(Continua dalla prima puntata)
Sono rimasto impressionato dall’organizzazione concreta dell’evento, non solo dall’idea. Le buone idea si sprecano, da sempre e ovunque. Averle è in fondo facile, il difficile è realizzarle. Restaurant Australia, attraverso la cena di venerdì 14 novembre, ha puntato su tre icone della ristorazione in patria, tra Sydney (due) e Melbourne (uno). Doverosa precisazione quella relativa a dove stanno, se dentro o fuori questa nazione-continente, perché gli chef australiani sono quasi ovunque. Penso a Brett Graham del Ledbury a Londra o a David Thompson che ha scelto Bangkok, dove brilla con il Nahm, piuttosto che a Shane Osborn, doppia stella londinese prima di approdare al St Betty a Hong Kong. E l’Australia a sua volta, come vedremo, è pronta ad accogliere tutti.
Con la Tasmania scelta, traduco, “perché sta esplodendo grazie a persone appassionate e talentuose, capaci di produrre cibi e vini straordinari”, la cena è stata affidata a
Ben Shewry, classe 1977, neozelandese alla testa di
Attica a Melbourne, raro caso di chef del mondo anglosassone che governi una sola insegna. Ecco poi
Peter Gilmore, di nove anni (e 50 chili) più grande di
Ben, rotondo e noto volto televisivo per via di
Masterchef, executive da
Quay a Sydney e orgoglioso a Hobart di annunciare di avere preso in gestione la ristorazione all’interno dell’Opera House, per un australiano il massimo. Di più prestigioso potrebbe esserci solo la sommità di Uluru/Ayers Rock in mezzo al deserto e al Paese, ma anche inviolabile luogo sacro (agli aborigeni superstiti). Infine
Neil Perry, 57 anni lo scorso giugno,
Rockpool a Sydney il faro, poi altri sette locali tra la stessa Sydney (quattro in tutto) nonché Melbourne (tre) e Perth (l’ottavo), la cura dei menù della Qantas, la compagnia di bandiera, libri e programmi tivù.

Un ritratto del brasiliano Rodrigo Oliveira tra la folla della conferenza venerdì 14 novembre 2014 a Hobart, la capitale della Tasmania
Non un trio gialloverde, bensì un neozelandese e due australiani, da sottolineare. I loro piatti erano i trofei serviti a fine viaggio di andata. Ognuno degli ottanta testimonial invitati, dal Brasile (sempre un piacere incontrare
Rodrigo Oliveira del
Mocotò a San Paolo) agli Stati Uniti (su tutti
Alice Waters), ha potuto modellare il programma a suo piacimento. Un solo obbligo: essere a Hobart la mattina del 14 novembre per assistere alla conferenza di presentazione nella sede ristrutturata di una sorta di hangar-mercato su uno dei molti del porto della capitale.
Due ore molto piacevoli. Quindi albergo, relax, cambio di camicia, operazione minima per un gala che non prevedeva smoking e abiti lunghi. E nemmeno scarpe da sera a tacchi alti. A tanti è parso strano, in fondo non si trattava di una grigliata sul porto e a invitare era, in fondo, un governo. La verità verso il tramonto.
Secondo appuntamento a bordo acqua sempre a Hobart, su un molo opposto a quello della mattina. Ad attenderci, oltre ai curiosi, che sono ovunque, bollicine della Tasmania,
House of Arras 2004 Blanc de Blancs, e tre tipi diversi di ostriche, due locali e una terza dell’Australia dell’Ovest. Il tempo di essere certi che il gruppo fosse al completo e via, tutti a bordo di gommoni comodi e potenti per risalire il corso del fiume Derwent. Così a ridosso del mare, complice il gioco delle maree, all’inizio fatichi a capire dove finisca uno e inizi l’altro. Poi pensi solo alla spettacolarità del tragitto. Destinazione il Museum of Old and New Art, per tutti il
Mona, che in italiano suona in maniera singolare ma che è – e questo per davvero conta - uno straordinario museo d’arte moderna e antica.
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