Il Sibarita è stato uno dei panettoni più interessanti in assoluto che il sottoscritto abbia gustato durante questo periodo natalizio: è un dolcesalato profumato all’origano selvatico di Acri, piccolo paese ai piedi della Sila, e alle arance della Piana di Sibari. Semplicemente delizioso: noi l'abbiamo apprezzato, dopo averlo un poco scaldato, con una piccola innaffiata di olio extravergine di oliva della cultivar Cassanese, o Grossa di Cassano, vanto di questa porzione di Calabria, e in particolare quello prodotto dall'azienda agricola Doria di Alessandra Paolini a Cassano Doria (una boccetta da 50 ml di tale nettare - si chiama Lei: armonioso, note di pomodoro e di carciofo - è compresa nella confezione del panettone. Come dire: più che un suggerimento). A pensarci, avremmo potuto arricchire il tutto con altri elementi salati, come fosse un panettone gastronomico; ma in realtà meglio è stato limitarci all'essenziale, perché l'equilibrio aromatico de Il Sibarita è così fine e voluttuoso, insieme, da meritare un assaggio in purezza.

Che ad avere questa fantastica idea e poi produrla sia stato un pizzaiolo come
Daniele Campana, patron della
Campana Pizza in teglia di Corigliano Calabro (Cosenza), non ci ha sorpreso per niente: lui è bravissimo, ha una eccellente capacità nella valorizzazione del sapore, nel trovarvi equilibri perfetti; è anche un ottimo lievitista, abbiamo assaggiato i suoi tranci quest'estate e ne siamo rimasti colpiti.
Il Sibarita conferma insomma tutto quanto di buono già pensavamo su
Daniele.
Lui è coriglianese classe 1977 e figlio d'arte, anzi suo padre Franco era proprio chef, «una vita in giro per il mondo: non solo Milano, ma anche la Svizzera, l'Arabia Saudita...». Poi la decisione di tornare in paese, con la voglia di aprirvi un proprio ristorante. Progetto non andato in porto: e allora ecco una gastronomia-pizzeria inaugurata nel 1990 a due passi dall'attuale sede, «era un posto minuscolo, 35 metri quadrati in tutto, ma lavoravamo come pazzi: primi piatti, secondi, fritti e soprattutto le pizze, tantissime, fino a 150 teglie al giorno. Si guadagnava molto bene ma era sfiancante». Già papà Franco era attento alla qualità dei prodotti, alle eccellenze del territorio; ma quando Daniele gli subentrò, nel 2007, volle cambiare tutto: «Il mio imperativo fu: togliere. Limitai la proposta e mi specializzai nella pizza. All'inizio risultò molto difficile, io ero convinto delle mie idee ma i dubbi che mi circondavano erano diffusi, gli affari calarono. Mi davano del pazzo. Poi, poco a poco...». Oggi Campana Pizza in Teglia è tornato a fare numeri, «mediamente, d'inverno - che è la stagione di punta qui, perché d'estate la gente di Corigliano va via, in montagna che è a 10 minuti o al mare a 5 minuti - vendiamo 100 teglie al giorno», calcolate 12 tranci a teglia. Ci lavorano in nove.

