10-04-2012
Gualtiero Marchesi legge a tavola a Erbusco aforismi e pensieri raccolti di suo pugno negli ultimi 30 anni. Nel prezioso quaderno, ricordi personali e citazioni dalla letteratura, dalla musica e dell'arte. Anche divertenti come quella finale di Charles Baudelaire: «La campagna è quello strano posto in cui le galline vanno in giro crude» (foto Zanatta)
Crema di piselli con cozza, il piatto in apertura del pasto da Gualtiero Marchesi a Erbusco, Brescia, telefono +39.030.7760562
Astice in salsa d'astice, un piatto ispirato a un'opera dell'artista Emilio Scanavino
Spaghetti Felicetti in bianco e nero. Sul fondo, salsa al nero di seppia da mescolare con gli spaghetti. Da sempre al centro dell'ispezione marchesiana, la pasta sta per diventare protagonista di due interi menu ad hoc: "Intorno allo spaghetto" e "A tutta pasta"
Trancio di merluzzo nero arrosto e porri brasati. «Cosa chiedere di più di un semplice, grandioso merluzzo dell'Alaska?», spiega il Maestro
Dripping, evoluzione del celebre omaggio a Jackson Pollock, questa volta in versione dolce: in un letto di crema inglese si adagia della pasta mista raffreddata, cotta in acqua non salata. Si chiude con sgocciolio di salse alla menta, lampone e cioccolato caldo. Poi, un tocco di pistacchi caramellati
L'ufficio personale di Gualtiero Marchesi dietro la cucina di Erbusco. Praticamente un museo-libreria
Una delle porte del fu ristorante di Gualtiero Marchesi in via Bonvesin de la Riva a Milano, prima insegna italiana a ottenere 3 stelle Michelin nel 1986. Restaurata e ritoccata da un'amica artista, è oggi parte della mobilia di sala a Erbusco
Tra i quadri alle pareti, anche sculture dei piatti del Maestro. Qui, la celebre Seppia al nero
Dopo la prima parte, pubblichiamo la seconda dell’intervista a Gualtiero Marchesi, cuoco che oggi si divide tra il ristorante omonimo di Erbusco, in provincia di Brescia e il Marchesino a Milano. In fondo all'articolo, una galleria con alcune foto ai piatti del suo attuale menu.
Fin qui, abbiamo parlato soprattutto del rapporto con i suoi allievi. In generale, quale valutazione dà dell'alta cucina oggi? Parafrasando quel motto direi così: ‘l’alta cucina è morta, viva l’alta cucina’. In realtà le cose stanno cambiando, in meglio e in peggio.
Dove converge il meglio? Credo che il futuro sia la cucina di territorio: così carica, entusiasta, figlia di microclimi diversissimi, lontana dalla cultura cittadina. E lo dico io che sono uno sporco cittadino.
C'è ancora spazio per l’innovazione? Quando avevo 27-28 anni giocavo a fare il creativo, esibendo una cucina personale. Ma dai Troisgros ho capito che noi dobbiamo essere prima di tutto garanti di una cucina pre-esistente. Dobbiamo modernizzare piatti che esistono già. Il mio Pollo da Kiev a Kiev (il classico piatto ucraino, trasformato al Marchesino in due cubetti di pollo infilati in uno stecco, ndr) è un buon esempio di cosa intendo. Così come il Dripping in chiave dolce (vedi fotogallery).
Jacques Maximin e Ferran Adrià concordano nel dire che creatività è non copiare. Non sono d’accordo perché nulla si crea dal nulla. Io sto con Albert Einstein: il segreto della creatività è saper nascondere le proprie fonti. E poi essere moderni si può fare solo nei limiti entro cui ci concedono di esserlo: la gente deve pur sempre venire a mangiare. E stare bene prima di tutto in sala.
Gli splendidi torchi d'epoca in sala a Erbusco. Nella tradizione francese sono strumenti indispensabili per servire al tavolo lo chateaubriand, la testa di un filetto di manzo, in due porzioni
Ci racconta un esempio? Una volta mi portarono un pesce palla con la testa che si muoveva ancora. Lo sfilettarono a sashimi sotto i miei occhi. Portarono via la testa e dopo qualche minuto me la riconsegnarono in tempura. È l’imbandigione: sapere mettere in scena la materia prima (al tema Marchesi dedicò proprio un libro, “L’arte dell’imbandigione”, Guanda 1992, ndr), una dote che richiede grande conoscenza dell’anatomia animale, poco coltivata dai nostri cuochi. E anche una bella disponibilità a spendere.
Tanto elevata? Sì, perché occorrono pezzi quasi da collezione (dice indicando la straordinaria collezione di torchi per chateaubriand e shaker a forma di campana presenti in sala a Erbusco). Vorrei tanto ripresentare a tavola il grande rito del bollito misto. Ma un carrello come si deve può arrivare a costare anche 15mila euro.
Diceva dell’anatomia animale. I cuochi devono studiare i vari tagli di un manzo molto più di quello che fanno. E devono andare al mercato per davvero e non a parole. Dal 1977 al 1992, quando stavo in via Bonvesin de la Riva a Milano, lo facevo quasi quotidianamente.
Marchesi stringe la copertina del menu Verso la Purezza. L'illustrazione di copertina, scritta con tratto volutamente infantile, è dell'artista Libero Gozzi
E per mangiare? È difficile che esca. Mi piace il Ciak di piazzale Susa: fanno spaghetti al pomodorino semplici, squisiti. Un tempo mi fermavo nelle trattorie milanesi ma oggi non si può: un ossobuco bollito è una mappazza, meglio star leggeri con un giapponese. Se invece voglio mangiare dei grandi tortelli di zucca vado dai Due Platani a Coloreto di Parma.
Tortelli più buoni di quelli del Pescatore di Canneto? Buonissimi. Pensi che una volta fu lo stesso Antonio Santini (patron e maître del Pescatore, ndr) a dirmi che quelli che facevo io erano meglio dei suoi. C’è più armonia tra gli ingredienti, mi disse.
Quale corso sta invece prendendo la sua cucina, oggi? Quello della purezza. Che è conseguenza della semplicità. Di un pensiero cioè che constata che la materia è prima di tutto forma. Il mio amico Josko Gravner sostiene che se si manipola troppo quel che la natura ci ha dato, si uccide la complessità e si perde la visione delle cose. Una radicalizzazione del suo stesso concetto di "meno cucina"? In un certo senso sì. Perché bisogna suonare solo le note necessarie, dice il trombettista Enrico Rava. Sottrarre fino all'essenziale. Solo così possiamo risvegliare le papille gustative dei clienti dormienti.
Il punto di Gabriele Zanatta: insegne, cuochi e ghiotti orientamenti in Italia e nel mondo
a cura di
classe 1973, laurea in Filosofia, coordina la Guida ai Ristoranti di Identità Golose e tiene lezioni di storia della gastronomia presso istituti e università. instagram @gabrielezanatt