03-04-2019
Giuseppe Li Rosi e Tommaso Cannata a Identità Milano 2019. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani
«Ogni vita inizia e finisce con un seme. Il seme è il progetto. Nel suo interno giace il sogno degli antenati. Nel sogno rinchiuso nel seme pulsa l’intero dramma della genesi». Giuseppe Li Rosi sceglie il registro della poesia per raccontare le nuove memorie della terra che sta costruendo insieme ai 170 soci di Simenza, Compagnia siciliana di sementi contadine.
Accanto a lui, Tommaso Cannata, il fornaio di tutta Messina (e da un anno anche di un pezzo di Milano), dà conto del sogno in cui il seme si è già trasformato: le forme di pane di quel Miscuglio evolutivo che - insieme alla Tumminia, «quando è quella vera, quando è quella buona» - è già diventato la sua farina preferita.
I due relatori con Francesca Barberini, che anche quest'anno ha presentato Identità di Pane e Pizza
Il primo dono è quello di Tommaso Cannata che, inaspettatamente, consegna tra le mani di tutti i presenti non solo un boccone da assaggiare, ma un pugno di lievito madre da accudire: «Questo lievito madre l’ho ereditato da mio padre, l’ho custodito per la vita e ora l’ho consegnato a mio figlio. Non ne sono geloso, ma è importante che sappiate che fa parte della mia famiglia. E che perciò vi chiedo di prenderlo e di portarlo a casa solo se pensate di poterne avere cura col rispetto che merita».
Basta questo a raccontare quanto Tommaso sia un panettiere con le mani molto all’antica, l’animo molto generoso e lo sguardo molto lungo. «Ma la mia innovazione non è altro che tornare al passato», è una frase che gli piace ripetere: «Si possono inventare tante cose, ma tante altre sono già state inventate, non dobbiamo far altro che ricordarci come si fanno». Ed è quel che ha fatto lui, fornaio di quarta generazione cresciuto con le dita sempre bianche di qualche impasto, quando ancora ragazzo ha cominciato a chiedersi cosa mai ci fosse dentro quei sacchi di farina che arrivano al panificio e che suo padre ogni notte trasformava in forme di pane: da dove veniva quel grano? Da che semi era cresciuto? Com’era stato coltivato e chi, invece, lo aveva macinato?
Il lievito madre che Cannata ha regalato a chi dei presenti «pensa di poterne avere cura col rispetto che merita»
E il secondo dono lo fa lui, Li Rosi, consegnando un racconto da portare a casa e far crescere insieme al lievito: «Un racconto che dimostra all’umanità come ci sia ancora uno stadio oltre la resilienza: è il grano che ce l’ha insegnato».
Giuseppe Li Rosi e Francesca Barberini
Ecco cosa c’è, oltre la resilienza: «È l’antifragilità, che, come diceva Taleb, va al di là della resilienza e della robustezza: ciò che è resiliente resiste agli shock e rimane identico a se stesso; l’antifragile migliora. Così è nato quello che chiamiamo Grano della Pace. La natura è la più grande maestra nella gestione di ogni crisi, questo ci dovrebbe dire molto a proposito della vita e del nostro modello di società».
«Le opere svolte in un campo di grano evolutivo e quelle svolte nel mondo dei lieviti - concludono Li Rosi e Cannata - vengono cristallizzate dal fuoco nella forma del pane. Due mondi completi che, per le loro caratteristiche, possono essere paragonati ad una fiamma. Il cristallo e la fiamma sono due elementi di natura diametralmente opposta, riassunti dalla forma di un pane». E così sia.
di
classe 1987, giornalista professionista testardamente modicana, sommelier in formazione permanente. Attraversa ogni giorno le strade del “continente Sicilia” alla ricerca di storie, persone e imprese legate alla cultura del cibo e del vino. Perché ogni contadino merita un romanzo