12-01-2015
Enrico Crippa al lavoro nella sua cucina del Piazza Duomo di Alba, 3 stelle Michelin. Il racconto che segue è ciò che rimane di uno stage di un mese (marzo-aprile 2014) che ha entusiasmato Rino Duca, chef siciliano del ristorante Il Grano di Pepe di Ravarino (Modena), classe 1970
Un contatto di un'amica giornalista, una telefonata diretta al signor Crippa e pochi dettagli tecnici per definire la mia permanenza di un mese.
Alba in primavera è lo specchio del Piemonte che ho in mente: sobria, compassata, ordinata, produttiva. Grande cucina di territorio e grandi prodotti. Alle 8 del mattino, il ristorante Piazza Duomo è un fermento di giovani certosini in giacca bianca, acciaio che brilla al primo piano. Poche parole, tono della voce basso e concentrazione, tanta concentrazione. Bastano poche immagini vivide per imprimere nella mia memoria la cifra della cucina di Crippa.
«C'est le geste», ripete Enrico. Le erbette che cadono dalle mani li sul passe. Un gesto spontaneo, eppure millimetrico. Mani che si aprono e cadono pelati e ciuffi di verde sul piatto. E il gesto è un rituale, la cucina è un rituale. Trasuda molta tecnica francese la cucina di Piazza Duomo, fondi di cottura concentrati e legati solo dalla loro riduzione. Rigore, ordine. Il senso di un grande ristorante lo cogli anche da questi piccoli dettagli.
Comprendi di essere in un posto che fa e farà la storia della ristorazione italiana quando assisti a una telefonata - «auguri Maestro» - in cui Enrico fa gli auguri di buon compleanno al suo maestro: Gualtiero Marchesi. È la telefonata di un figlio indaffarato che si ricorda con affetto del suo padre putativo tra i fornelli.
Dall'orto del ristorante
La cucina di Enrico nasce dalla terra, la grande passione. Io da ragazzo sognavo di fare il regista; se Crippa non avesse fatto il cuoco, avrebbe fatto l'agricoltore, il vivaista. Si è avvicinato al suo sogno molto più di me.
IL GIAPPONE. Mi chiedo come sarebbe adesso la sua cucina senza gli anni passati in Giappone. Laggiù sono molto più gelosi di noi nel conservare le tradizioni gastronomiche - che tradotto io interpreto come un sonoro: non ti spiegano come fanno i piatti. Forse è cosi. Tuttavia basta osservare con attenzione e l'influenza nipponica si percepisce eccome. Nei gesti, nella precisione, nella dedizione di un monaco zen. Nella mise en place, che è un rituale codificato prima di ogni servizio. Ogni cosa al suo posto.
Enrico Crippa con Rino Duca, autore del racconto. In questi giorni parte del team del Piazza Duomo è impegnato a Londra per Stelle di Stelle
Porto con me tutto ciò ancora adesso come una porta spalancata, un approccio alla cucina che mi ha aperto un mondo. Porto la bella amicizia con Antonio Zaccardi, fenomenale e talentuoso sous chef. E di tutta la brigata che mi ha adottato sopportandomi e dandomi del Lei (argh). Porto le confidenze di Enrico e i racconti dell'arrosto e del tiramisù della sua mamma, «Il migliore che io abbia mai mangiato». Porto la testimonianza di un incrocio perfetto tra la famiglia Ceretto, lungimiranti imprenditori, e un fuoriclasse ai fornelli che mai ho potuto vedere da vicino.
Porto i momenti in cui ho preparato quintali di cannoli e pani ca meusa per i ragazzi. Una bellissima brigata di sala guidata da Manuel Miliccia e dalla presenza di un sommelier fuoriclasse: Vincenzo Donatiello. L'odore del finocchietto che il cuoco conserva gelosamente tra le sue spezie. Viene dalla Brianza.
Uomini che abbandonano per un attimo mestoli e padelle per raccontare le proprie esperienze e punti di vista
a cura di
Chef classe 1970, nato a Leonforte (Enna) "ma palermitano nella testa e nell'animo", è chef del ristorante Il Grano di Pepe di Ravarino (Modena)