«Sta a te, Ryan, puoi scegliere se stare qui e finire il tuo pasto o prendere la sorpresa…». Sono in piedi, dentro la cucina dello chef Daniel Humm all’Eleven Madison Park (EMP) a New York quando il maître mi fa questa domanda. Non ho idea di cosa fare, è una proposta veramente insolita. Normalmente, vengo qui a cenare, faccio le mie foto, mando un tweet e mangio – mangio, mangio, mangio. I ristoranti variano ma il format di solito è lo stesso. Tuttavia, dopo solo cinque portate del mio pasto all’EMP, mi chiedono se voglio rischiare e rinunciare alle prossime cinque. Non ho neppure mangiato la Tartare di carote, o il dessert, ma mi offrono qualcosa di mai visto, di sconosciuto, di mai sentito - «ok», dico, «datemi la sorpresa».
Scegliere la sorpresa è un poco come con le esplosioni nei quiz televisivi dove cambia tutto il set appena il partecipante sceglie la scatola vincente. Vengo immediatamente sospinto fuori dalla cucina, lontano dal mio ultimo sorso di cocktail con whiskey e azoto liquido, mi passano la giacca e trovo Billy, il mio maître per quella sera, in piedi accanto alla porta. «Hai scelto la sorpresa?», annuisce, «ottima scelta». E questo è quanto, usciamo. Mentre ero appena a metà di uno dei più famosi menu degustazione in America ho per qualche motivo scelto la “sorpresa” e mi sono allontanato dal piatto numero sei. Mi chiedo cosa sarebbe stato – l’Anatra arrostita nel miele con la lavanda, il tagliere di affettati, o magari era la tartare di carote? Spero che la sorpresa sia buona, dico a Billy che sta ancora sorridendo, «Siamo quasi arrivati».
Ha ragione. In pochi minuti sono all’entrata del NoMad – un altro grande ristorante newyorkese, anch’esso, come l’EMP, di proprietà di Daniel Humm e del comproprietario Will Guidara. «Signor King», dice la signora alla reception, «com’era il suo cocktail a base di whiskey?» Mi sto ancora chiedendo come facesse a sapere del mio ultimo drink, in un ristorante 10 minuti a piedi da qui, quando vengo accompagnato all’interno dell’affollato bar di legno del NoMad. È qui che Billy spiega che purtroppo deve andare via, mi assegna al nuovo maître e si scusa del fatto che deve ritornare all’EMP. Non importa, Billy, sono super rilassato, amico, mandami dove vuoi, sono come uno di quei neonati che vengono passati di zia in zia a Natale. «Mi segua, signore, la portiamo in cucina».

SORPRESA. Se ordini il menu degustazione all’Eleven Madison Park, alla sesta portata puoi trovarti sbalzato a completare il percorso nel ristorante attiguo NoMad, stessa proprietà (foto thenomadhotel.com)
Da una cucina all’altra, in meno di 20 minuti, mi fanno sedere a una tavola perfettamente apparecchiata dentro al
NoMad mentre lo chef mi spiega alcuni dei piatti.
Billy mi saluta, si vede che vuole rimanere, che vuole godersi genuinamente il mio godermi la mia sorpresa, forse più di quanto io stesso voglia godermela. Fantastico.
Dopo i piatti nella cucina, un tour del bar, della biblioteca con i tanti membri dello staff che si presentano, ognuno dei quali conosce il mio nome, mi guidano di sopra per farmi ascoltare un po’ di musica. Sono traumatizzato, non riesco ancora a realizzare cos'è successo, che tutto è filato liscio e quanto mi sento benvenuto. Lo staff che ho conosciuto prima torna a chiedermi come sto, qual è stato il mio piatto preferito. Ho bisogno di qualcosa? Sono genuini, affettuosi, amorevoli – non voglio andare via, mai più.
Sono seduto a riflettere su queste sensazioni con un cocktail e della piccola pasticceria quando sento uno schiaffo sulla schiena. E' Will Guidara. «Com’è andata?». Io inizio immediatamente a spiegare quanto è stato fantastico e, come se lui stesse aspettando quel momento da tutta la sera, come se avesse scritto la gag prima ancora che arrivassi dice: «Mi fa piacere», poi, preparandosi alla battuta, «volevo solo mostrarti quanto è superiore il mio paese rispetto al tuo».
Rido con gusto con Will, sta ovviamente scherzando ma ha anche ragione, non ho mai avuto un’esperienza simile, nel mio paese e in nessun altro al mondo. Ok, sono un ospite invitato dai padroni di casa, e sono un giornalista gastronomico, so bene che la squadra ha fatto uno sforzo straordinario per farmi passare una bella serata ma sono famosi per gesti simili, con tutti i loro ospiti – non solo con i pallidi giornalisti enogastronomici d’oltremare. Penso onestamente che si comportino così con chiunque entri nel loro mondo.

