe selvatiche, futuro piatto in carta al Roseval

Sardine alla griglia midollo affumicato bufala pane al limone erbe selvatiche, futuro piatto in carta al Roseval

Perché proprio a Parigi?
Quando sono arrivato qui, l’esperienza da Giovanni mi ha aperto gli occhi. Da Rino ho capito che il modo in cui i parigini concepiscono la ristorazione lasciava una certa libertà di azione. Abbiamo colto la palla al balzo. Parigi è aperta non solo a nuove idee, ma anche a nuovi volti. Sia io sia Michael siamo stranieri, questo aiuta. I francesi sono curiosi di scoprire nuove influenze e punti di vista diversi sul cibo. L’interesse non si limita solo alla cucina, ma anche ai prodotti e al loro utilizzo. Le cucine sono un posto in cui passiamo buona parte della nostra vita e il più delle volte ci si vive dei momenti di merda, ho voluto aprire con Michael non solo perché è un cuoco che sa il fatto suo, ma soprattutto perché è un amico con cui sento condividere molte cose.

Tornerai in Italia?
Il mio sogno è aprire ad Alghero, nella mia terra. Ora come ora però non è possibile: non c’è la stessa ricerca per il nuovo, né interesse per un tipo di ristorazione e i giudizi pendono spesso sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Se ho aperto qui e così giovane è perché sono certo che questo mi permetterà di tornare a casa per realizzare i miei sogni.

La serata volgeva al termine passeggiando all’ombra della bastiglia, nell’XI arrondissement di Parigi, e passando a salutare Fabrizio Ferrara al Caffè dei Cioppi. Un’ultima bottiglia di bianco friulano faceva tramontare il sole su una città che si preparava all’ennesima notte di diluvio. Perché anche se il sole non lo vedi in alto nel cielo, ti accorgi che tutto sommato lo ritrovi nell’entusiasmo della gente che si fa un culo come un secchio per realizzare i propri sogni.


Dal Mondo

Recensioni, segnalazioni e tendenze dai quattro angoli del pianeta, firmate da tutti gli autori legati a Identità Golose

a cura di

Tokyo Cervigni

Esperto di BLT sandwich, bevitore di Americano e aspirante Larry David

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