L’Argentina, la Francia, l’Italia, il Brasile. È il collage di 4 bandiere che Mauro Colagreco ha sventolato sul palco di Singapore, fresco patron del “miglior ristorante del mondo”. Esiste uno spot più luminoso sulla mescolanza? Un messaggio più incisivo sulla fertilità dell’incontro? Così funziona da sempre la migliore cucina: ingredienti in viaggio, che approdano sulle terre di destinazione e generano ricette che attecchiscono felici.
La direzione contraria di quello che vuole il mondo oggi, a osservare le homepage dei quotidiani d’Italia e del mondo dell’altro dì: accanto alla gioia dello chef argentino strideva non poco lo scatto tragico del Rio Grande, al confine tra Messico e Stati Uniti, e l’imbarazzante paralisi della Sea-Watch nelle nostre acque. Vai a spiegare ai sovranisti che l’immigrazione è il tema di uno degli eventi più interessanti degli ultimi tempi, Al Meni, il circo felliniano che Massimo Bottura, Enrico Vignoli e Andrea Petrini portano da 6 anni a Rimini per dare lustro alla città e alla regione. Missione riuscita anche quest’anno, nonostante il sabato funestato da diluvi simil-amazzonici.
Accanto ai 12 chef emiliano-romagnoli stanziali, c’erano altrettanti colleghi, tutti immigrati, un vocabolo semanticamente non di gran moda (gli si preferisce "migranti", più soft) ma che non bisogna avere paura di pronunciare (qual è il problema? Siamo tutti figli di immigrati). Tra i 24 ospiti (leggi qui il dettaglio) spiccava per i toni garbati Tim Butler, statunitense dal Maine di stanza da anni a Bangkok e Phuket in Tailandia (dopo Eat Me aprirà a breve il più ambizioso Esenzi): era da mangiare col mestolo tanto era buona la sua Larb di trippa e lingua, con salsa di pesce, coriandolo e macinato di maiale.

Massimo Bottura, il sindaco di Rimini Andrea Gnassi e Stefano Bonaccini, presidente della regione Emilia Romagna

Giovanni Passerini e Simone Tondo

Enrico Vignoli (a metà), Bledar Kola ed Entiana Osmenzeza
C’erano i coniugi finnic-american-coreani
Kim Mikkola ed
Evelyn Kim, titolari innamorati di
Inari di Helsinki, bravi a comporre un puzzle con piccoli tasselli dai 3 continenti. C’era
Francisco Cardenas, simpatico cileno che ha girato mezza Europa per fare pit-stop in Danimarca, diviso tra le due cucine del
Kadeau, a Copenhagen e sull’isola di Bornholm. È arrivato trafilato
Dalad Kambhu, passaporto americano, origini thai, da poco titolare a Berlino del
Kin Dee.
Sono atterrati assieme da Parigi
Giovanni Passerini e
Simone Tondo, firme della migliore cucina italiana in Francia, autori di una doppia demo così simbiotica che quasi non capivi chi dei due fosse l’autore della Passatina di ceci con insalata di granchio e grano saraceno (il secondo, sardo di
Racines) o la Tartare di manzo e anguilla, tamarindo e carote (il primo, romano di
Passerini). Questo prima che
Jefferson Alvarez (pronuncia “iefferson”, in spagnolo), si esprimesse sul suo personalissimo mélange di venezuelano dirottato a Vancouver (ristorante
Cacao).
C’era l’irlandese
Jordan Bailey, braccio destro del danese
Esben Holmboe Bang al titolatissimo
Maaemo di Oslo, da poco al timone di un progetto nella sua Irlanda. Dietro le quinte non hanno smesso un attimo di mulinare le braccia l’albanese
Bledar Kola, un personaggio incredibile per quello che sta facendo a Tirana (ultimo progetto: il primo chiosco di street food, ci informano da
Munchies). Con lui, la connazionale
Entiana Osmenzeza, che sta lavorando per aprire il suo ristorante a Tolentino, Macerata, il prossimo autunno.

Davide Di Fabio (Osteria Francescana, Modena) rimesta il suo Risotto alla Cattelan

L'insalata finnico-coreana di Kim Mikkola ed Evelyn Kim, Inari, Helsinki
Stranieri in terra straniera, così titolava l'happening. L’
Al Meni global family che zooma nel
local dell’Emilia Romagna e di Rimini: «Così mostriamo al mondo tutto il nostro patrimonio», dichiarava fiero il sindaco
Andrea Gnassi. «Arriviamo dai 5 continenti», specificavano
Vignoli e
Bottura, «ma ci piace molto organizzare tutto questo, qui e ora. La tavola è il linguaggio che più di ogni altro dimostra la fertilità di mescolanze e contaminazioni». Non è certo l'unico e occorre ribadirlo ogni volta che si può.
(
Ha collaborato Andrea D'Aloia)

Mauro Colagreco e il suo patchwork di nazionalità