02-04-2019
Diego Rossi a Identità Milano 2019. Tutte le foto sono di Brambilla-Serrani
Che cosa succede se Diego Rossi, il cuoco pioniere dell’intero progetto italiano di costruzione delle nuove memorie legate alla trattoria di carne (e non solo), sale sul palco del quindicesimo congresso di Identità Milano e dichiara che «forse hanno scelto la persona sbagliata, perché io, di carne, ne mangio davvero pochissima»?
È la prima edizione di Identità di Carne e lui la inaugura sdraiando una pecora intera sul banco, pronto a scrivere con ognuna delle sue parti i capitoli di un nuovo manifesto di cucina. Ma la verità è che il manifesto di Trippa - il suo ristorante milanese sempre strapieno - sta già tutto in quelle parole: «Mangio poca carne, avete sentito bene. Perché ogni volta che la mangiamo dobbiamo sapere bene, ricordarci bene da dove arriva. Dovremmo tutti fare un giretto al macello, prima di sederci a tavola. Perciò siate consapevoli e intelligenti, mangiatene meno e soprattutto: pagatela bene. Dietro la buona carne c’è il lavoro di tanta gente, lavoro che va pagato».
Diego Rossi alle prese con la pecora intera, con Federico Sisti
È così che Diego Rossi esce fuori dal gregge insieme alla sua pecora: «È l’animale che uso di solito, per motivi etici ed economici. Preferibilmente vecchia, così la carne è pure più matura e più buona. Se l’ho portata intera è perché dovete capire bene da dove vengono le cose che cucinate. E che mangiate». E giù con una lezione di anatomia animale, di macelleria e solo alla fine di cucina. Le parti magre della coscia e quelle tenere della pancia, i muscoli tenaci della spalla e quelli sottili del collo, i tagli preziosi del filetto e poi il cervello, il fegato, i rognoni, il midollo e il pezzo unico, il cuore: «Mi hanno chiesto di portare una ricetta, io ve ne faccio otto. Otto, s’intende, delle mille che si potrebbero fare avendo quest’animale tra le mani».
E per immaginarlo basterà dare rapidamente conto di questi magnifici otto piatti proposti, a cominciare dalle due tartare, tagliate dalle parti magre della coscia, con piccole parti di grasso. Su una, la sua firma inconfondibile: le frattaglie che vanno a condire i muscoli magri. «Che poi sono sempre le più divertenti, le frattaglie, con le loro consistenze e le loro accezioni sempre diverse». Così il cervello bollito, «che è pieno di proteine e quindi funziona come un uovo», diventa una maionese per condirla.
Tartare di pecora con bottarga di muggine
Tartare di pecora con maionese di cervella di pecora
Dalla coscia si sale alla pancia, che finisce nel ragù per la fregola, mantecato al cumino e servito con sopra il fiore sardo affumicato, con molto limone. «Perché se metti il limone te ne puoi mangiare anche quattro piatti».
Fregola al ragù di pancia di pecora, cumino, fiore sardo affumicato e limone
Lì accanto, il collo. Cotto a lungo nel brodo di pecora, «che da Trippa non manca mai, perché arrivano sempre animali interi», diventa il protagonista di un’insalata invernale, con le patate bollite e un po’ di cose che si trovano per ora nei campi: gli asparagi cotti con le rosule dei papaveri, le foglioline interne dei sedani, menta e prezzemolo spezzati grossi con le mani, «tutte botte assurde in bocca».
Resta il cuore, che è una parte preziosa perché a Diego Rossi piace usarlo intero, un piatto solo per ogni animale: «Solo per lui utilizzo la bassa temperatura, che di solito non mi piace, perché amo cuocere all’antica. Dopo, lo metto alla brace, per regalargli un po’ di profumi». Lo racchiude tra una crema di aglio orsino e un ciuffo di minestra nera, con un po’ di jus per legare e un assaggio di aringa «per richiamare l’affumicatura della brace e lasciare al piatto la sua carica di umami».
Restano della pecora solo il midollo, da passare alla brace per pochi secondi, e il filetto, da poggiargli sopra crudo, spolverandolo con sale Maldon e tartufo bianchetto: «Ecco che la parte più nobile dell’animale, che cammina insieme a quella più povera». Per rendere onore alle regole di Trippa, comportandosi da carnivori consapevoli ed intelligenti.
di
classe 1987, giornalista professionista testardamente modicana, sommelier in formazione permanente. Attraversa ogni giorno le strade del “continente Sicilia” alla ricerca di storie, persone e imprese legate alla cultura del cibo e del vino. Perché ogni contadino merita un romanzo