24-04-2020
Foto AFP/South Morning China Post
C’è una battuta che gira tra gli chef qui in Cina. Suona più o meno così: «È proprio vero che il 2020 è l’anno del Topo. Come i ratti infatti stiamo tutti nascosti dietro alle pareti; si esce solo per andare alla ricerca di cibo; accumuliamo le derrate in casa per mangiarle più tardi… e scappiamo quando alcune persone si avvicinano». E qualcun altro aggiunge: «Arriverà il 2021, l’anno della Mucca, e speriamo arrivi in compagnia delle sue amiche: le vacche grasse». In effetti questi circa tre mesi e più di coronavirus in Cina per la ristorazione sono stati un grosso problema, come i 100 giorni di Napoleone. Solo a Shanghai hanno chiuso ristoranti top come Hakkasan sulla prime location del Bund 18 ha incrociato le braccia il giapponese Shinpaku nel very posh Three on the Bund (dove c’è JeanGeorge). Poco più su, nella stessa via ha dichiarato il rien ne va plus il Ce La Vi dentro all’elitista House of Roosevelt; ha mostrato che andava male lo storicissimo Va Bene da decenni top italiano del quartiere di Xintiandi (del potente gruppo Gaia che ha anche Isola all’Ifc e Gaia2 all’Iapm mall), hanno serrato i battenti tanti top hotel come il Westin at Bund e il Four Seasons di Pudong, o interi piani di hotel (come lo Skybar e Sky Restaurant del Waldorf Astoria) e con essi una miriade di medio e piccolo storici ristoranti (dal Bohemia, al Tandoor, a Wolfgang Puck, a El Luchador, al Gemma, allo Shintori, a Zizzi a Morton’s e tanti altri…) che non avevano stelle, galloni, o chefstar alle consolle, ma che facevano parte del panorama quotidiano di movida e soirée. Ma alcuni degli chef che hanno attraversato le forchette caudine del virus ora stanno raccogliendo anche soddisfazioni. Stefano Bacchelli, executive chef di DaVittorio ha recuperato di fatto il business pre-crisi: «Dopo lo scossone di febbraio e in parte marzo (il ristorante ha riaperto il 10 febbraio tenendo chiuso due settimane, ndr) abbiamo mantenuto tutto il nostro staff, assolutamente garantendo la qualità, e ripristinando l’intero menu (che durante la crisi era stato ridotto sia per calo presenze, sia per non appesantire la mise en place, sia per difficolta di reperimento ingredienti). Abbiamo ancora tutti i nostri 6 ‘occidentali’ operativi nella ciurma. L’unica differenza è nell’uso tassativo della mascherina e il replacement di alcuni ingredienti ora introvabili come le capesante dal Giappone, il fresco dall’Australia o alcune paste dall’Italia».
Riccardo La Perna, Otto e Mezzo Bombana, Shanghai
Nello Turco, Mio al Four Seasons di Pechino
Team Da Vittorio, Shanghai
Natalinio Ambra, Scena, Shanghai (foto tvprato.it)
Approfondimenti golosi dalla Cina e dall'Estremo Oriente a cura del nostro inviato Claudio Grillenzoni
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Giornalista col vizietto dell'esterofilia (da buon germanista) e del cibo (da buon modenese), ora vive felice in Cina, a Shanghai, tessendo ponti tra Oriente e Occidente