L’happy end di una vicenda che avuto risvolti spiacevoli (ne abbiamo scritto qui e qui) è giunto poche ore fa, a Milano. Presentazione di Where to Eat Pizza (Phaidon, per ora solo in inglese), organizzata da Identità Golose all’Alice dell’Eataly Smeraldo. C'era Paolo Marchi, di sicuro il curatore Daniel Young, con lui alcuni dei 1.077 esperti che hanno collaborato alla selezioni delle migliori pizzerie del mondo. Ma soprattutto c’erano loro, i pizzaioli, senza divisioni geografiche, senza rivendicazioni localistiche.

Paolo Marchi, Tania Mauri, la padrona di casa Sandra Ciciriello, Luciana Squadrilli, Daniel Young e Franco Pepe. L'incontro di Milano è stato l'occasione anche per parlare di La Buona Pizza (Giunti), testo firmato dalla Mauri e dalla Squadrilli, in libreria dal 6 di luglio
Nord (
Renato Bosco, Patrick Ricci, Bruno de Rosa, Corrado Scaglione, per dirne solo alcuni), Centro (
Gabriele Bonci, Giancarlo Casa) e Sud (
Franco Pepe, Ciro Salvo, Salvatore Salvo, Gino Sorbillo, Enzo Coccia). Foto di gruppo, sorrisi, considerazioni. Nessuna conflittualità: un gruppo forte, che diventa fortissimo se diventa (o resta?) compatto. Pura eccellenza italiana celebrata dalla guida di
Young, le cui parole sono state introdotte da quelle di
Marchi: «Questo libro dimostra un grandissimo amore per la pizza. Pensiamoci: il riso o la pasta sono italiani, ma non li abbiamo inventati noi. La pizza è tutta nostra, anche se ormai appartiene al mondo, come dimostrano le 1.705 pizzerie recensite, in tutti i continenti».

Marchi e Young con i maestri pizzaioli
Concetti ribaditi dallo statunitense: «Ci sono due nozioni di autenticità, entrambe accettabili. La prima riguarda la pizza della tradizione partenopea; l’altra chiama in causa invece le tante espressioni della pizza che si sono diffuse ovunque, in base al territorio e alle esperienze di ognuno. Vi sono pizzerie a New York o Buenos Aires che portano avanti la “loro” pizza da 100 anni: magari non sarà la migliore, ma non è meno autentica e va rispettata». Infine, ha spiegato
Young, ci sono i creativi, «quelli che rischiano e propongono versioni innovative. Ma tutti hanno in comune la grande passione per l’impasto e meritano per questo ammirazione».
Coccia è intervenuto su questo aspetto: «Oggi non vedo nel mondo quelle nuove idee sulla pizza che si potevano trovare invece 10 anni fa, penso a
Bonci o
Padoan (assente giustificato, per un appuntamento di beneficenza che aveva già preso,
ndr). Con l’eccezione di
Renato Bosco, i giovani spesso copiano. Perché?». Gli ha risposto
Pepe, celebrato da tutti perché è risultato numero 1 al mondo nella classifica mondiale stilata da
Young, non senza qualche polemica: «I giovani copiano perché una volta si iniziava dal basso, si procedeva per gradi, mentre oggi molti sono pizzaioli improvvisati». Il maestro di Caiazzo era peraltro raggiante: «E’ la giornata più bella. Non mi sento vincitore, il riconoscimento va al mio percorso personale, ma questa celebrazione è per tutti. La pizza ha fatto passi da gigante, chi l’avrebbe mai detto qualche anno fa che saremmo stati chiamati a prepararla in ristoranti di alta cucina, abbinata allo champagne?».
E a proposito di fine dining, arriverà questa benedetta stella Michelin? Young ha detto parole non sappiamo se giuste, di certo sagge: «La pizza non è mai stata così grande. Non avete bisogno della Michelin, perché avete conquistato ormai l’ammirazione e il rispetto degli chef più illustri». Applausi.