Il fatto è che lui non cucina dietro l’angolo: dal 2009 è chef del
Bulgari Ginza Tower di Tokyo, hotel 5 stelle, brigata di dieci persone, tra i 30 e i 40 coperti, piatti “italiani” ma le virgolette sono d’obbligo, perché vengono realizzati solo con materie prime locali… del Giappone. Ha 35 anni, è trevisano di Silea, figlio di un ferroviere e di una casalinga. Più timido che estroverso. L’anno scorso ha sposato
Emi e il 30 luglio è nato
Nicola.
Non vieni da una famiglia di cuochi. Come è nata questa passione?
«Tutto merito di nonna Anita. Da bambino ero sempre attaccato alla sua gonna».
Però poi hai scelto di provarci…
«A 13 anni mi sono iscritto all’Alberghiero di Treviso. Dopo gli studi, le prime esperienze in zona, al
Marcandole di Salgareda. Mi ha dato spazio, permettendomi di crescere. Poi sono finito
Al Bersagliere di
Massimo Ferrari, a Goito, nel Mantovano. Tremavo all’idea di andare a lavorare in un due stelle. Là ho capito che questo è un mestiere in cui la passione è indispensabile».
Quindi è stata la volta di Carlo Cracco. Cosa hai imparato da lui?
«Sono rimasto a Milano un anno. Ho appreso l’importanza dell’organizzazione. In lui ho visto non lo chef-artigiano ma l’uomo che sa pianificare. Precisione, severità».

Sempre Fantin mentre porge un piatto a Viviana Varese durante la cena a quattro mani da Alice, il ristorante gourmand dell'Eataly Smeraldo
Tappe successive?
Era l’epoca del massimo splendore della scuola iberica…
«Già, e lo si percepiva. Là ho appreso che l’eccellenza la si ottiene solo se si ragiona puntando in alto ancor prima di entrare in cucina. A Errenteria è fondamentale presentarsi al lavoro puntuali, rasati, ben pettinati. E darsi da fare. Dalle cinque del mattino a mezzogiorno, nelle ore di tempo libero, si finiva spesso per passeggiare tra i boschi alla ricerca delle erbe: bacche silvestri, aglio orsino, trifoglio, fiori di zafferano… La cucina ha un’anima che va colta, letteralmente».
Ultima tappa europea del tuo percorso di formazione è stata Roma, di nuovo.
«Sono diventato sous chef di
Heinz Beck alla
Pergola. Lì mi hanno preso, dopo l’esperienza spagnola, perché apportassi aria nuova. Ero chiamato a creare, a sperimentare. L’obiettivo era quello di migliorare sempre. Credo di aver contribuito a rinnovare la cucina di
Beck».
Il suo insegnamento?
«La centralità del gusto. “Non cucini per gli altri cuochi, ma per i clienti”, mi diceva: un concetto diverso da quello del Mugaritz, dove si punta all’avanguardia».
Un piatto che hai creato alla Pergola?
«Il Cannolo di scampi con polvere d’olio e vinaigrette di pomodoro».
Nel 2009 l’offerta dal Giappone.
«Mi contatta
Stefano Baiocco, un amico. Mi dice che il
Bulgari è interessato. Vado e decido di rimanere: là c’è tutto per lavorare al meglio, non solo una grande cultura del cibo, ma anche un’economia forte. Ti si aprono strade impensabili nel nostro Paese. Hai a che fare con una clientela attenta, sofisticata, che spende tanto ma lo fa bene; per contro, ci sono molti competitori».

Risotto Carnaroli mantecato alla crema di topinambur con uova di salmone di Hokkaido
Qual è il tuo stile di cucina?
«Quando sono arrivato a Tokyo ero pieno di idee, ma non ancora ben sedimentate. Volevo stupire. Dopo due anni ho capito che commettevo un errore: mancavo di rispetto nei confronti del prodotto. E ho cambiato. All’inizio facevo arrivare dall’Italia un sacco di ingredienti. Ora invece mi concentro sulle straordinarie materie prime nipponiche. Uniche eccezioni: il riso Carnaroli, l’olio extravergine e il Grana padano. Ho scoperto perfino ottimi funghi porcini, sul monte Fuji».
La clientela è sempre sedotta dall’Italian style?
«Certamente, tieni conto che al 95% ho clienti giapponesi. Ho tolto la carta, faccio solo due menu degustazione. E senza “sconti”: all’inizio cuocevo pasta e riso un po’ di più per venire incontro ai gusti locali, ora li tengo sempre al dente».
Hai un piatto simbolo?
«Direi il minestrone. Il mio minestrone, un brodo di sole verdure cotte 24 ore sottovuoto, poi 30 tipi di verdure diverse, alcune crude, altre come giardiniera, altre cotte, altre stracotte... Infine una moka alle erbe aromatiche».
Cosa ti manca della cucina italiana?
«Solo i bruscandoli! Il Giappone ha materie prime straordinarie».