Big snow fuori dai saloni MiCo di via Gattamelata, ma i veri big sono all’interno e riscaldano il cuore, fioccano solo applausi: il programma mattutino della sala auditorium a Identità Milano prevede due “mostri” italians doc, Carlo Cracco (col fido e inseparabile Matteo Baronetto) e Massimo Bottura, a incorniciare il duo statunitense Daniel Humm e David Kinch. Si inizi!

Carlo Cracco: il bello dell'acido
Partenza acida, tema acido,battuta acida: «Applaudite
Cracco solo da quando è diventate popolare per Masterchef», è l’uppercut di un
Paolo Marchi in gran forma. Tema acido? Già, perché proprio su questo verte la lezione dello chef vicentino ormai di casa in via Hugo, due passi dalla Madonnina. L’acidità, peraltro, è solo nel piatto, perché il resto è tutta una corrispondenza di amorosi sensi con Marchi gongolante. Inizia questi: «Ho iniziato
Identità Golose, nove anni fa, anche grazie a
Cracco». Lui non si fa pregare e ricambia: «Trovo importante portare avanti un lavoro come questo. Tra i tanti congressi, è uno dei pochi che costruisce un percorso per permetterci di essere più forti là dove ci considerano, ma ci tengono sempre in un angolo». Lui esce dal suddetto angolo e confessa un atto contro natura: «Né a me né a
Matteo piacciono gli acidi, li usiamo poco, sono ruffiani, spesso vengono usati per mascherare difetti. Invece questa volta…». Questa volta impiatta Acidi, nuova degustazione di sola acidità: 16 elementi a precedere il main course, un po’ come il vecchio sorbetto al limone. «Bello mischiare tutto e scoprire che è soave», sintetizza
Baronetto.

Daniel Humm: cambiare tutto, violare le regole
“I have to change to stay the same”: lo zurighese
Daniel Humm usa le parole di
Willem de Koonig per raccontare l’evoluzione del suo
Eleven Madison Park con vista su Central Park, siamo nel cuore chic e cosmopolita della Grande Mela: da brasserie senza pretese a ristorante cult con newyorkesi in coda, tutto all’insegna di una parola d’ordine: «Violare le regole». Ad esempio rivoluzionando il menu, «costruendolo attorno al cliente come fosse un abito sartoriale», ma poi son fuochi d’artificio, format scoppiettante. Il concetto è: scoprire la tradizione targata NY, scovare nell’incredibile mosaico di culture metropolitane il fil rouge costituito dai tanti produttori di cose buone che gravitano attorno alla città. Ecco il contadino che coltiva 35 tipi di carote: è lo spunto per un tributo alla steak tartare che ha tutto della tartare (vinaigrette di carote, sale marino di Long Island, uova di quaglia, erba cipollina, kren, mostarda di mele, semi di mostarda sott’aceto… uniti alle succitate carote sminuzzate live), tranne la carne, «ma texture e gusto sono simili».
Dalla costa Est alla Ovest, aumenta il quoziente ambientalista. David Kinch fa lo chef ecologista, viene da vicino a Palo Alto, va lavorare in auto su una strada panoramica con vista sulle onde dell’oceano ma non è un gran surfista, si destreggia molto meglio tra i fornelli e nelle public relations: «Venite a trovarmi a Los Gatos, gli amici di Identità sono anche miei». Spiega che i californiani sono ben disposti ad abbracciare le innovazioni, da Alice Waters in poi. La sua innovazione è un’evoluzione e un impegno. L’evoluzione: passare da uno stile francesizzante a una suo proprio (Andrea Petrini sul palco certifica), tanti vegetali e frutta. Ad esempio in un cocktail di crostacei con una granita ottenuta col succo di pomodori verdi e limone, aromatizzato con le alghe del Pacifico e poi marinato; dona acidità a far da cappello a un mix di crostacei top il cui letto è pesto di crescione selvatico e muesli. E l’impegno? «Serve un uso alternativo delle risorse naturali, dobbiamo cambiare le cose, non si può utilizzare così tanta energia per sfamare 40 persone»: come non applaudire (e l’auditorium lo fa, convinto)?

David Kinch: sostenibilità californiana
Siamo sul filosofico ed è quindi tempo della superstar
Massimo Bottura. Confessa subito: «Ho le farfalline nello stomaco», ma non è un nuovo piatto entomofago redzepi-style, semplicemente lui è «ancora emozionato, su questo palco». Poi col suo accento modenese infila un crozzian-bersaniano: «Ragazzi!», e sembra di vivere una nuova stagione - in cucina, non solo in politica. Si sorride, ma le sue divengono subito dopo parole belle e importanti, una lezione emozionante che ammalia la platea strapiena. «Cosa c’è dietro un piatto?», o meglio, cosa deve esserci? Saltiamo alla conclusione, servono sei concetti: rispetto, identità, responsabilità, libertà, saggezza e cultura «attrezzi indispensabili per la cucina italiana», perché anche dai fornelli passi la rinascita del Paese. Rompere-trasformare-ricreare: «dobbiamo rimettere insieme i pezzi della Penisola», innamorarsene di nuovo. Magari con la cucina, con un menu che si chiama
Vieni in Italia con me (omaggio a un libro di
Umberto Notari) e parte dalle materie prime, «da un cappero di
Gabrio Bini o un bergamotto confit di
Corrado Assenza».
Diventano magari un momento identitario (come nel Cappuccino di cipolle e patate con cornetto di farina di ciccioli) o uno di valenza etica: «I piatti come gesto sociale», è la formula-concetto che spiega
Viaggio da Modena a Mirandola - terra (s)fortunata - proposta in onore delle vittime del terremoto: cotechino cotto al vapore di lambrusco, sbrisolona meno-zucchero-più-sale, zabaione del lambrusco stesso. La tavola s’incrocia con arte, cultura, storia ed economia, d’altra parte «noi italiani abbiamo sempre un limone di riserva, una batteria di scorta di pomodorini». Parla di un Belpaese che riparte «mediante un gesto poetico», senza abbandonare natura e identità. Ovazione. Desinare non è mai stato gesto più consapevole...