08-02-2013

Mister sala

Il rispetto dei ruoli, la sobrietà, i francesi. Intervista al grande maître Antonio Santini

Antonio e Nadia Santini, marito e moglie dal 1974,

Antonio e Nadia Santini, marito e moglie dal 1974, maître e cuoca del ristorante Dal Pescatore di Runate, località di Canneto sull'Oglio (Mantova), 3 stelle Michelin ininterrotte dal 1996. Classe 1953, il padre del servizio italiano chiuderà con la sua lezione la prima edizione di Identità di Sala, domenica 10 febbraio

È tutta colpa (o quasi) di Paul Bocuse. “Negli anni Cinquanta i più grandi ristoranti erano rappresentati dai personaggi di sala, figure straordinarie che valorizzavano la tradizione italiana. I cuochi stavano in cucina, mica uscivano. Era una professione più dura di oggi, tra orari impossibili e temperature massacranti. Poi è arrivato Bocuse e ha detto che bisognava dare visibilità al lavoro dei cuochi, che il piatto andava guarnito in cucina e che la sala doveva occuparsi solo del servizio. E così lo chef ha preso il palcoscenico fino a debordare. È diventato una sorta di tuttologo, gli si chiede qualsiasi cosa, quando invece dovrebbe rispettare i limiti del proprio ruolo e di quello degli altri. Come in ogni azienda”.

Antonio Santini con i figli Giovanni e Alberto

Antonio Santini con i figli Giovanni e Alberto

Antonio Santini, patron e maestro di cerimonie della storica insegna tre stelle Michelin Dal Pescatore, parla con affetto e ironia del maestro della nouvelle cuisine e del successo mediatico degli chef. Lui che la Francia la conosce benissimo, lui che nel 1982 fondò l’Associazione "Le Soste" con Gualtiero Marchesi, lui che divide vita e professione a Canneto sull'Oglio con la moglie Nadia, miglior cuoca al mondo a detta degli stessi transalpini (nel 2000 al Grand Prix dell’Academie Internationale de Gastronomie) e con i figli, Giovanni da diversi anni al fianco della madre, Alberto con lui in sala.

Domenica 10, sul palco di Identità di Sala, Santini avrà il compito di chiudere la giornata con un’introduzione storica su mezzo secolo di ristorazione italiana e con un ragionamento più attuale sulla formazione del personale, declinando il tema di quest’anno: il rispetto. “Per me vuol dire riconoscere i ruoli – spiega - e rispettare, appunto, le competenze degli altri, come in una squadra. Michel Bras era solito dire che la cucina quando è buona vale il 50% ma quando è cattiva vale il 100% dell’esperienza. Da sola non è mai sufficiente se l’ambiente non è idoneo e il personale non è adeguato. Ecco perché è fondamentale investire nella formazione e valorizzare i giovani della sala. Spesso sono proprio loro a determinare il successo di un ristorante”. Dal Pescatore, nel corso degli anni, ha formato molti ragazzi. Alcuni di loro, partiti da commis, oggi hanno aperto locali in giro per il mondo e sono stati riconosciuti i numeri uno a livello internazionale. “Per noi è un grande orgoglio. Vuol dire che siamo un’ottima scuola e che, nonostante la struttura familiare, per i nostri collaboratori c’è lo spazio per emergere”.

Antonio Santini il mestiere l’ha imparato soprattutto in viaggio (di nozze), insieme a Nadia, dopo le scuole alberghiere e un pezzo di università. Seduti, da clienti, alle più grandi tavole di Francia. Per osservare, conoscere, capire come girava una sala, quale fosse l’atteggiamento del servizio: “Da Georges Blanc ho ricevuto la lezione più grande. Il suo ristorante di Vonnas è la dimostrazione che si può lavorare con rigore ma allo stesso tempo con leggerezza. Il cameriere non deve rubare la scena e diventare protagonista dell’esperienza. Il segreto è costruire il ristorante a propria immagine e somiglianza, con tutto quello che uno vorrebbe trovare da cliente. Chi viene da noi non deve mai sentirsi oberato, mai un corpo estraneo, puntiamo sulla sobrietà, cerchiamo di calibrarci sul tempo a disposizione di ogni ospite e di adattarci alle sue esigenze”.

Il cliente, insomma, ha (quasi) sempre ragione quando varca la soglia del Pescatore. Ma non parlate a Santini di chi vive una cena con la macchina fotografica prima ancora che con la forchetta. “Non va bene. Gli ospiti vicini non devono sentirsi sulla scena di un film. Frequentare ristoranti è una delle cose più affascinanti, ma bisogna condividerla con chi è seduto a tavola”.


In sala

Il lato pubblico del ristorante visto dai suoi protagonisti: maître e camerieri

a cura di

Federico De Cesare Viola

Romano, scrive di enogastronomia e viaggi sul Sole 24Ore e collabora con numerose testate, tra cui La Repubblica e L’Uomo Vogue. È docente allo Iulm e lecturer in Food Media per diversi college americani. Twitter @fdecesareviola

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