Tranci alla pizzeria Campana Pizza in Teglia
Davano a
Daniele del pazzo anche quando, sempre nel 2007, pensò bene di inserire nel menu una pizza... con la frutta. «L'ispirazione venne da mia nonna. Era una contadina e, quando andava nei campi a lavorare, portava sempre con sé un po' di pane e della ricotta dura, e li mangiava insieme alla frutta che coglieva fresca dagli alberi lungo la strada». Oggi
Campana ha sempre dei tranci disponibili che si basano su questo concetto, dunque con frutta rigorosamente di stagione. Il nostro assaggio è avvenuto a fine luglio, e dunque ecco il
Fichi, ricotta dura, ‘nduja e vincotto di fichi, semplicemente strepitoso, «è quello che mi rappresenta di più perché fu il primo che volli proporre, attirandomi gli strali degli scettici».
Campana è un quasi-autodidatta, nel senso che ha imparato dal padre, non ha grandi maestri di fama. O forse sì: «Ho il mito di Simone Padoan. L'unico corso che ho frequentato in vita mia è stato, anni fa, quello durato una giornata alla Cast Alimenti, con lui come docente. Che persona! L'ho sempre seguito, mi affascinava e mi affascina il suo modo di innovare la pizza». Si vede: gli impasti di Campana sono croccanti fuori, morbidi dentro, leggeri, godibilissimi. Lievitano circa 36 ore tra prefermento e impasto finale, farina tipo 1 macinata a pietra e un filo d'olio evo.
I topping sono ambiziosi, ottimamente pensati, a volte persino geniali. Il patron è rigoroso: solo ed esclusivamente ingredienti locali e stagionali, che seleziona da piccoli produttori. Ha studiato anche l'abbinamento di ogni trancio con uno specifico olio calabrese, nelle varie tipologie, Ottobratica, Verace, Tonda di Stromboli, Cassanese...
Propone tutto questo anche in uno specifico percorso, del quale si può godere se si trova posto nel locale. «Vista l'esperienza che ci siamo fatti negli anni nei ristoranti di alta cucina, abbiamo voluto anche noi proporre un menu degustazione». Ha fatto benissimo; intanto perché il format della teglia si presta perfettamente a piccoli assaggi plurimi. E poi perché consente di godere appieno del tocco magico di Campana. Della Fichi, ricotta dura, ‘nduja e vincotto di fichi vi abbiamo già detto, memorabile. Ma rimarchevoli son quasi tutti i bocconi, in primis l'Alici dello Ionio in guazzetto di pomodoro, olio all'aglio; il Patate di Schiavonea, guanciale di suino nero, stracciatella, zest di limone... Eccellenti pure i Bignè con ricotta e 'nduja. E, tra le pizze dolci, clamorosa è la Crema di pera, gorgonzola e caciocavallo.
I prezzi sono ugualmente incredibili. I singoli tranci vanno dal singolo euro per la
Margherita o la
Pomodoro, ai 3,5 per quelli dai topping più complessi. L'intera teglia sta tra i 12 e i 36, ci si mangia tranquillamente in quattro. Il menu degustazione? Un percorso di 10 pizze del menu stagionale più altri 2 assaggi fuori menu a mano libera viene 35 euro. Praticamente nulla, specie per questa altissima qualità.
E ora i nostri assaggi (che, ricordiamolo, variano con le stagioni); le foto sono di Tanio Liotta.

S'inizia col trancio più semplice e schietto: Pomodoro, con origano ed evo dolce di Rossano

Tagliere degustazione per due con, dall'esterno:
Alice arriganata: ricetta antichissima dei pescatori di Schiavonea. Quando rientravano a casa, dopo aver venduto il pescato "nobile" ai più abbienti, portavano con sé le alici, che avevano poco mercato, e allora le mogli preparavano un piatto povero, semplicemente alici saltate in padella con pepe, origano, un poco di aglio e un filo d'olio. Campana rivisita la tradizione, usando olio all'aglio, peperone crusco, origano, alici in salamoia
Carbonara di mare con i moscardini di Schiavonea
Dietro: Bignè con ricotta e 'nduja
Al centro: Crema di patate, limone e crocchette al limone

Da sinistra: Tonno e cipolla (tonno Riserva Callipo, cipolla di Tropea tagliata sotile, pomodoro Pachino idroponico, oliva ammaccata) e Gamberi di Schiavonea (con crema di zucchina, mozzarella e grattata di limone)

Alici dello Ionio in guazzetto di pomodoro, olio all'aglio

Gambero banana, aceto al mandarino e arancio: il vicino porto di Schiavonea dispone della seconda marineria di Calabria. Ed è facile trovarvi questi "gamberi banana", enormi, specie alloctona che si è diffusa dall’Argentina «sembrano mazzancolle»

Fichi, ricotta dura, ‘nduja, vincotto di fichi

Patate di Schiavonea, guanciale di suino nero, stracciatella, zest di limone

Da sinistra: Melanzane fritte, basilico e giuncata e Fiori di zucca, ‘nduja e liquirizia

Margherita: il formaggio vaccino proviene da un allevamento con mucche allo stato brado

Pizza dolci. La prima è la Crema di pera, gorgonzola e caciocavallo. Campana utilizza una pera speciale chiamata "pera zucchero e cannella", varietà locale che cresce ad alta quota sulle montagne calabresi. È piccola, gialla, tonda

Da sinistra: Composta di miele e peperoncino, provola affumicata e Ricotta di pecora e vacca, pepite di cioccolato, miele di castagno, pepe nero affumicato, polvere di liquirizia, olio evo