La penisola scandinava è stata protagonista di una delle principali rivoluzioni gastronomiche degli ultimi anni, mentre le vicine Repubbliche Baltiche – Estonia, Lettonia e Lituania, separatesi dall'ex Unione Sovietica nel 1991 ed entrate nella Comunità Europea nel 2004 – non sono ancora riuscite ad affermare una propria “linea” culinaria. Eppure, già da qualche anno alcuni chef di punta della capitale lettone (riuniti in un'associazione, Pavāru Klubs) stanno cercando di trovare la loro strada per definire una precisa identità gastronomica lettone. Un breve ma intenso viaggio a Riga per la Restaurant Week – in cui i migliori ristoranti della città offrivano menu da 3 o 4 portate a 15 o 20 euro, dal 12 al 19 ottobre – ci ha aiutato a capire perché, e cosa stia succedendo.
Incontriamo lo chef Māris Jansons – attualmente al ristorante BIBLIOTĒKA №1, un bellissimo ed elegante locale all'interno del parco Vērmanes, a pochi passi dalla Città Vecchia – davanti al Mercato Centrale affacciato sul fiume Daugava. Composto da 5 grandi padiglioni ricavati da altrettanti hangar tedeschi fatti arrivare dalla base aerea di Vaiņode negli Anni '20, dove sono in vendita generi alimentari diversi (carne, pesce, verdure e frutta, formaggi e gastronomia varia), il Mercato offre un bello spaccato sulle potenzialità della gastronomia locale ed è un punto di incontro anche per gli chef.
Jansons ci viene due o tre volte a settimana a comprare ortaggi, pesce fresco – come le buonissime sardine – e affumicato, miele e bacche. Ci fermiamo a diversi banchi di fiducia, dove ci fa assaggiare a mo' di street food prodotti piuttosto insoliti per i palati italiani: coscette di pollo intensamente affumicate e insaccati di ogni genere, aglio e foglie di verza sottaceto, bacche aspre e miele dal sentore di bosco, lamprede di fiume conservate sotto sale e caffè, secondo l'usanza locale.

Tornando verso il ristorante, dove ci aspetta un bel pranzo, lo chef ci spiega a che punto sia il “movimento” locale fondato dallo chef
Martins Ritins, convinto sostenitore di
Slow Food in Lettonia, con l'apertura del ristorante
Vincents nel 1994. Da allora molta strada è stata fatta, ma ne resta ancora da compiere. «In Lettonia manca una tradizione gastronomica da recuperare – ci racconta
Jansons, spiegandoci che diversi secoli di dominazioni straniere, dalla Polonia alla Svezia, e 50 anni di “collettivizzazione” sovietica hanno praticamente azzerato l'identità gastronomica locale – Nel periodo sovietico le nostre usanze alimentari erano limitate soprattutto a zuppe e insalate, mentre con l'indipendenza siamo stati invasi dal cibo “globalizzato”, dai gamberi alla frutta esotica. Noi non vogliamo né l'uno né l'altro, e stiamo cercando di fondare una
Contemporary Latvian Cuisine basata soprattutto su prodotti locali e freschi».
Quest'ultimo assunto può sembrare una banalità, ma considerando la ricca biodiversità del Paese – dalle foreste alle coste – e l'attitudine nordica a considerare appetitosi anche prodotti che noi forse non teniamo abbastanza in considerazione come le bacche e le radici, la cosa si fa interessante. Se si unisce a tutto questo un gusto accentuato per l'estetica – tanto nei piatti quanto negli ambienti dei locali – e la capacità di restare saldamente con i piedi per terra, senza abbandonarsi a estremismi molecolari o a provocazioni entomofaghe, la cosa può farsi decisamente interessante. Non a caso, Riga e la zona della Gauja sono state scelte come
European Region of Gastronomy per il 2017 con il concept “Nature on a Plate”.

Aringhe marinate con mela verde e gelatina di rafano
Al
BIBLIOTĒKA №1, per esempio, abbiamo assaggiato piatti godibili e interessanti come le
Aringhe marinate con mela verde e gelatina di rafano, servite su una scenografica tavoletta di ghiaccio e accompagnate dalla vodka aromatizzata al rafano. Ma pure la
Tartare di struzzo – rigorosamente da allevamento locale –
con polvere di prezzemolo, uovo di quaglia e foglia di kale disidratata, e lo squisito
Filetto di cervo brasato (niente sottovuoto, vivaddio!)
con purea di patate arrosto, maionese all'aglio nero e gelatina di mela cotogna, una delle glorie gastronomiche nazionali.
Per accompagnare, una cantina internazionale – Italia inclusa – di tutto riguardo. Ma è il dessert che ci ha conquistato: la
Beekeeper's Joy (delizia dell'apicoltore), questa si nata dal ricordo d'infanzia delle merende a base di pane, miele e sour cream (onnipresente sulle tavole lèttoni) a noi proposta anche con una “neve” di topinambour che ci stava alla grande.

Terrina di patate con caviale di trota, “spaghetti” di cetriolo e sour cream
Altri assaggi degni di nota li abbiamo fatti pure al ristorante di pesce dell'elegante hotel
Le Dome – niente a che vedere con le patinate sale di tanti ristoranti d'hotel, ma foto raffiguranti facce di pescatori e scene di pesca alle pareti e un menu decisamente interessante tra cui la deliziosa
Terrina di patate con caviale di trota, “spaghetti” di cetriolo e sour cream – e al ristorante
“3” (il nome sottolinea la stretta collaborazione tra lo chef
Juris Dukaļskis, la manager
Irita Stone e il sommelier
Jānis Gailis). Quest'ultimo porta appena un po' più in la il concetto di “autoctono” e “naturale” proponendo materie prime insolite – anche per gli indigeni – e preparazioni a volte estreme come la carne affumicata di castoro, le orecchie o la lingua di maiale e l'ardito
Tortino di cioccolato e aglio nero con gelato di camemoro, bacca arancione ricchissima di vitamina C. Intrigante, ma non da bis.