Stasera, domenica 24 settembre, ultimo appuntamento con Stelle di Marmilla – alle 18 a Siddi, ospiti Moreno Cedroni de La Madonnina del Pescatore a Senigallia e Ivan Paone, vicedirettore de L'Unione Sarda – ossia la manifestazione fortemente voluta da Roberto Petza e che merita un approfondimento, per quanto è utile e stimolante.
Petza si è inventato un format semplice ma geniale: far capire la buona cucina al popolo, in questo caso alla sua gente, allestendo incontri pubblici nelle piazze dei minuscoli Comuni della Marmilla. Qualche decina di sedie, gli abitanti ad ascoltare perché di eventi del genere da queste parti se ne organizzano pochi e attirano l’attenzione, sono un diversivo nella placida quotidianità, sul palco (quando c’è) lo stesso Petza, il sindaco del luogo, uno chef ospite tipo Cedroni appunto, un giornalista e un rappresentante del saper fare gastronomico, la mamma che è regina nel tirare la tal pasta tipica, la nonna che è depositaria della ricetta di quell’antico biscotto...
A chi scrive è toccato, con piacere, salire a Pompu, bel borgo di neanche 300 anime nell’Alta Marmilla, in compagnia di
Alessandro Negrini. Al nostro fianco, oltre al sindaco
Marco Atzei, al presidente del
Consorzio Due Giare (che raggruppa i paesi della Marmilla)
Lino Zedda, lo stesso
Petza e la signora
Luisanna Manca, maestra delle
tallutzas di Pompu (leggi qui un articolo dello stesso
Petza per
Identità Golose:
Il grano duro ci salverà). Di fronte, una platea di signore e signori che ci guardavano un po’ con simpatia, un po’ come marziani, tra cui molte massaie che rivendicavano d’essere almeno allo stesso livello della signora
Luisanna. Insomma: gente vera, normale.
Premessa cronachistica doverosa anche se un po’ noiosa, per introdurre consentirci di rispondere alla domanda di fondo: perché questi incontri? Proviamo a spiegarlo in alcuni punti.

Alessandro Negrini e Roberto Petza, protagonisti del penultimo appuntamento con Stelle in Marmilla, compresa una cena a quattro mani al S'Apposentu
1) Gli chef sono (possono essere) attori di importante sviluppo territoriale. A volte possono persino diventarne protagonisti. Questo innanzitutto poiché il loro indirizzo – specie se si trova in una zona rurale e marginalizzata, com’è appunto il
S’Apposentu di
Petza in Marmilla – ha un peso economico di suo, genera fatturato. Poi perché lo chef diventa il cardine attorno al quale si sviluppa una rete più estesa, che va dai fornitori locali di materie prime, alle strutture ricettive che sorgono in funzione dei buongustai in arrivo, ai negozi/spacci di eccellenze locali, presso i quali questi stessi ultimi fanno acquisti.
2) Non va trascurato l’aspetto di marketing territoriale indotto da un indirizzo di grande cucina. Quando bene fa il
Reale di
Niko Romito per l’immagine di Castel di Sangro, o
La Madia di
Pino Cuttaia per quella di Licata?

Intanto lo staff prepara una piccola degustazione
3)
Roberto Petza è consapevole di questa funzione che può esercitare, pur con le mille difficoltà del caso. Anche per questo ha scelto, nel 2010, di trasferirsi da Cagliari a Siddi, nella Marmilla: per non solo indicare, ma praticare una strada alternativa di sviluppo possibile in un’area bellissima ma in difficoltà; disseminata di borghi microscopici, ottimamente manutenuti e affascinanti, “ricchi di opportunità ma con un tessuto economico desertificato da scelte dissennate (l’industrializzazione risibile, la piaga assistenziale) e collasso demografico. Invecchiata dal mancato ricambio generazionale dovuto alla fuga non solo di cervelli, ma pure di braccia e in generale di talenti; con il 65% di disoccupazione giovanile; in cui quindi è a rischio, e in buona parte è già andato perduto, un intero patrimonio di saperi e sapori, di abilità artigiane e culture rurali, che erano proprie del mondo contadino e della tradizione pastorale della zona”, lo abbiamo già scritto (leggi:
Casa Puddu, il bello dell'Italia). Come ha ripetuto
Petza durante l’incontro: «Siamo in mezzo al mare, lo iodio si trova nell’aria. La Marmilla è fertilissima, è questo il nostro petrolio. Eppure in Sardegna importiamo l’85% di quello che consumiamo, percentuale che si alza all’87% per frutta e verdura. E’ un paradosso! Abbiamo il 60% del territorio coltivabile abbandonato!».
4) Poiché il profeta che vien da fuori desta più curiosità, e quindi attira più attenzione, di quello in patria, strategica in questo senso la presenza al dibattito di un grande chef “del continente”, in questo caso
Alessandro Negrini, abilissimo nel sottolineare le opportunità per il territorio derivanti dallo sviluppo del settore agroalimentare ed enogastronomico. E chi scrive ha avuto gioco facile nel raccontare una
case history significativa in questo senso, quello della Caiazzo di
Franco Pepe (leggi:
Tutto il buono di Caiazzo). Ossia di un luogo rinato grazie a una pizzeria.
5) E a proposito di pizzerie, ci spiega
Domenico Sanna, gran restaurant manager del
S’Apposentu (è poi l’anima organizzativa di questi incontri): «Se tracciamo un cerchio del raggio di 30 chilometri attorno a Siddi, vedremo che lì si trova a dir tanto il 2% della clientela del
S’Apposentu. Se invece facciamo lo stesso lavoro per
Sa Scolla, che sta nella vicina Baradili, siamo al 50%».
Sa Scolla è la pizzeria di
Petza, integrata nella sua
Accademia. Il concetto è: l’alta cucina rimane distante, mentre un indirizzo più semplice – come appunto la pizzeria – avvicina il tessuto sociale territoriale. E lo induce magari ad approcciarsi con meno diffidenza/alterità alla grande insegna gastronomica.
6) Se lo chef muove l’economia locale e crea occasioni di sviluppo, il territorio deve capirlo e seguirlo, per questo c’è
Stelle in Marmilla. Perché non è solo importante che si aprano partite Iva (sei anni fa, racconta
Petza, qui attorno gli ultimi vecchi coltivavano la terra per hobby e autoconsumo, non c’era un solo ortolano con la partita Iva. «Oggi l’hanno aperta 2 o 3 persone, quando hanno capito che il ristorante era un’opportunità reale», tra le quali
Gian Piero Frau, che rifornisce lo chef delle verdure non autoprodotte dal
S’Apposentu,
ndr), ma è ancor più fondamentale che le rendite derivanti da questa
new-old economy vengano investite nel modo corretto, «non per allargare le produzioni ma per perseguire l’eccellenza». Fare business sulla qualità, non sulla quantità.
Stelle in Marmilla fa in modo che le parti in gioco dialoghino tra di loro: lo chef come motore, le istituzioni locali che paiono attente, la platea di allevatori/agricoltori/produttori che viene stimolata al buono. Cosa resta da fare? Quasi tutto. Ma intanto si è partiti.