Nel silenzio della montagna si sentono meglio i battiti del cuore. La sabbia nelle clessidre fa rumore e il tempo trascorso prende la forma di idee per il futuro. «Nel suo insieme, la cultura di montagna è terra natia: la conoscenza della natura delle montagne, dei luoghi, degli antenati, delle loro strategie di sopravvivenza. La responsabilità per tutto ciò assicura la sostenibilità». Queste tre righe di Reinhold Messner concentrano il pensiero di Norbert Niederkofler, fresco e nono tristellato d’Italia, preziosa gemma che ha chiuso il congresso di Identità Milano 2018.

Si è parlato con lui di cultura e di consapevolezza delle strategie degli antenati su una montagna difficile da vivere e da cucinare: «È una sperimentazione continua del progetto, bisogna raccogliere in primavera e in estate gli ingredienti che si utilizzeranno d’inverno». Ci vuole tecnica, o meglio, conoscenza della cultura gastronomica. «La fermentazione, l’essiccazione e il congelamento fanno parte della storia dei nostri avi, non ci siamo inventati nulla».


Al centro del racconto dello chef dall’accento tedesco c’è da sempre, ed essenzialmente, il rispetto. Rispetto per la materia prima: «Una grande curiosità da ribelle mi ha spinto a girare il mondo e, quando sono tornato, ho visto tutta la bellezza dei prodotti della mia regione, della montagna, ne ho apprezzato le radici e ho scoperto la vera cucina. Il 60% del cibo del mondo viene da altitudini di almeno 600 metri. La montagna è madre terra». Poi rispetto per la biodiversità: «Uso venticinque tipi differenti di carote durante l’anno; un alimento in natura si può trovare in tante varianti, tutte con sapori e consistenze diverse. L’obiettivo è presentare piatti delicati e inconfondibili sfruttando il ricchissimo patrimonio che la natura ci offre». Ma il fattore umano, fulcro del congresso, è rappresentato in primis da chi ti sta intorno: «Si deve capire che la strada che porta al successo non è quella che si percorre da soli:
Paul Bocuse diede un’eloquente risposta quando gli chiesero chi fosse intento ai fornelli mentre lui era in sala a salutare gli ospiti».
Sta cucinando chi l’ha sempre fatto.

Con Niederkofler sul palco il suo bravo sous chef, Michele Lazzerini
Michele Lazzarini, sous-chef del
St. Hubertus, espone le creazioni di
Niederkofler.
Amore per la montagna è il primo piatto: salmone del Danubio leggermente marinato con sale, aromi e aneto, lasciato due giorni all’aria aperta e affumicato a freddo con ginepro per tre giorni nella camera dello speck. In aggiunta una crema di panna ridotta in pieno stile nordeuropeo su pietra con ginepro, gemme di pino in salamoia e grattata di rafano fresco.

C’era una volta una trota di fiume
Ecosostenibilità si traduce nella forte volontà di impostare i piatti senza generare spreco, di utilizzare tutto di un prodotto, esaltando ogni parte servendosi di tecnologie e metodi di cottura diversi. Come per
C’era una volta una trota di fiume: trota marinata leggermente affumicata, servita con pelle essiccata e fritta; con le lische, che di solito si eliminano, viene preparata un beurre blanc con olio all’aneto. E la
Trota senza limoni, una trota infarinata in farina di segale tipica dell’Alto Adige, succo di susina fermentata, gambi di prezzemolo, centocchio.
Il podio più alto nella cucina del
St. Hubertus, unico ristorante decorato di tre stelle Michelin a non usare nessun prodotto francese, è sempre per la materia prima: «Per cucinare la carne al meglio è importante conoscere il territorio e l’animale, vedere dove vive, come si muove, sapere interpretare la stagionalità, così non ci sono sprechi. È una forma di rispetto per l’animale e per la natura stessa». Ecco la
Coscia di cervo, inizialmente marinata con sale e aromi per quattro giorni, sciacquata e addizionata di sale fino e zucchero per altri quattro giorni, poi esposta all’aria aperta per un mese e mezzo, impiattata con un waffle di midollo di cervo, una crème fraîche fatta in casa con bacche e crispino molto acido, olivello spinoso in salamoia e mirtillo rosso fermentato.

Sul palco anche Andrea Tortora, che al St. Hubertus si occupa di panificazione e pasticceria (alla grande)

Foto finale: Niederkofler con Tortora, Lazzarini e Giorgia Cannarella, che ha presentato la lezione
La cucina alpina dunque deve essere fortemente identitaria: «Chi viene nel mio locale lo fa per capire chi sono io e dove vivo, viene a respirare l’aria e la cultura della montagna». E deve essere territoriale: «Spendiamo il 30% di tutte le nostre uscite su materia prima autoctona e di qualità». Ma soprattutto dseve essere etica: «Abbiamo la responsabilità per i nostri figli di lasciare il mondo almeno come l’abbiamo trovato, è questo il senso vero della vita».

Gran finale, salgono sul palco alcuni chef amici di Norbert: Moreno Cedroni, Valeria Piccini...

...Aurora Mazzucchelli, Giancarlo Morelli, Riccardo Gaspari
“Cuoco, montanaro, altoatesino”,
Norbert Niederkofler diventa catalizzatore della storia d’amore tra l’uomo e le Alpi; una storia che narra di tradizioni gastronomiche ancestrali oggi riproposte in uno dei ristoranti più importanti d’Italia; una storia di rispetto tra l’essere umano ed i suoi simili, tra l’essere umano e il suo territorio, tra l’essere umano e la natura. La cultura si fa cucina, ogni gesto scopre radici lontane e tutto diventa concreto e più saporito. Sarà che la montagna è più vicina al cielo. L’aria che si respira ha il profumo delle stelle.