Lo staff dell'Eleven Madison Park in uno scatto del febbraio 2013 di Nathan Rawlinson. Sulle t-shirt, la scritta "Keep calm and make it nice"
Humm l’appoggia, spiegando: «Considerano ogni sera come se fosse il Super Bowl, ogni sera è il servizio più importante». Non so esattamente perché, forse perché l’ho visto accadere con i miei occhi, ma devo credergli mentre mi racconta di come lo staff insegni agli ospiti a sciabolare il vino, o li aiutino a organizzare celebrazioni speciali.
Guidara ricorda, «Come quella volta in cui una coppia di neo-fidanzati venne a cena da noi mentre erano in visita in città. Stavano raccontando al maître e al sommelier che avrebbero davvero voluto fare un giro in slitta a Central Park dopo che eravamo stati colpiti da una grande tempesta di neve. Siamo usciti immediatamente, abbiamo comprato una di quelle slitte classiche, fatte di legno e metallo rosso, abbiamo messo il logo di
Eleven Madison Park con uno stencil e l’abbiamo presentato alla coppia alla fine del pasto con un gigantesco fiocco tutto attorno. Stavano quasi piangendo per l’emozione».
La coppia non ha pari nel settore, non perché il servizio è importante per loro, lo è per tutti i grandi ristoranti, ma perché il loro rapporto e i loro ristoranti offrono il migliore esempio di cosa può accadere quando si dà la stessa enfasi al cibo e all’ospitalità. Humm dice: «Il servizio è importante tanto quanto avere cibo delizioso – delizia e grazia operano in coppia e abbiamo bisogno di entrambi ad alti livelli per essere il ristorante che vogliamo essere». Sono le semplici basi della ristorazione ma così tanti posti se ne dimenticano, così tanti clienti non ci fanno caso e – alzo le mani – così tanti giornalisti non ne scrivono.
In realtà è un importante equilibrio che va preso in considerazione, soprattutto se il lato servizio dei ristoranti vorrà mai raggiungere la cucina. «Un tempo era il maître a guadagnare l’attenzione, poi c’è stato uno slittamento quando lo chef è diventato il centro dell’attenzione, dice Humm, «È più difficile fotografare un buon servizio, trasmettere in parole un’esperienza di servizio – sarebbe molto più facile dire che qualcosa è delizioso o pubblicare online una foto con una ricetta. L’assenza di esposizione ha davvero compromesso il livello di servizio dei ristoranti di oggi, gli standard di eccellenza che un tempo facevano parte del mangiar fuori sono diventati sempre più difficili da trovare».
Questo è solo uno dei motivi per cui
Guidara ha co-fondato la
Welcome Conference, un forum sull’ospitalità che punta a cambiare la bilancia tra cucina e sala. «Nell’ultimo decennio c’è stato un emozionante rinascimento culturale nel settore gastronomico. Si è formata una comunità di chef da tutto il mondo che condividono idee, sviluppano relazioni e alzano gli standard del settore. Questo tipo di rivoluzione non è emerso nel mondo della sala e la
Welcome Conference è un’idea per aiutare a costruire quella comunità».
Un’ospitalità davvero grande ti lascia con una sensazione aliena, per quanto è rara. È una diffusa sensazione di pienezza che non potrai avere dopo centinaia di piatti. Non ha niente a che vedere con la posizione del bicchiere, con il modo in cui il cameriere toglie le briciole o piega il tovagliolo quando vai in bagno – queste cose ne sono parte ma c’è dell’altro. È quella sensazione di coccole che associ alla tua nonna, quel rilassamento totale che hai con gli amici, quello scrocchiare che senti dietro le scapole quando sai che ti puoi rilassare completamente. Non ci sono molti posti capaci di darti un simile calore.
Per EMP e NoMad sembra cominciare con la grande amicizia tra Humm e Guidara – uno sposalizio unico tra cucina e sala. «Siamo un’unica grande famiglia», dice Humm, riferendosi in almeno due occasioni alla “promessa” che lui e Will si sono fatti a vicenda. È come un vero matrimonio, e come ogni grande coppia in una relazione amorosa, anche loro riescono a finire l’uno le frasi dell’altro, così Will interviene: «Abbiamo una regola: mai lasciare il ristorante se siamo arrabbiati uno con l’altro. Sappiamo che il ristorante può essere buono solo nella misura in cui lo è il nostro rapporto».